29 agosto 2008

Quanta confusione su Alitalia

Sulla questione Alitalia c’è stata tanta confusione! Il Paese come per ogni cosa si è diviso in due, tra coloro che auspicavano una soluzione, ed altri che facevano gli scongiuri per il suo fallimento. Chi tifava contro il salvataggio della Compagnia italiana, si preparava ad attribuire a Berlusconi la responsabilità del mancato accordo con Air France.
C’è stato il solito atteggiamento vergognoso che abbiamo imparato a conoscere: quello di chi, anche a danno del Paese e dei lavoratori, briga per creare difficoltà o si compiace nel denigrare il lavoro e l’impegno degli altri.
Si è registrata l’ironia di esponenti dell’attuale opposizione e dei teatranti del vecchio regime che deridevano l’ipotesi di una cordata italiana contestandone la possibile realizzazione.
La nostra compagnia di bandiera era sul punto di essere ceduta ad Air France e con la cessione non solo si andava a trasferire oltralpe la governance di Alitalia e della sua flotta, ma anche tutte le sue rotte ed il suo bagaglio di voli internazionali.
La rinuncia al controllo di Alitalia sarebbe stato un limite persino per il turismo italiano. Un Paese con vocazione turistica come l’Italia non può permettersi di vedere dirottata l’attenzione dei tour operators internazionali dalle località italiane ad altre, naturalmente e comprensibilmente francesi, quando nei pacchetti negoziati con le grandi catene turistiche del mondo, agli scali e/o destinazioni di Roma o Venezia, si fossero andate a sostituire le località francesi come Parigi, la Normandia o la Costa Azzurra.
La facilità persino sospetta con la quale il precedente Governo aveva stabilito la trattativa in esclusiva con la compagnia di bandiera francese era sembrata davvero preoccupante, quasi irresponsabile. Non si trattava della ricerca di un partner del settore, come ad esempio per l’olandese KLM con la stessa Air France, ma di una resa senza condizioni agli interessi economici di una compagnia e di un paese straniero.
Non solo Berlusconi e tutta l’opposizione di allora avevano reagito con determinazione, ma anche settori della stessa maggioranza. Il Ministro delle Infrastrutture di Prodi, Antonio Di Pietro parlava di "Offerta umiliante, finalizzata unicamente al profitto dell'offerente, un danno per la compagnia, per le maestranze e per tutto il Paese - umilia un hub importante come Malpensa, che da solo vale dieci volte Alitalia e nei confronti del quale dovremmo tutti impegnarci per salvaguardarne le potenzialità".
Anche i sindacati avevano respinto senza remore quella che era sembrata una capitolazione offensiva a danno degli interessi nazionali e dei lavoratori, la Uil si era persino defilata dal prosieguo delle trattative per far pesare l’oscenità dell’offerta francese.
I modi ultimativi e la sostanziale intrattabilità dell’offerta erano mortificanti ed a tanti, di maggioranza o di opposizione, erano parsi al limite della dignità nazionale. Si aveva l’impressione di un usuraio che imponeva i suoi tassi capestro al malcapitato bisognoso di momentanea liquidità per scongiurare l’imminente fallimento della sua impresa. E si sa che in questi casi, quando si finisce nelle mani dei tagliagole, si finisce per perdere ugualmente l’impresa, come appunto stava accadendo ad Alitalia.
Oggi però Di Pietro recupera la proposta Spinetta, strumentalizzando sul numero degli esuberi: solo 2100. In Italia, si sa, l’antiberlusconismo giustifica un po’ di tutto. Abbiamo sentito espressioni da trivio, offese al Papa ed al Presidente della Repubblica, insinuazioni meschine e la satira trasformarsi in volgare avanspettacolo di provincia: oramai c’è solo da distinguere fra chi la spara più grossa o chi è più trash e non ci meraviglia più niente, neanche le capriole di Di Pietro.
Come si può ignorare che Air France su circa 10 mila dipendenti Alitalia ne avrebbe assorbito solo poco meno di 2.000? Gli esuberi dichiarati da Air France riguardavano solo le attività di Alitalia che la compagnia francese intendeva assorbire (aerei, voli e rotte). Ed è per questa ragione (che i sindacati ben conoscono) che le organizzazioni dei lavoratori stanno affrontando con molta prudenza le diverse problematiche avvicinandosi al tavolo di confronto con serietà e consapevolezza, al contrario di Di Pietro e dello stesso PD che con Veltroni continua ad ironizzare sulla compagnia con la “bandierina” italiana.
“Non era davvero questa la nuova Alitalia che si sarebbe dovuta far nascere” – sostiene Veltroni – Ma se il leder del PD ed i suoi sostenitori avessero avuto idee migliori, rispetto alla trattativa in esclusiva con Air France, conclusasi con una proposta inaccettabile, avrebbero avuto tutto il tempo per avanzarle. Come avrebbero anche avuto tutto il tempo per contribuire a ricercare, collaborando con gli uomini di questa maggioranza, soluzioni ritenute più idonee, anziché usare il sarcasmo e sogghignare sull’impegno e lo sforzo degli altri. La questione di un pezzo d’Italia non appartiene a maggioranza o opposizione ma al Paese ed ai suoi abitanti.
Questa sinistra italiana sembra davvero priva di una cultura nazionale e finisce sempre per deludere anche i suoi sostenitori più saggi e riflessivi.
Qualcuno, in verità, si era illuso che potesse emergere una soluzione assolutamente indolore, o quasi. Ma per quante diverse strade potessero essere percorse per configurare provvedimenti che comprendessero il superamento di ogni criticità, non è possibile pensarne una che non comportasse un insieme di impegni gravosi e di sacrifici per il Paese.
Gli errori e le scelleratezze di credere che un impresa potesse seguire politiche clientelari e di spesa, non correlate alle esigenze dei conti economici, si pagano sempre!
La questione (bisognerebbe che anche Di Pietro lo sapesse) non è nel numero degli esuberi ma nell’insieme della ricollocazione di tutta la compagnia con tutte le sue attività collegate. Se alla base della crisi di Alitalia ci sono la scarsa produttività e gli esuberi, non si può che intervenire su questi due fattori.
Ciò che in questa vicenda inquieta e preoccupa non è l’ignoranza, che pure c’è, ma la malafede e la spregiudicatezza degli uomini.
Vito Schepisi

