05 febbraio 2013

Senatore a vita e capo partito



Diciamolo subito. Da un professore che aveva un “parterre” di competenze economico-finanziarie, di conoscenze in ambito internazionale e di solido prestigio accademico, ci saremmo aspettati atteggiamenti più sobri e più responsabili, e una guida del Governo anche severa, ma più efficace.
E’ apparso, invece, come un Prodi qualsiasi, tirato dalla giacchetta e intimidito da chi alzava la voce, sensibile ai club esclusivi della finanza internazionale, incerto nei suoi atti di governo più incisivi, audace contro la povera gente.
Essere Senatore a vita e scendere in campo contraddice persino l’aspetto valoriale della nomina. Basterebbe leggere l’art.59 della Costituzione che la prevede per chi ha “illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Un’onorificenza di questo tipo, bisogna saperla gestire con dignità, con l’apparenza al di sopra delle parti, con la responsabilità di essere un lustro per tutta l’Italia, di poterne rispettare le scelte senza la pretesa di orientarle, non di essere un rancoroso, come un tignoso Scalfaro che faceva la morale agl’altri senza aver mai chiarito alcuni aspetti delle sue responsabilità ministeriali.
Chi “sbrocca” dovrebbe andar fuori, caro Professor Senator Mario Monti.
Non valga il suo vezzo, aristocratico più che formale, di modificare la consueta espressione nominale di salita in politica. Fare politica è diverso dal salire in cattedra, cosa, invece, a Monti consueta, sebbene alcuni aspetti del suo impegno politico non siano apparsi alla sua portata.
Per un uomo che aveva rispetto e stima bipartisan, per un uomo che è tuttora alla guida del Governo e che ha la gestione del Paese, Rai compresa, con una visibilità televisiva dilatante, accompagnato per questa impresa dalle due espressioni più partitocratiche e trasformiste della politica italiana, sapere che è diventato capo di una coalizione di partiti che nei sondaggi è in lotta per superare la soglia del 10% non è proprio esaltante.
E’ stata una sua scelta? Ma l’uomo si valuta anche per le sue scelte. Scarsino!
In Italia ciò che poteva avviare un tecnico, per far decantare la contesa politica, spesso pregiudiziale e paralizzante, erano le riforme, e con queste i tagli della spesa, piuttosto che fare la cosa più facile e meno giusta: aumentare la pressione fiscale.
Il Professor Monti, invece, ha pensato di intervenire pesantemente sulle famiglie con provvedimenti fiscali e con il taglio dei redditi ai dipendenti pubblici - a tutti meno che ai magistrati - congelando gli scatti di anzianità e i diritti maturati, come potrebbe il ragioniere di una piccola-media impresa manifatturiera, alla presenza di un bilancio con i costi più alti dei ricavi, che taglia le spese del personale e ritocca i listini prezzi per alzare i ricavi.
Prima che ridurre il debito pubblico si doveva pensare a fermare la spirale della spesa che lo formava. Il debito in se può essere compatibile se riferito alla ricchezza che si crea nel Paese. Si poteva arricchire l’Italia con le riforme, invece si è cancellata la pensione a milioni d’italiani, tra cui molti che non ci arriveranno mai.
L’Italia, per la sua storia previdenziale, da essere il paese europeo in cui per il pubblico impiego c’era una giungla incredibile fatta di privilegi e di palesi ingiustizie sociali, ora, per soglie di età e di anzianità di lavoro, raggiunge situazioni da record in Europa. Naturalmente nel silenzio assoluto di chi sostiene di difendere i lavoratori e i loro diritti, gli stessi che quando s’è trattato di eliminare qualche stridente privilegio sono scesi in piazza per gridare contro un Governo a loro avviso autoritario e antipopolare.
Appare serio, poi, un Senatore per nomina presidenziale che si debba servire di uno “spin doctor” per organizzare una campagna elettorale aggressiva fino all’insulto?
Fa il paio con il suo alleato che da Presidente della Camera formava e dirigeva un partito.
Il professor Monti, oltre a deludere le aspettative, fallendo del tutto il suo compito, è diventato un capo partito, senza avvertire la sensibilità di dimettersi per poter essere scelto dagli elettori.
Si distingue per minacce e accuse pesanti che involgariscono ancor più il confronto politico in Italia.
Non uomo di “altissimi meriti”, ma di bassissimi espedienti.
Vito Schepisi

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