Ve la ricordate l’Italia del preambolo?
Eravamo agli inizi egli anni ’80 ed il centrosinistra era entrato in crisi.
Nessuno degli obiettivi annunciati da Moro e Fanfani con l’apertura a sinistra negli anni 60, era stato raggiunto.
L’Italia usciva dal decennio delle contestazioni. Il centrosinistra era diviso e l’Italia era governata a macchia di leopardo (Bersani non li smacchiava ancora).
Negli anni 70 Le Brigare Rosse avevano seminato nel Paese lutti e inquietudini: per la sinistra erano i “compagni che sbagliano”.
Due anni prima era stato assassinato Aldo Moro.
Il Pci alternava le sue maschere di partito di lotta e di governo.
Anche l’idea della solidarietà nazionale era fallita.
Il PSI di Bettino Craxi con la politica dei due forni irritava la Democrazia Cristiana e la costringeva a subire.
L’ambiguità creava tensioni e divideva.
Al Congresso di Roma del 1980 usciva così vincitrice l’ala moderata della Democrazia Cristiana. Arnaldo Forlani vinceva il congresso sulla base di un “preambolo”, elaborato da Donat Cattin, che costituirà la base del documento finale su cui convergerà la maggioranza del partito.
Lo chiamarono il “preambolo Forlani”. Il documento, determinante per la vittoria congressuale, si poteva riassumere in un solo concetto: mai più con il Pci.
Le letture sono state diverse, ma il “preambolo” dette vita ad un periodo delicato della storia italiana. Gli anni 80 furono quelli del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani). Vennero fuori gli scandali, il sistema delle lobby e delle lottizzazioni. Venne fuori il volto della gestione del potere che aveva coinvolto il sistema di una democrazia bloccata, priva com’era di un vero confronto politico costruito sull’alternanza, come, invece, avveniva in tutte le altre democrazie occidentali.
Le responsabilità erano da ricercare nella radicalizzazione del confronto politico. La propaganda comunista si faceva capillare, casa per casa. Le enormi disponibilità economiche di una parte (i soldi di Mosca) motivavano la sollecitazione dei finanziamenti illeciti anche dall’altra. Nei partiti non centralisti, però, salvo poche eccezioni, la corruzione si allargava anche all’arricchimento personale.
Si scoprì così che la politica italiana, attraversata dal sistema delle tangenti, si frammentava per la lotta del potere, creando questioni politiche, e si ricompattava in difesa degli spazi conquistati. Un modo che spesso coinvolgeva insieme maggioranza e opposizione, come un perfido gioco delle parti.
L’Italia, il futuro, gli stessi diritti dei cittadini passavano in secondo piano rispetto alla gestione del potere e alle strategie dello “status quo ante”. Tutti i reati, fino a tutto il 1989, furono poi cancellati con l’amnistia del 1990, votata dal pentapartito e dal Pci. Si salvò così il Pci. Anche allora la causa del male, anzi il male in assoluto, per lo sviluppo liberale e democratico dell’Italia, per i suoi inganni e per le sue ipocrisie, si è sfilato dal giudizio della storia.
La Dc del preambolo passava così dalla sofferenza intellettuale di Aldo Moro, preoccupato per la tenuta del sistema, al trionfo della strategia di potere delle correnti democristiane. Nel 1980, con il preambolo Forlani, la DC aveva provato ad uscire da una fase di drammatici e laceranti avvenimenti storici degli anni 70.
Nel 1976 alle elezioni politiche, Montanelli - quando sembrava che il Pci potesse essere il primo partito italiano – diceva agli italiani “turiamoci il naso e votiamo DC”, fotografando la sintesi schietta, come era nel carattere del giornalista, della tensione politica del momento.
Nel 1977 le proposte di Berlinguer per l’alternativa democratica, lanciate in una serie di articoli su “Rinascita”, aprivano brecce in una DC, uscita vincitrice dalla sfida per il primato nel 1976, ma assolutamente debole, incapace di un’iniziativa politica vincente. Gli italiani si dividevano sul “compromesso storico”.