28 agosto 2008

Il ritorno della guerra fredda

E’ saggio chi si preoccupa del domani e non chi si adagia sulle incertezze di oggi. Sembra un aforisma tratto dagli “Analecta” di Confucio più che una riflessione sulle preoccupazioni per l’evolversi delle politiche dell’oggi sulla Terra.
Gli scenari sono tutti di grande preoccupazione. L’Europa, epicentro dello sviluppo culturale e delle fucine del pensiero sulle trasformazioni sociali, si dissolve nella sua vecchia capacità politica di dirimere, con la sola persuasione della sua influenza intellettuale, l’esplosione delle controversie della Terra. Sembra abbia disperso la latente pressione sui moti del pensiero che in periodo di guerra fredda aveva diffuso tra le genti del pianeta.
Una volta le marce per la pace, contro le aggressioni militari, per la solidarietà verso i più deboli, pur dividendo all’interno le popolazioni d’Europa, esercitavano un invito, spesso prudentemente raccolto, alla moderazione. Oggi le manifestazioni di protesta, quando si realizzano, assumono le sembianze delle kermesse folcroristiche e sono evidenti strumenti di manipolazione politica.
Dopo il 21 settembre del 2001 il mondo è davvero cambiato!
Sembra che quella data sia il segnale d’inizio di un capovolgimento di fronte e che ad un “modello di sviluppo”, per gli equilibri geo-politici della Terra, voglia irrequietamente sostituirsi un altro.
In questo nuovo scenario non è la rivoluzione naturale delle cose che gioca la sua parte, quale ineluttabile impulso a modificare le coscienze e le abitudini dei popoli e delle aree della terra, ma è la restaurazione delle espressioni più integrate che fa riemergere le forme involute del legame dei popoli alle radici delle loro tradizioni più singolari.
E’ una sorta di radicalizzazione sulle nostalgie dell’imperialismo o dell’integralismo che, a seconda dei luoghi e della storia che li contestualizza, riemerge impetuosa per imporre nelle diverse realtà la supremazia economico-militare, o l’affermazione di fondamentali principi etici traslati dai secoli delle dispute teologiche.
Anche l’Organismo internazionale preposto a regolare i rapporti tra i popoli ed a far rispettare i trattati, e prevenire i rischi dei conflitti, non ha più il potere di esercitare un ruolo di moderazione e di autorevolezza nel dirimere l’acuirsi di focolai forse mai sopiti.. Non ha più la “moral suasion” di un tempo e neanche l’autorevolezza per imporre le sue risoluzioni.
All’ONU spesso manca persino la capacità d’essere davvero un organismo imparziale e finisce così per non poter più rappresentare un freno ai soprusi ed una opportunità per il ripristino della convivenza civile tra gli stati. Le sue risoluzioni sono puntualmente ignorate e capita sempre più spesso che lo stato delle cose sostituisca gli accordi faticosamente raggiunti tra le parti.
La sovranità nazionale dei paesi più deboli viene violata senza remore ed il diritto internazionale diventa carta straccia dinanzi alla minaccia delle armi e della forza, tanto che la prepotenza, sebbene ritenuta a parole ingiustificabile e controproducente, diviene uno strumento risolutivo e di vantaggio per l’interesse di un paese sull’altro.
L’intervento della Russia in Georgia è un esempio. La questione dell’Ossezia del sud è stato solo un pretesto per esercitare una vera aggressione dal doppio significato: politica di annessione e monito agli altri paesi dell’area perché si sottomettano agli interessi della Russia.
E’ bastato un pretesto alla Russia. E’ bastata un’azione maldestra della Georgia: una reazione alle provocazioni dei movimenti separatisti osseti per trovarsi i russi alle porte di Tiblisi. Ed il tutto fa pensare ad un progetto militare già ampiamente previsto e studiato.
Anche in Medio Oriente le alternative sembrano senza sbocchi. Ci sono realtà come il Libano dove la Siria ed l’Iran esercitano a loro piacimento la loro “sovranità militare” attraverso il “Partito di Dio” l’Hezbollah, armato e indottrinato ad un unico fine che è quello della guerra ad Israele. E sarebbe solo l’inizio della guerra santa invocata dal profeta.
Nello specifico le forze dell’ONU nel sud del Libano al confine con Israele sono rappresentate dai contingenti italiani per una missione di “peacekeeping”, missione appena prolungata fino al 31 agosto del 2009, ma che ignora sia la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 1701 dell’11 agosto 2006 che imporrebbe il divieto di “vendita e fornitura di armi e materiale connesso al Libano” (Si registrano continue violazioni per la fornitura di materiale bellico proveniente dall’Iran attraverso la Siria e diretto alle milizie Hezbollah presso il confine con Israele) e sia la risoluzione 1559 del 2 settembre 2004 che imporrebbe il disarmo delle milizie Hezbollah.
Resta così solo da stabilire la data della prossima aggressione di Hezbollah ad Israele.
A tal proposito c’è chi la prevede comunque in concomitanza con la conclusione del piano atomico dell’Iran.
Ma anche il piano iraniano di completamento del programma di tecnologia per la produzione di ordigni atomici continua, nonostante le ripetute risoluzioni dell’ONU ed ogni tipo di ritorsione commerciale e la tensione dei rapporti diplomatici con buona parte dei paesi del mondo. E non è certo misteriosa la motivazione dell’ostinazione dell’Iran a voler produrre ordigni atomici, avendo già Ahmadinejad dichiarato di voler sperimentare il funzionamento degli ordigni sul territorio di Israele. E questo tanto per iniziare! La guerra santa per chi ha letto qualcosa sul fondamentalismo islamico prevede l’uccisione di tutti gli infedeli.
Come dimenticare Oriana Fallaci e le sue parole sferzanti contro la mollezza dell’occidente, sui suoi governi pavidi, sull’orgoglio, sulla fermezza, sul coraggio, sulla speranza e sulla rabbia?
Saggio è chi si preoccupa del domani e non chi si adagia sulle incertezze di oggi!
Vito Schepisi

