Alcune riflessioni vanno fatte.
Queste elezioni, se è vero che destano inquietudine per la mancanza di una soluzione politica che impatti contro la crisi economica e sociale dell’Italia, è vero anche che hanno fatto un po’ di chiarezza.
I risultati elettorali hanno, infatti, ridimensionato le smisurate esposizioni di alcuni politici sempre in primo piano e hanno sfrondato quelle foglie del fico che nascondevano i presunti attributi di alcuni assieme alle ipocrisie e ai falsi pudori di un esercito di finte verginelle.
Qualche risposta queste elezioni l’hanno si data.
Hanno ridimensionato pesi e valori, hanno segnalato le contraddizioni ed hanno condannato uomini e partiti.
In fondo in fondo c’è sempre un giudice fuori dall’Ordinamento Giudiziario italiano.
Gli elettori, quando è stato il loro turno, hanno emesso anche qualche inappellabile giudizio. Ed è proprio sui giudizi, questa volta, più che sui contenuti e sulle scelte, è sugli uomini, che appare ora opportuno soffermarci.
Sui personaggi, sui loro pregi, sulle loro virtù - se ce ne sono – e, soprattutto, sui loro difetti che non mancano mai in nessuno. A volte le caratteristiche umane possono aver origine persino dai nomi. Perché i nomi sono spesso la conseguenza delle cose, com’è scritto nelle “Istituzioni” di Giustiniano. Così la pensavano i nostri antenati. La commedia degli equivoci, che è buona parte della commedia italiana, riviene proprio dalla nostra antica cultura latina.
Da dove iniziare?
Iniziamo dalla tavola da cui, spesso, passano i destini del mondo. E dove lo metteremmo, infatti, un Buttiglione, se non sulla tavola? Tra qualche tempo, ad esempio, quando si parlerà di Buttiglione, qualcuno penserà ad una grossa bottiglia con dentro vino di cantina. Non è che la cosa abbia troppa importanza, ma un buon vino di cantina sulla tavola ci fa la sua onesta e bella figura, Buttiglione sulla tavola invece non faceva pensare a niente di buono.
Oltre che dalla tavola, i destini del mondo passano da un arredo della casa, il letto, che non serve solo al riposo, ma anche a battaglie di grande impegno. Cosa, allora, tra qualche tempo, la gente potrà pensare di un Italo Bocchino? Per tutti, resterà sempre quella parola che non è elegante far passare sulla bocca delle signore, ma che nella pratica crea immenso piacere e nei pensieri di letto stimola indicibili sensazioni morbose.
Fini, invece, sarà ricordato per quel politico “Che fece per viltade il gran rifiuto”, ma all’incontrario. Non come Dante Alighieri disse di Celestino V, che rinunciò al trono pontificio per mancanza di coraggio, ma per chi, in mancanza di altre qualità, restò attaccato alla sedia più alta di Montecitorio, senza possederne meriti e legittimità morale, contraddicendo persino i suoi impegni assunti pubblicamente in video con gli italiani, oltre che gli impegni politici assunti con gli elettori.
L’ironia fa la sua parte e se fini sono i pensieri di chi ha ambizioni, fini-ti diventano i sogni di chi vuol troppo.
Di Granata e Briguglio cosa dire se non che il nulla si elide come lo zero non preceduto da numeri? Di doppio zero che servano a qualcosa si conoscono solo i cessi e la farina.
Ora mi tocca parlare di Di Pietro e di Ingroia, cercando di non beccarmi la querela. Il primo si è trascinato tutta una catena d’orrore parlamentare. Il suo Mariuccio si è giocato al video poker anche il partito, il resto l’ha fatto la gestione immobiliare della Srl con cui gestiva i rimborsi elettorali, l’opacità di una gestione familistica e la smascherata ondivaga furbizia levantina. Non gli mancheranno 4 mura ed un tetto sotto cui dimorare.
Ingroia, invece, deve avere pensato che l’attacco tentato al cuore dello Stato, respinto dalla Consulta, potesse essere sufficiente per farlo passare per un’eroica vittima di un sistema di potere, e così riscuotere crediti sufficienti tra chi mira a colpire il cuore dello stato per far precipitare il sistema di democrazia liberale. C’è stato, però, chi l’ha preceduto: Grillo.
La differenza tra i due è che Grillo fa ridere, Ingroia, invece, fa piangere.
Devo scusarmi con le altre inutilità non citate. E’ evidente che la storia non parlerà mai di loro.
