20 ottobre 2007

Le due sinistre italiane


Ma questa sinistra ha proprio una vocazione masochista! In una fase politica molto delicata per le sorti di un governo frastornato dall’antipolitica e dall’immobilismo, indeboliscono consapevolmente la credibilità, già seriamente compromessa, di Prodi e della sua maggioranza.
Nelle coalizioni di governo le espressioni più marginali e minoritarie sostengono soluzioni di bandiera, compatibili però con un indirizzo più largo, ma non possono pretendere, come è accaduto, d’essere partecipi in modo prevalente nella proposizione di scelte politiche. Ed è proprio questa pretesa che è alla base della crisi propositiva di Prodi e del governo di centrosinistra.
C’è una parte del Paese che ha perso la fiducia verso questo esecutivo proprio per le accentuazioni su scelte contraddittorie e senza senso e per indirizzi, in economia, miranti all’aumento della spesa ed alla maggiore pressione fiscale. Un percorso quest’ultimo che ha moltiplicato le difficoltà senza aver risolto alcuno dei problemi sul tappeto. Le scelte volute prepotentemente dalla sinistra radicale favoriscono prevalentemente gli effetti dell’incremento esponenziale del fabbisogno, mentre riducono le potenzialità produttive per la contrazione degli investimenti, rischiando così di creare effetti dirompenti sugli equilibri economici del Paese.
Una maggioranza credibile, di solito, perfeziona nel confronto interno quegli accenti sulle opzioni politiche delle espressioni minoritarie che, il più delle volte, sono dettate da esigenze di visibilità miranti a soddisfare il proprio elettorato di nicchia. Nei tempi passati il dissenso minoritario alzava la voce e chiedeva la verifica sull’attuazione del programma, oppure vertici sulla sua nuova definizione, non scendeva nelle piazze come se fosse opposizione.
Si ha idea che la sinistra radicale per costituzione non si senta mai forza di governo ma sempre e comunque di opposizione. La formazione culturale e le opzioni ideologiche condizionano lo sviluppo dei metodi e delle scelte verso soluzioni piuttosto singolari in cui prevale l’assolutismo proprio del pensiero marxista nell’ottica, per fortuna remota, di un potere gestito nelle forme chiuse di principi precostituiti, e senza margini per il confronto ed il pluralismo.
La manifestazione di oggi sul “protocollo welfare” non ha senso ed è contraddittoria persino con i principi di democrazia diretta, tanto sbandierati dalla stessa sinistra radicale. Fino a qualche tempo fa, infatti, era la stessa area politica che riteneva necessaria la partecipazione di pensionati e lavoratori alle scelte nel mondo del lavoro. I sindacati hanno promosso un referendum a cui hanno partecipato col voto milioni di lavoratori e la scelta è stata massiccia a favore del protocollo già siglato tra governo e parti sociali.
In sede di trattative nello scorso luglio il confronto è stato serrato. Tra le diverse sigle sindacali, e nella maggioranza di governo, si sono rischiate persino clamorose rotture per le diverse accentuazioni sulle questioni del precariato e sulle modifiche alla legge Biagi sul lavoro. Per alcuni è stata certamente una soluzione sofferta, una scelta, però, che i lavoratori alla fine hanno accettato. L’iter percorso, per il rispetto della democrazia diretta, sarebbe già più che sufficiente. Ora quello che emerge è solo la prepotenza della sinistra più estrema perché si vuole che al 19% dei voti contrari sia riconosciuto una sorta di diritto di veto, tale da rimettere in discussione gli accordi già sottoscritti.
Si ha l’impressione che la sinistra di piazza di oggi sia alla prova dei muscoli contro quella sinistra di gestione che domenica scorsa aveva celebrato la sua enfatica prova di democrazia partecipata, aprendo nelle città italiane le urne del PD e di Veltroni a quanti volessero dar prova di fiducia al nascente nuovo soggetto politico di centrosinistra. A stretto giro di posta, infatti, a Veltroni arriva la risposta del leader di Rifondazione Comunista Giordano, che invece sostiene che quella di oggi sia “una giornata decisiva per scuotere il Governo e dimostrare il peso della sinistra”. Una prova di forza tutta a sinistra nel principio, tutto marxista, dell’egemonia.
La sovraesposizione mediatica del successo nei numeri della nascita del nuovo Partito Democratico aveva ottenuto l’effetto di smorzare il clamore dell’antipolitica di Grillo e della contestazione al sistema. Lo stato maggiore dei costituenti il PD aveva organizzato l’evento con l’idea di rilanciare la sinistra moderata, in crisi di identità e di consensi. L’aspirazione di Veltroni e compagni era rivolta a far emergere che la crisi della politica potesse risolversi con la nuova proposta di una forza politica moderna ed europea. Si voleva far emergere la rappresentazione di una credibile sinistra di governo che avesse finalmente messo da parte le spinte massimaliste. Una forza riformatrice rivolta al futuro e che fosse riuscita ad accantonare le utopie di forme di società che si reggessero senza l’impegno delle diverse componenti sociali, e che avesse assimilato la necessità del rispetto delle regole economiche, oltre all’ esigenza di regole di mercato nel mondo della produzione e del lavoro.
La manifestazione di oggi ci riporta però alla realtà di una sinistra di lotta, spesso irrazionale, contraddittoria ed all’occasione esacerbata e violenta. “E’ giusto scendere in piazza – sostiene ancora Giordano - perché altrimenti la sinistra scompare” e Sgobio dei Comunisti Italiani sostiene che "la manifestazione di oggi non è contro il governo: stimolarlo a fare di più e meglio significa rafforzarlo. Chi dice il contrario è in malafede”. Si ripresenta così una sinistra alternativa che rincorre la contestazione al sistema, che si smarca dalle responsabilità per inseguire la piazza e la gestisce caricandola di tensioni. Si sceglie così la strada della piazza in cui prevalgono le forme gridate della proposta politica. Si dà vita ad una kermesse in cui si sviluppano componenti diverse che si spiegano tra lo spettacolo e la contestazione animata, tra satira e rabbia, tra parole d’ordine ed illusioni. Una sinistra senza un visione d’insieme, inattendibile e confusionaria, più incline al folcrore che alla serietà di governo: inaffidabile e politicamente senza futuro.

Vito Schepisi

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