22 agosto 2008

Legalità e Giustizia

C’è chi si ostina a ritenere che ai primi posti delle questioni da risolvere in Italia non vi sia quella della giustizia. L’assunto poi è sempre seguito da una serie di considerazioni che finiscono col porre la questione della legalità come fondamentale principio da cui derivano una serie di provvedimenti da assumere nell’interesse delle popolazioni.
Ci sarebbe così da chiedersi come possa porsi una questione disgiunta dall’altra?
Ma si dovrebbe anche chiedere, a coloro che oggi focalizzano l’attenzione sulla legalità, dove fossero quando, nei due anni di governo Prodi, questa legalità non solo non era considerata degna di eccessiva attenzione, ma la sua mancanza, per ignoranza o calcolo, registrava persino episodi di rilevante gravità.
Grave, infatti, dovrebbe essere considerata l’offesa alla responsabilità ed alla dignità delle persone che, come per il caso Speciale, su nomina del potere esecutivo dello Stato, svolgevano servizi di grande importanza e delicatezza nell’interesse, appunto, del controllo della legalità.
L’interferenza nell’autonomia, nello specifico con protervia, del Ministero del Tesoro, nella persona del Vice Ministro Visco, senza giustificato lecito motivo, non è stato certo un grande esempio di attaccamento alla legalità, soprattutto per il significato che la questione assumeva per essere stata proprio la Guardia di Finanza di Milano, i cui vertici si volevano rimuovere, a porre sotto osservazione giudiziaria la scalata di Unipol alla Bnl ed i rapporti dei leader dei democratici di sinistra Fassino, D’Alema e La Torre con l’allora Presidente di Unipol Consorte, tutti uomini appartenenti alla stessa area politica del Vice Ministro Visco.
E neanche deve essere stata orientata al rispetto della legalità la goffa attività dell’esecutivo di Prodi, prima impegnato nel classico “promoveatur ut amoveatur” del generale Speciale con la proposta di nomina al Consiglio di Stato, e poi con l’attacco in Parlamento, all’onorabilità dello stesso Generale, pronunciato dal Ministro Padoa Schioppa, attacco ritenuto platealmente illogico in quanto in stridente contrasto con l’importante nomina prima proposta.
Ed affermare che le funzioni dello Stato devono trarre la loro legittimazione dai reciproci comportamenti rispettosi ed integerrimi non vuole forse dire che questi rapporti debbano rappresentare esempi di correttezza e legalità?
Lo stesso valga per il caso del consigliere Rai Petroni rimosso, sempre dall’allora Ministro Padoa Schioppa, senza motivo che non fosse altro che quello di avvicendarlo con un uomo politicamente vicino all’allora Presidente Prodi ed, anche in questo caso, in modo controverso ed illegittimo.
I casi Speciale e Petroni, prima di altri, costituirono i più eclatanti di un clima di “illegalità” che allora sono stati ignorati dagli odierni benpensanti della legalità, casi per i quali gli organi di giustizia competenti, Consiglio di Stato e Tar, hanno espresso giudizi di illiceità e disposto provvedimenti di reintegro nelle funzioni, sconfessando così le goffe, arbitrarie ed autoritarie iniziative di quel governo.
C’è da intendersi innanzitutto cosa si voglia intendere con “legalità”, perché non si faccia confusione. Le parole oggi vengono spesso pronunciate più per rendere immagini suggestive che per dar corpo a provvedimenti da adottare. Per alcuni sembra che legalità voglia dire semplicemente rimuovere il Presidente Berlusconi dall’incarico in cui, in virtù della maggioranza dei seggi conquistati in Parlamento alle ultime elezioni politiche di appena 4 mesi fa, è stato insediato dal corpo elettorale. Questo, però, sarebbe invece un atto illegale perché solo il Parlamento avrebbe la legittimazione per poterlo fare, con la sfiducia. E non sembra, al momento, che la maggioranza del Parlamento italiano sia orientata a questa soluzione, anche perché l’attività di questo governo pare sia sostenuta saldamente dal consenso degli italiani.
Battersi per la legalità deve invece essere inteso come un impegno costante su diversi fronti come, ad esempio: ripristinare la vivibilità delle città oggi rese insicure dal diffondersi della criminalità; prestare attenzione alla salute pubblica (sanità, smaltimento dei rifiuti, ecologia); offrire servizi efficienti ai cittadini; assistere malati, anziani, ed indigenti; proteggere la maternità e l’infanzia; garantire il diritto all’istruzione in modo diffuso e pluralista; prevenire e reprimere tutti i reati.
Ci sarebbe poi da intendersi su alcune altre questioni. E’ importante, infatti, stabilire che come non è lecita l’evasione fiscale, non è neanche lecita l’immigrazione clandestina. Non è giusto sottrarsi alla giustizia, o al giudice naturale, se non nei casi previsti dai codici, ma non deve essere inteso giusto neanche far politica attraverso la giustizia.
Una giustizia politicizzata finisce sempre con essere la negazione stessa della giustizia.
Dovrebbe essere immorale rimuovere i magistrati scomodi, com’è accaduto per De Magistris e la Forleo, solo quando i loro presunti comportamenti scorretti siano indirizzati verso una parte politica, ignorando invece i casi di altri, con atteggiamenti anche più eclatanti, che si distinguono nei loro atti per accanimento politico verso la parte avversa.
Non sono giusti i condoni fiscali ma neanche gli indulti, sebbene sia gli uni che gli altri devono a volte rispondere anche a criteri di opportunità ed a carenze della pubblica amministrazione. Non è onesto far pagare alle classi più bisognose le difficoltà delle imprese, ma neanche sottrarre al contributo fiscale, come tutte le attività produttive e commerciali, le catene di cooperative operanti nei settori più diversi dell’economia del Paese. Soprattutto se i loro ricavi finiscono per finanziare scalate bancarie o campagne elettorali.
La questione Giustizia, inoltre, non è solo questione di legalità ma anche di legittimità. Nessun potere, infatti, può essere esercitato senza adeguato controllo. I costi elevati, ancora, non consentono il dispendio di ingenti energie alla ricerca di argomenti più da gossip che da rilevanza penale. Se oggi tutto è spettacolo non vuol dire che si possa tollerare che anche la giustizia lo sia, e richiedere riservatezza e prudenza non deve essere inteso solo per rispetto della privacy e della dignità dell’uomo, ma soprattutto per una chiara scelta di civiltà.
La giustizia deve essere esercitata realmente in nome del popolo.
Ci sarà, pertanto, un modo di amministrarla tale da rendere la sua attività in empatia con le ansie e le preoccupazioni dei cittadini, magari in simbiosi con la richiesta popolare della prevenzione e repressione dei reati di più rilevante pericolosità sociale!
L’autonomia dei magistrati, inoltre, dovrebbe riguardare più l’esercizio della funzione che la sua libera interpretazione.
La legalità, infine, si può sviluppare e diffondere attraverso una profonda riforma dell’ordinamento giudiziario in cui centrale deve apparire la questione della separazione delle carriere, tra magistratura requirente e magistratura giudicante, soluzione che deve essere considerata alla base del giusto processo.
Non si può, infatti, pretendere legalità dove non si diffonde giustizia.
La magistratura ed i magistrati devono acquisire la cultura di considerare la funzione giurisdizionale come un servizio da rendere alla società ed alla democrazia e non come strumento per la propria scalata sociale e/o per la crescita del potere della “casta” in cui finiscono per arroccarsi.
Vito Schepisi