Vito Schepisi
Queste elezioni, se è vero che destano inquietudine per la mancanza di una soluzione politica che impatti contro la crisi economica e sociale dell’Italia, è vero anche che hanno fatto un po’ di chiarezza.
I risultati elettorali hanno, infatti, ridimensionato le smisurate esposizioni di alcuni politici sempre in primo piano e hanno sfrondato quelle foglie del fico che nascondevano i presunti attributi di alcuni assieme alle ipocrisie e ai falsi pudori di un esercito di finte verginelle.
Qualche risposta queste elezioni l’hanno si data.
Hanno ridimensionato pesi e valori, hanno segnalato le contraddizioni ed hanno condannato uomini e partiti.
In fondo in fondo c’è sempre un giudice fuori dall’Ordinamento Giudiziario italiano.
Gli elettori, quando è stato il loro turno, hanno emesso anche qualche inappellabile giudizio. Ed è proprio sui giudizi, questa volta, più che sui contenuti e sulle scelte, è sugli uomini, che appare ora opportuno soffermarci.
Sui personaggi, sui loro pregi, sulle loro virtù - se ce ne sono – e, soprattutto, sui loro difetti che non mancano mai in nessuno. A volte le caratteristiche umane possono aver origine persino dai nomi. Perché i nomi sono spesso la conseguenza delle cose, com’è scritto nelle “Istituzioni” di Giustiniano. Così la pensavano i nostri antenati. La commedia degli equivoci, che è buona parte della commedia italiana, riviene proprio dalla nostra antica cultura latina.
Da dove iniziare?
Iniziamo dalla tavola da cui, spesso, passano i destini del mondo. E dove lo metteremmo, infatti, un Buttiglione, se non sulla tavola? Tra qualche tempo, ad esempio, quando si parlerà di Buttiglione, qualcuno penserà ad una grossa bottiglia con dentro vino di cantina. Non è che la cosa abbia troppa importanza, ma un buon vino di cantina sulla tavola ci fa la sua onesta e bella figura, Buttiglione sulla tavola invece non faceva pensare a niente di buono.
Oltre che dalla tavola, i destini del mondo passano da un arredo della casa, il letto, che non serve solo al riposo, ma anche a battaglie di grande impegno. Cosa, allora, tra qualche tempo, la gente potrà pensare di un Italo Bocchino? Per tutti, resterà sempre quella parola che non è elegante far passare sulla bocca delle signore, ma che nella pratica crea immenso piacere e nei pensieri di letto stimola indicibili sensazioni morbose.
Fini, invece, sarà ricordato per quel politico “Che fece per viltade il gran rifiuto”, ma all’incontrario. Non come Dante Alighieri disse di Celestino V, che rinunciò al trono pontificio per mancanza di coraggio, ma per chi, in mancanza di altre qualità, restò attaccato alla sedia più alta di Montecitorio, senza possederne meriti e legittimità morale, contraddicendo persino i suoi impegni assunti pubblicamente in video con gli italiani, oltre che gli impegni politici assunti con gli elettori.
L’ironia fa la sua parte e se fini sono i pensieri di chi ha ambizioni, fini-ti diventano i sogni di chi vuol troppo.
Di Granata e Briguglio cosa dire se non che il nulla si elide come lo zero non preceduto da numeri? Di doppio zero che servano a qualcosa si conoscono solo i cessi e la farina.
Ora mi tocca parlare di Di Pietro e di Ingroia, cercando di non beccarmi la querela. Il primo si è trascinato tutta una catena d’orrore parlamentare. Il suo Mariuccio si è giocato al video poker anche il partito, il resto l’ha fatto la gestione immobiliare della Srl con cui gestiva i rimborsi elettorali, l’opacità di una gestione familistica e la smascherata ondivaga furbizia levantina. Non gli mancheranno 4 mura ed un tetto sotto cui dimorare.
Ingroia, invece, deve avere pensato che l’attacco tentato al cuore dello Stato, respinto dalla Consulta, potesse essere sufficiente per farlo passare per un’eroica vittima di un sistema di potere, e così riscuotere crediti sufficienti tra chi mira a colpire il cuore dello stato per far precipitare il sistema di democrazia liberale. C’è stato, però, chi l’ha preceduto: Grillo.
La differenza tra i due è che Grillo fa ridere, Ingroia, invece, fa piangere.
Devo scusarmi con le altre inutilità non citate. E’ evidente che la storia non parlerà mai di loro.
Vito Schepisi
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