Nel 1978, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro scuoteva l’Italia. Le Brigate Rosse rapivano lo statista pugliese il 16 marzo, mentre alla Camera si votava la fiducia al governo Andreotti, il primo senza il voto contrario del PCI.
Sul fallimento di questa esperienza, nel 1979 arrivavano le elezioni politiche anticipate con la DC che ripristinava le distanze elettorali con il Pci.
Nel 1980 il Congresso DC del preambolo Forlani: mai più con il pci.
Sembra preistoria, o sembra ieri, ma la storia è come un cerchio che gira attorno alle cose. E’ che la storia siamo sempre noi. Si dice così perché, se è vero che cambia tutto, dalla fanciullezza ai capelli bianchi, è anche vero che i protagonisti sono sempre gli uomini, i popoli, le scelte, le idee, le aspettative, le delusioni, le rabbie, il rancore, la fiducia, la speranza.
Non c’è niente che resti fuori da queste sensazioni. La storia le percorre, entra nella vita degli uomini, aggiusta, devasta, modifica, attenua, sviluppa, accende le passioni. Ed è anche per questo che si fanno sempre gli stessi errori.
Oggi si è dinanzi alle stesse questioni di ieri, ma in un quadro ancor più deteriorato. Sarà una questione epocale, come il passaggio da un’era all’altra, ma l’Italia non riesce a liberarsi delle illusioni alternative.
Come se la democrazia non fosse già un sistema di cose sgangherate, ma inevitabili, c’è ancora chi ne trova i difetti senza saper proporre soluzioni diverse. Ma non c’è alternativa alla democrazia. Non sempre piace ciò che produce, ma non esiste niente di meglio.
Cosa si può fare? Si deve andare a votare anche turandosi il naso, senza rischiare avventure. Se è giusto, e lo è, chiedere trasparenza e giustizia, non è giusto rischiare la democrazia e il futuro.
Si deve andare a votare ricordando che il preambolo della democrazia non cambia: è sempre mai più svolte autoritarie.
Vito Schepisi
Eravamo agli inizi egli anni ’80 ed il centrosinistra era entrato in crisi.
Nessuno degli obiettivi annunciati da Moro e Fanfani con l’apertura a sinistra negli anni 60, era stato raggiunto.
L’Italia usciva dal decennio delle contestazioni. Il centrosinistra era diviso e l’Italia era governata a macchia di leopardo (Bersani non li smacchiava ancora).
Negli anni 70 Le Brigare Rosse avevano seminato nel Paese lutti e inquietudini: per la sinistra erano i “compagni che sbagliano”.
Due anni prima era stato assassinato Aldo Moro.
Il Pci alternava le sue maschere di partito di lotta e di governo.
Anche l’idea della solidarietà nazionale era fallita.
Il PSI di Bettino Craxi con la politica dei due forni irritava la Democrazia Cristiana e la costringeva a subire.
L’ambiguità creava tensioni e divideva.
Al Congresso di Roma del 1980 usciva così vincitrice l’ala moderata della Democrazia Cristiana. Arnaldo Forlani vinceva il congresso sulla base di un “preambolo”, elaborato da Donat Cattin, che costituirà la base del documento finale su cui convergerà la maggioranza del partito.
Lo chiamarono il “preambolo Forlani”. Il documento, determinante per la vittoria congressuale, si poteva riassumere in un solo concetto: mai più con il Pci.
Le letture sono state diverse, ma il “preambolo” dette vita ad un periodo delicato della storia italiana. Gli anni 80 furono quelli del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani). Vennero fuori gli scandali, il sistema delle lobby e delle lottizzazioni. Venne fuori il volto della gestione del potere che aveva coinvolto il sistema di una democrazia bloccata, priva com’era di un vero confronto politico costruito sull’alternanza, come, invece, avveniva in tutte le altre democrazie occidentali.