20 agosto 2008

Un Partito schizofrenico e depresso



E’ serrato il dibattito nel PD sulla fisionomia del Partito, sulla collocazione nelle grandi famiglie della democrazia europea, sulle scelte strategiche dell’opposizione e sugli uomini.
In un anno sono successe tante cose ed il quadro si è modificato completamente. Resta però uguale la grande confusione della scorsa estate, quando non esisteva ancora il PD e le componenti maggioritarie dell’Unione si apprestavano a fondare il nuovo soggetto politico. Si ebbe allora l’impressione che sorgesse, non per un comune sentire e per l’individuazione di una matrice politica in cui riconoscersi, ma solo per l’ambizione di creare un grande partito unico della sinistra e, per interessati calcoli elettorali, il primo partito italiano per consistenza numerica.
Per questa ragione il PD è parso più come una somma di influenze correntizie che come un grande partito riformista. Più uno strumento elettorale compromissorio tra cattolici di sinistra e post comunisti che una svolta matura di matrice liberale e progressista.
L’operazione che si voleva che emergesse dalla base per un nuovo modo d’essere sinistra moderna e democratica, sul solco dell’omonimo Partito Democratico degli Stati Uniti, naufragava di fatto nel più tipico dei verticismi. Si misuravano col bilancino ruoli e poltrone e si creava un apparente investitura democratica intorno alla figura del leader indicato dai vertici, Walter Veltroni. Con l’espediente delle primarie, con Prodi oramai fuori gioco e con assoluta mancanza di diverse alternative possibili, Veltroni veniva “nominato” segretario del PD. Persino Bersani era stato invitato a non presentare la sua candidatura. Una democrazia apparente. Le primarie si celebravano così, come una mera formalità, per mancanza di credibili candidature contrapposte.
Non è in questo modo che si forma un leader politico. Anche un brocco prevale in una competizione con i cavalli da traino. In questo modo si finisce invece col bruciare i potenziali leader politici, facendo perdere loro la necessaria autorevolezza.
Per la seconda volta, dopo l’investitura di Prodi, la sinistra aveva ripercorso la stessa strada di far calare dall’alto il leader designato dai potentati politici con lo scopo di vincolarlo alle macchine dei partiti e delle lobbies di riferimento.
Come allora, quando grande assente era la politica, mentre si diffondeva la crisi della sinistra riformista con la sua incapacità di elaborare proposte per affrontare le difficoltà del Paese, anche oggi grande assente a sinistra è sempre la politica.
C’è una manifesta incapacità di svolgere opposizione propositiva. La sinistra italiana non riesce ad uscire dall’abitudine al no pregiudiziale e rivela la sua incapacità di trovare spazi di confronto e di dialogo sulle iniziative del Governo e del Parlamento. Sembra che ci sia una barriera ideologica eretta per mancanza di cultura pluralista. In larghi strati della sinistra si manifesta una sorta di complesso di inferiorità verso coloro che sposano le soluzioni sbrigative ed autoritarie. Quasi una sindrome Di Pietro.
Sono due le cose che in questa realtà preoccupano:
la prima fa riferimento alla mancanza di una opposizione in grado di essere credibile come alternativa - cosa che deve essere considerata essenziale per una democrazia liberale compiuta;
la seconda attiene, invece, al dialogo sulle riforme dello Stato e della Costituzione.
E’ diventata, infatti, indifferibile l’esigenze di procedere alla scrittura delle nuove regole che sanciscano i principi della democrazia, della sovranità popolare, dell’esercizio e del controllo dei poteri. E’ improcrastinabile l’esigenza di adeguare la Costituzione Italiana sia ai mutati scenari proposti da una democrazia parlamentare consolidata, che alla necessaria velocità dei percorsi decisionali nell’era del “tempo reale” e della “globalizzazione” che coinvolge informazione, produzione, mercati e fenomeni economico-sociali in genere.
Il tempo del "ma anche" è scaduto” - afferma Arturo Parisi - unico che nel PD non mostra ritrosia nella critica a Veltroni. Ma non è solo questione del “ma anche” perché mancano persino i concetti da accomunare, manca del tutto una linea politica ed uno spazio su cui muovere i passi della proposta politica alternativa. E senza una proposta politica, cioè senza un indirizzo verso cui dirigersi si cammina a vuoto e si sprecano inutilmente energie.
E’ il caso della campagna della raccolta di cinque milioni di firme per “salvare l’Italia”. Un’iniziativa contestata da diverse personalità del PD e che non ha senso perché l’opposizione, che è parsa pregiudiziale, alle iniziative di questo governo è intesa invece dagli italiani, come indicano i sondaggi di diversa provenienza, come una incomposta reazione tesa ad impedire che l’identità e l’autorevolezza del Paese vengano recuperate. Quasi il volere un’immagine irrimediabilmente compromessa della Nazione. C’è una immaturità democratica ed una mancanza di spirito nazionale che spinge a compromettere gli interessi dell’Italia pur di far prevalere un giudizio negativo sulle azioni di governo.
Salvare l’Italia! Ma salvarla da cosa? Gli italiani nella scorsa primavera hanno votato per la coalizione di centrodestra per salvare il Paese dal declino in cui Prodi lo stava conducendo.
I “ma anche” di Veltroni non sono stati ritenuti credibili dalla maggioranza degli elettori. E non è stata ritenuta credibile una sinistra riformista che, con i suoi ministri e sottosegretari e con i suoi leaders, non si era mostrata capace di varare riforme ma, al contrario, era parsa impegnata solo ad ostacolarne il percorso. Non è stato ritenuto credibile questo PD che ripresentava i volti arcigni ed intolleranti di biechi conservatori appartenenti ad una casta impegnata nella gestione dei poteri che in Italia si annida imperturbabile da decenni e che svilisce l’operosità ed il coraggio di lavoratori ed imprese.
Invece di raccogliere le firme per “salvare l’Italia” il PD potrebbe impegnarsi a capire le ragioni della sua sconfitta.
Ha ragione Arturo Parisi quando afferma che “il PD da schizofrenico sta diventando depresso”!
Vito Schepisi


25 luglio 2008

Dopo il Lodo Alfano, sia consentito al Governo di lavorare

Con la firma del “Lodo Alfano” il Presidente Napolitano ha reso legge in vigore il provvedimento che tutela le quattro più alte cariche istituzionali ed esecutive dello Stato.
Una firma che sancisce almeno due successi della democrazia rappresentativa:

- l’azione di un Capo dello Stato garante dell’efficacia delle istituzioni e fedele interprete della volontà del Parlamento e dei cittadini;

- la supremazia del potere popolare su quello esercitato dalla magistratura, pur conservando alla funzione giurisdizionale la prevista autonomia.

Quando si parla di democrazia s’intende, o si dovrebbe intendere, per l’appunto questo.
Come, infatti, ci si può proclamare democratici ed antifascisti quando le funzioni dello Stato, interpretando male i limiti della propria autonomia, vengono utilizzate per sovvertire la sovranità popolare?
Non vuole essere retorica quella di ribadire che l’autonomia della magistratura debba riferirsi alla capacità di essere indipendente dai diversi poteri, ma anche dalle ideologie o dalle correnti politiche.
Un magistrato che senta come suoi nemici alcuni politici non è un servitore dello Stato che esercita la sua funzione nell’interesse del popolo, ma un appendice piuttosto disgustosa di partiti e fazioni e per di più extraparlamentare: una terza Camera che vaglia l'operato dell'esecutivo, priva però del suffragio popolare. Una magistratura siffatta, a giusta ragione, è definita persino eversiva.
Come non ricordare certi episodi di giustizia spettacolo e l’uso “violento” delle prerogative inquisitorie del carro armato giudiziario con le sue implicazioni politiche sulle scelte elettorali e sull’opinione pubblica? Di Pietro osannato come un eroe per la sua ferocia!? E come può essere ignorata la mortificazione mediatica verso presunti colpevoli, molti successivamente risultati innocenti, spesso vittime di denigratorie campagne di stampa per indagini "misteriosamente" sfuggite al segreto istruttorio?

Nel 1994 è stato persino montato un “ribaltone” elettorale con un “avviso di reato”, misteriosamente “notificato” dal Corriere della Sera al Capo del Governo italiano in carica, mentre era impegnato a Napoli in un vertice internazionale sulla sicurezza. Per quella accusa Berlusconi è risultato innocente. Ed innocente il leader del centrodestra è risultato per tutte le altre accuse per le quali è stato oggetto di “avida” attenzione da parte di una magistratura sempre più visibilmente agguerrita ed intransigente contro di lui.
Non manca la solita retorica della sinistra giustizialista sulle prescrizioni. Circola su tutti i siti di sinistra in internet l’elenco di tutti i processi intentati al Presidente del Consiglio, dove appaiono giudizi estrapolati da contesti più ampi delle sentenze di assoluzione, tali da far apparire comunque la presenza di una colpa, e dove vengono riportate le prescrizioni come se fossero condanne non comminate.
C’è un maestro di stralci di atti giudiziari che appaga i sogni giustizialisti di una sinistra senza una precisa strategia e miseramente contigua all’antipolitica che con l’antiberloscunismo ha trovato la sua miniera d’oro.
L’antipolitica, del resto, non è altro che un qualunquismo perfido e cattivo che si affida all’indole forcaiola di quel popolo che affoga le proprie frustrazioni nell’attribuire a qualcosa o qualcuno le responsabilità della propria mediocrità.
L’intervenuta prescrizione, invece che un limite della macchina giudiziaria, è diventata una colpa dell’imputato. Molti ignorano che invece è uno strumento utilizzato da alcuni magistrati, interessati più a lasciar sospeso il giudizio che a dimostrare l’innocenza dell’imputato e la relativa sua assoluzione. Una prescrizione di solito sopraggiunge quando mancano le prove sufficienti per dimostrare la colpevolezza dell’imputato, o quando i processi vengono trascurati dalla macchina giudiziaria, e quest’ultimo caso non è proprio attribuibile ai processi contro Berlusconi.

