02 luglio 2006

Il metodo

E’ opinione diffusa definire anticomunisti tutti coloro che si oppongono e che non condividono l’attuale maggioranza parlamentare. Spesso definirci tali è nella premessa di coloro che ci accusano di essere legati a vecchi preconcetti e di correre dietro a miti del passato. Sento ripetere spesso da costoro, con aria di sufficienza, che è caduto il muro di Berlino e che parlare di comunismo oggi è fuori tempo e luogo.
Appare chiaro che mi considero perfettamente in linea con coloro che si definiscono anticomunisti. Avrei solo da correggere l “anti” . Non vorrei, infatti, che la mia posizione come quella di tanti, fosse interpretata come una posizione di antagonismo acritico.
Non è così. Il nostro antagonismo è ragionato ed è basato su approfondimenti culturali a 360° , ed ancora su conoscenza della storia, sulla nostra attitudine filosofica ad analizzare i fatti ed il pensiero ed infine su di una grande capacità di dialogo e di confronto. Non starò qui, infatti, a ricordare la storia dei finanziamenti e della presunta ‘diversità’ etica dei vecchi, nuovi e post comunisti, come loro hanno fatto per affermare la loro diversità morale. L’antiberlusconismo, infatti, è frutto di mancanza di cultura e di mancanza di argomenti politici.
E’ stato facile in Italia puntare il dito contro un uomo ricco e fortunato. Berlusconi, ancora, è uomo poliedrico, ha una sua dimensione civile ed umana, usa un linguaggio chiaro e non ermetico, è diretto e spontaneo. Le sue "gaffes" sono divenute famose ma anche argomento di accuse sulla inadeguatezza a rappresentare il Paese. Il confronto politico spesso si è soffermato su frasi o parole usate più che sui contenuti che pure vi erano ed a volte di grande spessore. Il suo modo di essere persona, individuo, semplice e umano spesso ha prestato il fianco a feroci critiche e ad una satira quasi esclusiva e costruita su misura, a volte più con l'intenzione di far male che di sorridere.
Non direi quindi anticomunismo, piuttosto "acomunismo". Io non penso, infatti, che si possa esprimere ed esaurire il proprio pensiero politico sull’antagonismo verso qualcosa, nel caso in questione il comunismo. Penso invece che sia il pensiero politico, l’idea che si ha della società, i valori in cui si crede che si contrappongano al comunismo: ovvero l’essere, in definitiva, non comunisti.
Vorrei ancora ricordare che il comunismo, come il fascismo, oltre ad essere stata ideologia totalitaria ed antiliberale ha rappresentat0, ed io aggiungerei rappresenta, soprattutto un metodo. Quello comunista è stato ben delineato da Lenin. Il leader marxista sovietico predicava, infatti, per i paesi dove la rivoluzione non avesse cambiato ed abbattuto lo stato borghese, l’occupazione degli spazi di controllo dei poteri e la penetrazione capillare nella società civile. Per dirla in chiaro magistratura, università, cultura (stampa e diffusione letteraria). Tutto questo in Italia è stato fatto mentre democristiani e socialisti si impadronivano degli enti a partecipazione statale; nominavano Presidenti e consiglieri di amministrazione dappertutto; irizzavano merendine e panettoni, automobili ed autostrade; si impadronivano della gestione di enti; esercitavano il controllo economico di imprese di ogni tipo per assicurarsi i finanziamenti che mantenevano la costosa attività politica e la costosa ed agiata vita di coloro che 'lavoravano' con la politica. I comunisti hanno pur fatto altrettanto: hanno creato una rete di capillare controllo economico del territorio con la Lega delle Cooperative; hanno utilizzato in esclusiva nelle regioni e comuni governati da loro i servizi offerti dalla rete produttiva e manifatturiera della lega; hanno allargato il loro intervento nel campo dei servizi; hanno occupato banche ed anche spazi nella finanza; hanno quasi monopolizzato l’editoria. La differenza è consistita nell’esistenza di una strategia contrapposta: occupare il governo del Paese.
I post comunisti hanno fatto anche di più. Hanno trovato un piccolo uomo "utile idiota" da gettare come esca ai tanti sprovveduti che hanno creduto di votare per un moderato, pensando che fosse un baluardo contro ogni pretesa neo comunista e che, invece, non conta un bel niente e lascia agli eredi di Togliatti libertà di spadroneggiare a piacimento.
Ritorniamo al metodo. Questo, è da dire, non si esaurisce nell’occupazione della società ma si sviluppa nel tentativo di omogeneizzazione di ogni espressione, nel linguaggio stereotipato, nella criminalizzazione di chiunque non si adegua, nel tacciare di pazzia tutti coloro che osano contrapporsi. Il metodo è sempre quello e poi l’emarginazione, l'emergere del loro complesso di superiorità, la supponenza e l’indifferenza verso i problemi dei cittadini, mai considerati come tali ma solo come massa da manovrare in modo cieco e dispotico.
Quello comunista è un metodo alla pari di un teorema matematico. Una regola risolutrice per adempiere la loro missione, al pari di una fede cieca, in cui prevalgono non gli uomini o i popoli ma prevale la ragione della loro ideologia. Per raggiungere questo obiettivo passano come una schiacciasassi su tutto: comprimono, cervelli, idee, buonsenso, speranze; ripetono fino all’ossesso le loro bugie, fino a farle sembrare verità; negano evidenze e si contraddicono ma si arrampicano sulle loro contraddizioni come un velista sulle gomene della sua barca a vela; fiutano il vento e l’assecondano per poi utilizzarlo; conquistano l’onda per poi cavalcarla. A volte sono tutto ed il perfetto contrario e poi mistificano, trasformano, infieriscono con il pugno di ferro dai luoghi del loro potere conquistato.
vito schepisi

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