Le responsabilità erano da ricercare nella radicalizzazione del confronto politico. La propaganda comunista si faceva capillare, casa per casa. Le enormi disponibilità economiche di una parte (i soldi di Mosca) motivavano la sollecitazione dei finanziamenti illeciti anche dall’altra. Nei partiti non centralisti, però, salvo poche eccezioni, la corruzione si allargava anche all’arricchimento personale.
Si scoprì così che la politica italiana, attraversata dal sistema delle tangenti, si frammentava per la lotta del potere, creando questioni politiche, e si ricompattava in difesa degli spazi conquistati. Un modo che spesso coinvolgeva insieme maggioranza e opposizione, come un perfido gioco delle parti.
L’Italia, il futuro, gli stessi diritti dei cittadini passavano in secondo piano rispetto alla gestione del potere e alle strategie dello “status quo ante”. Tutti i reati, fino a tutto il 1989, furono poi cancellati con l’amnistia del 1990, votata dal pentapartito e dal Pci. Si salvò così il Pci. Anche allora la causa del male, anzi il male in assoluto, per lo sviluppo liberale e democratico dell’Italia, per i suoi inganni e per le sue ipocrisie, si è sfilato dal giudizio della storia.
La Dc del preambolo passava così dalla sofferenza intellettuale di Aldo Moro, preoccupato per la tenuta del sistema, al trionfo della strategia di potere delle correnti democristiane. Nel 1980, con il preambolo Forlani, la DC aveva provato ad uscire da una fase di drammatici e laceranti avvenimenti storici degli anni 70.
Nel 1976 alle elezioni politiche, Montanelli - quando sembrava che il Pci potesse essere il primo partito italiano – diceva agli italiani “turiamoci il naso e votiamo DC”, fotografando la sintesi schietta, come era nel carattere del giornalista, della tensione politica del momento.
Nel 1977 le proposte di Berlinguer per l’alternativa democratica, lanciate in una serie di articoli su “Rinascita”, aprivano brecce in una DC, uscita vincitrice dalla sfida per il primato nel 1976, ma assolutamente debole, incapace di un’iniziativa politica vincente. Gli italiani si dividevano sul “compromesso storico”.
Nel 1978, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro scuoteva l’Italia. Le Brigate Rosse rapivano lo statista pugliese il 16 marzo, mentre alla Camera si votava la fiducia al governo Andreotti, il primo senza il voto contrario del PCI.
Sul fallimento di questa esperienza, nel 1979 arrivavano le elezioni politiche anticipate con la DC che ripristinava le distanze elettorali con il Pci.
Nel 1980 il Congresso DC del preambolo Forlani: mai più con il pci.
Sembra preistoria, o sembra ieri, ma la storia è come un cerchio che gira attorno alle cose. E’ che la storia siamo sempre noi. Si dice così perché, se è vero che cambia tutto, dalla fanciullezza ai capelli bianchi, è anche vero che i protagonisti sono sempre gli uomini, i popoli, le scelte, le idee, le aspettative, le delusioni, le rabbie, il rancore, la fiducia, la speranza.
Non c’è niente che resti fuori da queste sensazioni. La storia le percorre, entra nella vita degli uomini, aggiusta, devasta, modifica, attenua, sviluppa, accende le passioni. Ed è anche per questo che si fanno sempre gli stessi errori.
Oggi si è dinanzi alle stesse questioni di ieri, ma in un quadro ancor più deteriorato. Sarà una questione epocale, come il passaggio da un’era all’altra, ma l’Italia non riesce a liberarsi delle illusioni alternative.
Come se la democrazia non fosse già un sistema di cose sgangherate, ma inevitabili, c’è ancora chi ne trova i difetti senza saper proporre soluzioni diverse. Ma non c’è alternativa alla democrazia. Non sempre piace ciò che produce, ma non esiste niente di meglio.
Cosa si può fare? Si deve andare a votare anche turandosi il naso, senza rischiare avventure. Se è giusto, e lo è, chiedere trasparenza e giustizia, non è giusto rischiare la democrazia e il futuro.
Si deve andare a votare ricordando che il preambolo della democrazia non cambia: è sempre mai più svolte autoritarie.
Vito Schepisi
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