Finalmente dunque il “Lodo Alfano” che sottrae alla magistratura militante le armi per battersi contro il capo della maggioranza. Finalmente per porre fine ad una guerra che dura ormai da 14 anni, e cioè da quando il leader di centrodestra ha scippato dalle mani di Occhetto e della sua “macchina da guerra” il governo del Paese.
C’è in Italia un gusto masochista di farsi del male.
Sono state utilizzate le funzioni dello Stato, più che per promuovere la splendida immagine italiana nel mondo, per renderla incerta ed inquietante. Si è permesso persino ad un politico della sinistra belga, attuale presidente del gruppo parlamentare socialista nel Consiglio Europeo, di offendere e villanamente infangare il nostro Paese quando Berlusconi, allora Capo del Governo italiano, s’accingeva ad inaugurare il semestre italiano della Presidenza del Consiglio Europeo.
La sinistra italiana in contiguità con l’ala giustizialista della magistratura e sulla base di una lotta politica protesa unicamente a scalfire l’immagine dell’avversario politico, utilizzando soprattutto le sue vicende giudiziarie, non si è sottratta in alcun momento dall’utilizzare la stampa ed il personale politico di paesi stranieri.
Questo modo di agire ha una sola parola per essere definito: viltà!
La sinistra italiana si comporta come la classe politica dei paesi dell’Est europeo sotto il socialismo “reale”, quando si sopprimeva l’avversario politico attribuendogli pesanti ed impopolari reati, ovvero facendolo passare per folle, o ancora rendendolo vittima di un incidente mortale per eliminarlo fisicamente.
Anche con il decreto sicurezza si è tentato di applicare gli stessi metodi della denigrazione: come se l’Italia, invece di un problema di clandestinità e di inadeguati controlli per i flussi extracomunitari, avesse problemi di xenofobia e di razzismo.
I partner dei paesi europei dove, invece, vigono controlli rigidi e maglie chiuse con severità per frenare l’immigrazione clandestina, ispirati dai soliti (anti)italiani hanno persino intentato una censura alle nuove norme del decreto sicurezza, anche se la nuova legislazione permette di rendere più efficaci i controlli e persino conformi alle direttive della stessa comunità europea.
La lealtà del confronto politico è venuta meno da tempo.
Se qualcuno pensava che la sinistra fosse cambiata, sbagliava previsione.
Sarà per questo che la sinistra in Italia si è sfaldata e continua a sfaldarsi, perdendo credibilità ed elettori, mentre il Paese avrebbe bisogno di una sinistra propositiva e democratica per rendere effettivo il principio della democrazia compiuta e dell’alternanza.
Vito Schepisi

11 luglio 2008

Emergenza Giustizia

In Italia si discute di giustizia come se l’argomento fosse correlato ad una situazione, in corso, di normale gestione. Come se l’indignazione sui gravi episodi di malagiustizia, sui tempi biblici dei processi, sulle mole ed i costi delle intercettazioni, sui presunti assassini liberati per decorrenza dei termini della carcerazione preventiva, sugli sconti di pena, sui pentiti e la reiterazione dei loro reati, sui benefici discrezionali concessi a carcerati di grave pericolosità sociale e se alcuni controversi provvedimenti di magistrati non fossero ragioni sufficienti per richiedere interventi incisivi.
Si ha la sensazione che la giustizia si risolva nella diffusione di conversazioni private in cui vengono coinvolte vittime penalmente innocenti per una sorta di abitudine grottesca di sbirciare nell’intimità degli italiani più noti. Come se la giustizia fosse un gossip continuo in cui si avvicendano pettegolezzi e notizie sensazionali. E questo modo un po’ becero ed un po’ pruriginoso sta assumendo toni e colori su cui si arroventa una lotta politica sul filo del diritto. E questo modo finisce pure col mettere a nudo una situazione della giustizia lontana dai basilari principi della civiltà giuridica e persino della libertà dei cittadini di essere, nei limiti dei comportamenti leciti, ciò che si vuole nel privato.
La giustizia italiana è spesso confusionaria, disorientata, disomogenea e discriminatoria. E con queste qualità, in questo settore così dirompente per la vita di uomini e famiglie, vengono persino meno i diritti e la dignità degli individui, ed i principi stessi della democrazia. Se la quantità e qualità della giustizia in Italia fosse paragonata all’efficienza produttiva e qualitativa di un’impresa il fallimento sarebbe già stato dichiarato da tempo.
Tutti hanno la sensazione che l’obbligatorietà dell’azione penale sia l’ipocrisia più grande di un Paese dove chi ha approfittato non ha mai pagato e dove la giustizia viene esercitata sulla più plateale discriminazione. Anche politica!
Chi non ha mai avvertito che questa Italia furba annovera impuniti di reati di ogni tipo, che il popolo italiano ha subito e paga con il suo enorme debito pubblico?
Questa magistratura che si è tenuta lontana dall’indagare sulle grandi fortune di spregiudicati finanzieri, mentre ora, in connivenza con la politica di una sinistra senza identità ed allo sbando, contigua alle caste ed agli spazi dei privilegi, si concentra per sferrare l’ormai rituale aggressione giudiziaria su coloro che non hanno la responsabilità dello scempio commesso. Sembra che prevalga il timore che il nuovo vento che si contrappone al sonnacchioso conservatorismo dei poteri forti possa demolire gli spazi corporativi di un Paese che, ad oltre sessanta anni dalla liberazione, non riesce ad emergere da un sistema ancora imbrigliato dall’egemonia illiberale e presuntuosa di un antifascismo di maniera.
Sembrerebbe così che ogni modifica richiesta rappresenti un pericolo per l’equilibrio stabilito. A guisa di battaglie per evitare di compromettere un virtuoso esercizio di un servizio, e per garantirne la giusta ed imparziale fruizione, nell’interesse dei cittadini ed in nome del popolo italiano, si grida all’allarme sociale per ogni tentativo di riformare questa giustizia così discussa e così evidentemente “ingiusta”.
Si supera persino la farsa con alcuni giornalisti, attori, scrittori, comici, intellettuali e politici che si ergono a difesa della legalità, cioè di quella “cosa” che in Italia non esiste. Non esiste soprattutto perchè chi la predica molto spesso sostiene che le leggi vanno interpretate, più che applicate, ed addirittura ignorate in nome di discutibili principi umani, politici ed ideologici. Si disputa sulla giustizia con furbi di ogni specie e tromboni rancorosi, residuati di un’ideologia fallimentare, accantonata e sepolta persino dalla classe dirigente del movimento politico che ne dovrebbe vantare la naturale eredità.
Ci sono ancora personaggi così integrati nel loro ruolo: come quei giapponesi combattenti dell’ultima guerra a cui non è mai stato detto che la guerra era finita e che con la guerra si era esaurito un periodo della storia.
Molti compagni si sono ormai imborghesiti ed ora la rivoluzione la fanno nei salotti buoni o tutt’al più con qualche frivolo girotondo. Ora tra farse e comparsate, tra incredibili libri trasudanti odio e livore, c’è chi si impegna solo a far ingrossare i propri conti bancari, perché in Italia c’è sempre chi è disposto persino a pagare per farsi plagiare.
Il proletariato piuttosto che soffrire la fame per la lotta alla crescita, come è stato nel passato, preferisce lo sviluppo ed i consumi. Piuttosto che l’abbattimento del capitalismo, preferisce la sua diffusione per accrescere la ricchezza. Più che lottare per abbattere il profitto chiede un giusto salario per sostenere i bisogni della famiglia.
Di contro si ha l’impressione che ci sia la volontà di fermare le riforme che i cittadini richiedono e che il “grande vecchio” si muova sempre per mantenere la situazione “quo ante” e cioè la confusione più ampia che serva a perpetuare il controllo delle cose.
Su tutti i provvedimenti si grida al complotto, alle leggi “ad personam”, al pericolo dell’involuzione democratica del Paese. Si fa leva su tutto ed in ogni luogo anche all’estero dove, a costo di ledere l’immagine dell’Italia, non si risparmiano colpi bassi e false suggestioni. Persino vergognosi e assurdi richiami alle leggi razziali.
Personaggi che hanno solidarizzato con i più pericolosi criminali della terra presumono ora di poter rilasciare lezioni sui diritti umani.
Se la giustizia è questa e se l’opposizione cavalca il giustizialismo di Di Pietro, per poi prendere le distanze solo dai suoi eccessi, non può non porsi la necessità di adottare una legge che ponga al riparo degli assalti giudiziari le istituzioni del Paese.
L’Italia ha bisogno di un Governo capace di fare le riforme e di rilanciare la coerenza democratica di una rappresentanza politica di governo che sappia interpretare le esigenze degli elettori.

Vito Schepisi

01 luglio 2008

Gli assalti dell'opportunismo ignorante

Non so se sia così in tutta Italia ma dalle mie parti quando si ha a che fare con un individuo riprovevole s’usa dire: “dovresti vergognarti persino d’essere nato”. Ma sappiamo che il senso etico di ciascuno è ben distinto o ancora che questi ne possa anche avvertire la misura, ma l’indole meschina di poterne e volerne valutare la portata finisce sempre per indurre ad optare per l’uso strumentale della propria pochezza.
In causa è spesso l’ignoranza a cui sopraggiunge l’esercizio di un benché minimo potere. Esercitarlo, se pone dubbi e mette in crisi le menti illuminate, le persone tolleranti e le coscienze democratiche, fa “esondare” di insipiente soddisfazione ogni limitato. “noi gonfiamo e divegnamo superbi, e non ricapendo in noi... essondiamo” (Boccaccio).
Parlare degli uomini, quando ci si riferisce agli altri, è cosa anche semplice e se si è prudenti lo si può fare impunemente. La libertà di parola avrebbe il solo limite verso l’ingiuria e la diffamazione, ed anche questi limiti, a seconda della parte offesa, a volte vengono superati
L’offesa ha così il suo limite nell’uso delle parole, ovvero nel significato comune che alle stesse generalmente si dà. Ad esempio, se Di Pietro avesse detto che Berlusconi si occupa di attricette per favorirne la carriera, sfruttandone eventuali vantaggi politici e/o edonistici, avrebbe anche potuto evitare l’annunciata querela e offrire ugualmente la stessa immagine, che l’ex magistrato voleva focalizzare, e cioè quella di un Presidente del Consiglio avvezzo ad attività al limite del lecito e comunque oltremodo frivole rispetto al suo ruolo.
Ma parlare di “magnaccia” non solo è da trivio ma inserisce nel concetto anche un’evidente carica di violenza.
Voluta la violenza? O frutto casuale di un insipiente uso della parola? Forse un po’ l’una ed un po’ l’altra cosa: per accentuare lo scontro e, consapevole della presenza nel Paese di fasce di intolleranti, porsi quale più credibile oppositore di questo governo, ovvero per incapacità di esprimersi in modo civile. La sua indole di poliziotto, incline ai metodi sbrigativi ed all’uso gridato della parola, alla fine prevale comunque, anche quando i nuovi ruoli imporrebbero comportamenti diversi e soprattutto classe, educazione e rispetto istituzionale.
Il personaggio è “scarpa grossa e cervello fine” come si dice degli italiani del meridione d’Italia. Possiede la furbizia di coloro che non si pongono scrupoli, come quando da magistrato ha inflitto più pene inquisitorie che condanne agli imputati che gli capitavano a tiro; più violenza verbale, tipo “a quello lo spezzo”, che qualità giuridiche.
Cosa pensa di Di Pietro una notevole quantità di cittadini italiani, e forse non solo italiani, non emerge e per ovvie ragioni non può emergere. Alcuni pensieri sono irripetibili e questa volta non per buon gusto ma per l’abitudine del signore in questione alla querela ed alla richiesta risarcitoria che la corporazione, alla casta, non nega mai.
Si può dire, però, ciò che nell’ex magistrato, nell’uomo e nel politico non emerge. Non abbiamo riscontri, ad esempio, della sua capacità intellettuale tale da consentirgli di vincere un concorso in magistratura. Non abbiamo potuto apprezzare i suoi modi democratici, la sua finezza espressiva, la sua umanità nell’esercizio delle sue funzioni prima di magistrato e poi di politico. Non abbiamo alcuna indicazione sul suo programma politico che prescinda dai temi sulla giustizia, dal suo giustizialismo e dall’odio verso Berlusconi. Anche la strategia della convergenza elettorale col PD lascia perplessi prima che gli elettori, gli stessi dirigenti del Partito Democratico.
Un furore degno di causa migliore. Tanto da lasciar il dubbio in molti che, come tutti gli amanti dei metodi sbrigativi, abbia bisogno di individuare un proprio nemico. Nella passata legislatura, al Governo con Prodi, non poteva prendersela più di tanto con l’opposizione ed il suo nemico era Mastella, ma anche Pannella quando gli capitava a tiro.
In questa legislatura il bersaglio più “eccellente” (chiedo scusa per il dipietrismo.Ndr) per politici e magistrati non può che essere Berlusconi.
In altri tempi l’avrebbero tacciato di atteggiamento reazionario, di neo fascismo e non gli avrebbero consentito spazio nel confronto politico. Oggi, invece, tutto ciò che è utile al sistema della delegittimazione dell’avversario politico è utilizzato senza troppa vergogna. Anche se scaturisce da persone che adottano metodi e mostrano indole autoritaria.
Abbiamo perduto il gusto dello scontro politico duro ma serio e corretto. Abbiamo perduto il gusto della lealtà e della dialettica raffinata.
Ora siamo alla mercé di guitti e umorali, siamo a doverci difendere dagli assalti dell’opportunismo ignorante.
Vito Schepisi

30 giugno 2008

La paura smorza la voce degli uomini

Sulle misure per la sicurezza c’è chi lancia allarmi contro le nuove norme e ne mette in discussione la compatibilità con i trattati internazionali, la normativa europea ed i principi universali dei diritti degli uomini. Sono per lo più evasioni dalla logica di un’opposizione a corto di argomenti più seri. Si dispiega così il festival degli equilibrismi interpretativi, conditi di vere e proprie bufale, come quella del presunto contrasto con le direttive comunitarie sulle impronte digitali ai nomadi, minori compresi. La recente direttiva europea, al contrario, indica tra l’altro proprio l’adozione di questo provvedimento.
Addentrarsi su questo percorso, e cioè nel guardare all’interno della casa del vicino per sentirsi cautelati nel rispetto di ciò che può apparire, sembra, però, un esercizio del provincialismo di certa politica italiana.
Sarebbe auspicabile, invece, un Paese cosciente delle proprie esigenze e capace di risolvere i suoi problemi in autonomia, senza scimmiottare ciò che fanno gli altri, soprattutto se non sempre possono essere presi ad esempio. Il faro ovviamente deve essere la garanzia del rispetto umano e dei principi di solidarietà e di convivenza civile, ma anche della libertà di tutti di sentirsi cautelati e protetti dalle istituzioni pubbliche.
Lo Stato deve pretendere da tutti il reciproco rispetto. I cittadini devono avvertire la certezza della sua presenza, anche nella funzione di arbitro delle difficoltà sociali, per iniziative di buon senso ma anche e soprattutto per indurre al rispetto delle leggi. Le Istituzioni devono essere, inoltre, garanti dei diritti di ciascuno, anche, e forse soprattutto, di coloro che hanno la cittadinanza italiana e che contribuiscono attraverso l’imposizione fiscale al mantenimento della coscienza nazionale e della sua organizzazione politica.
Non è possibile pretendere che lo Stato abdichi a questa fondamentale funzione. Non è possibile continuare, com’è stato nel passato, che in nome dei principi della solidarietà e dell’accoglienza dei diseredati, si possa chiudere uno o tutti e due gli occhi dinanzi a questioni che mettono in discussione le origini, la cultura, le tradizioni, le abitudini, la qualità della vita, la decenza, la tranquillità e la sicurezza delle nostre famiglie, delle nostre donne, dei nostri figli, dei nostri concittadini. Questo non è possibile e non può essere consentito!
Il provincialismo non aiuta soprattutto quando non riesce a vedere le questioni nella loro complessità. E’ capitato persino che da altri paesi, ad esempio dalla Spagna, arrivassero richiami preoccupati verso alcune norme sull’immigrazione clandestina. Le iniziative parlamentari della maggioranza italiana, ritenute, su sollecitazione di ambienti della sinistra italiana, rigide e repressive, dovrebbero invece essere giudicate blande e garantiste, se paragonate ai modi del paese iberico che, retto da un primo ministro indicato come esempio per la sinistra italiana, è arrivato addirittura ad usare le armi per respingere gli immigrati alle frontiere.
L’Italia per la sua umanità e per la tolleranza della sua gente in tutti i tempi, anche quelli bui dei conflitti e delle occupazioni coloniali, non ha mai dato adito a sospetti di comportamenti violenti, xenofobi e/o razzisti, al contrario di altri paesi europei che si fanno venire pruriti di buon senso e di civiltà in casa d’altri.
Non si pretende d’essere esempio per nessuno ma nello stesso tempo non si può pretendere che altri ci facciano scuola.
La questione è, né più né meno, in questi termini: esiste un problema sicurezza in Italia.
Se c’ è un evento delittuoso la polizia interviene per garantire l’ordine e la sicurezza. Lo fa in base ai principi generici dell’ordine pubblico, ma anche per il rispetto di apposite leggi che lo Stato italiano ha adottato per prevenire e reprimere il crimine e l’illecito, oltre che per cautelare la sicurezza dei cittadini.
Se c’è un problema di sicurezza e condizioni di invivibilità civile nei consessi urbani lo Stato ha così il dovere di intervenire per rimuoverne le cause.
Le Istituzioni pubbliche hanno così anche la facoltà di dotarsi delle leggi necessarie per arginare il fenomeno. E se questo è determinato dalla massa di immigrazione clandestina ha il diritto-dovere di fermarne il flusso.
Se per pubblica sicurezza sono adottate leggi limitative della libertà di ciascuno, come nel codice della strada, ad esempio, per limitare la velocità dei veicoli, causa di incidenti con morti e feriti, le limitazioni delle libertà non possono e non devono essere intese come limiti all’uguaglianza ed alla libertà personale, ma come argine all’uso indiscriminato della propria libertà che in alcune circostanze lede sostanzialmente il diritto all’incolumità degli altri. Questo è un fondamentale principio liberale che trova riscontro in ogni disputa filosofica sul confronto di etica e politica.
La stessa cosa è per l’immigrazione clandestina, con le leggi che la pongono come reato e/o come aggravante per i reati commessi sul territorio nazionale e per le norme, come il deposito delle impronte digitali per i nomadi, soprattutto allorquando è noto che in Italia esiste una tratta inumana e spietata per lo sfruttamento dei minori e degli invalidi.
I cittadini italiani hanno il diritto di sentirsi tranquilli nelle loro città.
Non avere timore è il bene primario e fondamentale di ciascuno perché senza terrore l’individuo è libero d’esprimersi e riscuote rispetto.
La paura, invece, smorza la voce degli uomini.
Vito Schepisi

27 giugno 2008

Chi vuol mortificare la speranza?


S’avverte nel Paese, tra la gente, un’aria di speranza. E’ come l’avanzare di una ritrovata fiducia. L’Italia sa di avere la storia più fantastica del mondo. Sa d’aver impresso un’orma indelebile sulla storia della civiltà. Ha dalla sua l’arte, la bellezza, la fantasia, l’estro, la tolleranza della sua gente.
Ha tutto per non lasciarsi andare, possiede nella sua cultura l’antidoto alla depressione, nelle sue immagini la pozione magica che ringiovanisce. Ha l’istinto vivo dell’essere più che la rassegnazione del comparire, come accade ai caratteri più forti che affrontano con coraggio ogni competizione.
Non manca ancora al Paese l’iniziativa e la voglia di scalare le classifiche e di essere tra i primi in tutti i campi. Dalla scienza, all’arte, allo sport, al gusto, l’Italia è la terra dove niente è impossibile e tutto ciò che accade non è mai per caso, ma per risultante di una straordinaria genialità.
La depressione agli umani si presenta quando s’avverte la sensazione di non avere speranze; quando sembra che nulla si sistemi e che i punti fermi vengano meno; quando si è trascurati dal prossimo; quando non si ha niente da dire e nessuna voce da ascoltare.
Perché l’Italia, allora, la si deve volere depressa? Perché non deve prevalere la fiducia? E perché non debbano emergere gli intuiti positivi della consapevolezza di una grande potenzialità?
Prodi è storia passata, ed anche D’Alema arranca alla ricerca della spocchia perduta. Veltroni è un’idea senza pensiero, ed anche la Rosy Bindi non se la tira nessuno. Persino la Jervolino è alla fine della sua corsa e Bassolino si appresta ad uscire sommesso dalla scena. Per bene che gli vada! C’è un olezzo che li sommerge tutti e non solo del marcio della spazzatura di Napoli. E’ un puzzo di vecchio, di stantio, di superato.
L’aria nuova è avvertita come una brezza che disperde il cattivo odore. Come una musica orecchiabile che si diffonde e fa ritrovare la gioia di ritrovarsi per le strade a vivere le nostre città e le nostre bellezze. C’è una voglia di stare tra la gente in allegria, senza timori, per riprenderci gli spazi che ci appartengono, nelle nostre piazze, tra i nostri monumenti che il mondo ci ammira e di cui siamo sempre orgogliosi
E‘ questa la sensazione dell’Italia che spera e che sa d’aver dinanzi tempi ed ostacoli difficili da superare. Non è solo il decreto sicurezza o il mutamento della mentalità fiscale del governo a restituire questa voglia, ma la fiducia nel nuovo che s’appresta a respingere la sclerosi di un’Italia imbrigliata dai feudi e dalle caste, dai riti consueti e senza senso, dai privilegi di pochi e dai sacrifici di tanti.
Anche Casini e Buttiglione non contano più niente nonostante si agitino nella gabbia in cui politicamente si sono rinchiusi. Non sono una grave perdita! Anzi, piuttosto più una liberazione!
C’è un governo che ha preso atto della fermezza degli elettori italiani nel voler superare, senza ipocrite gabbie ideologiche, le questioni quotidiane di tutti. Un’Italia sovrana che spinge a dirimere sulla questione della sicurezza le preoccupazioni di tanti, più che le richieste marginali dei presunti diritti violati di pochi.
Anche l’attenzione verso i beni primari, la prima casa d’abitazione, ad esempio, ma ancora l’aiuto agli anziani e le maggiori risorse ai lavoratori ed il ricorso al prelievo fiscale per vincere le speculazioni di petrolieri e banchieri, vengono interpretati dagli italiani come un segnale di grande disponibilità a voler discendere dai gradini della demagogia per vincere le sfide del recupero dell’equilibrio sociale.
Questo Governo non sembra disposto, come il precedente, a sperperare 10 miliardi di Euro per anticipare di 18 mesi (scalone-scalino) la data pensione ad una minoranza di lavoratori garantiti, a discapito di una quantità molto più rilevante di lavoratori privi invece di garanzie!
A questa aria di nuovo e di efficienza, però, non fa riscontro un clima politico soddisfacente.
Come in passato, quando si passa ai fatti ed alla gestione condivisa con gli elettori dei provvedimenti promessi in campagna elettorale, sembra sorgere la preoccupazione che l’efficienza che si vuole adottare possa smascherare il castello di menzogne sfornate.
C’è il terrore che si mostrino evidenti le contraddizioni di una politica della sinistra che, proponendosi progressista, finisce col respingere ogni riforma. Sembra che in Italia i ruoli siano invertiti e che le riforme siano spinte dai “conservatori” mentre la sinistra mostra di voler congelare tutto per mantenere integra la sua rete di poteri e di privilegi.
L’abbiamo visto con la “riforma” dello Stato!
La sinistra occupa le stanze buone della finanza e della editoria, degli enti a partecipazione pubblica e soprattutto quelle dell’ordinamento giudiziario.
Ed è proprio quella parte della magistratura militante che si ripropone puntualmente di sconfiggere con le trappole giudiziarie ciò che la sinistra non riesce a fare con la sua proposizione politica.
Si ha l’impressione che la sentenza di colpevolezza in primo grado di Berlusconi nel processo che lo vede coinvolto nell’ipotesi di corruzione dell’avv.to Mills sia già scritta. Come è anche fuori di dubbio la sua assoluzione in appello, per estraneità ai fatti, quando dovranno essere accolte le prove della difesa che i PM si sono rifiutati di acquisire.
Sembra una trappola politico-giudiziaria che deve far preoccupare. Una trappola che rappresenta un preoccupante “vulnus” alla democrazia.
Come poter credere così al dialogo con l’opposizione che la cavalca?
Si fa sentire la necessità di una radicale riforma della magistratura sulle linee ben note della separazione delle carriere, della responsabilizzazione civile e penale dei magistrati e della diversa disciplina dell’obbligatorietà dell’azione penale che sappiamo trasformarsi nella discrezionalità dei PM
Alla “luna di miele” del Governo con il popolo italiano si vuole, così, sostituire il “fiele” del conflitto.
Ancora una volta si vuole mortificare la speranza! Ma si riuscirà questa volta a restituire agli italiani un Paese normale?
Vito Schepisi

26 giugno 2008

L'uomo senza vergogna

Sapevamo che di lui non ci si poteva fidare. Sin da quando in televisione ad una puntata della trasmissione del compagno Fabio Fazio aveva dichiarato solennemente che l’esperienza da Sindaco di Roma sarebbe stata la sua ultima esperienza politica.
Non ci si poteva fidare per nessuna ragione di Veltroni.
E così l’hanno pensata in grande maggioranza gli italiani che nello scorso aprile, in numero di due su tre, gli hanno negato il voto.
Ora accade che, su di una relazione della Ragioneria generale dello Stato, sulla situazione finanziaria del Comune di Roma, in cui si sostengono conclusioni del tipo: “si può affermare, con tutte le cautele del caso, che il Comune di Roma versi in una situazione di grave difficoltà finanziaria” , il nostro parli di bufala mediatica.
Anche l’infantilismo della ricerca di responsabilità di altri ed i riferimenti ad altre situazioni diverse è sembrato così affine allo scarso spessore del personaggio.
Ambiva a governare il Paese, ma è stato sonoramente bocciato dagli elettori.
Non senza una ragione su cui dovrebbe riflettere!
Ma non si limita all’atteggiamento dell’alunno scoperto dalla maestra mentre si mangia la colazione dei compagni e che si discolpa affermando d’averne mangiata solo un poco e che succede anche nelle altre classi. Nell’ottica di una premeditata azione di confusione di numeri, infatti, e per ridurre la credibilità delle cifre riportate dai media, si sofferma persino a distinguere i debiti accertati dai debiti contratti ed in prossima scadenza, mentre sempre la Ragioneria dello Stato parla di complessivo debito contrattualizzato di 8,15 miliardi di Euro, ben più larghi del minimalismo di “Uolter” che si ferma, invece, a 6,8 miliardi di Euro. Come se l’importo più contenuto fossero solo noccioline.
Ed ai debiti di bilancio si devono sommare quelli strutturali, facendo apparire così realistica la cifra tra i 9 ed i 10 miliardi di euro di fabbisogno finanziario che è stata riportata su tutti i quotidiani nei giorni scorsi.
Nella relazione della Ragioneria dello Stato, inoltre, si legge anche che la tendenza è “al peggioramento, a politiche invariate, nel 2009 e 2010, esercizi sui quali si scaricherà sicuramente un maggior costo del debito”.
Che ci voglia piglio sfrontato e coraggio a contestare le cifre ben certificate è fuori discussione.
Un leader deve avere coraggio, ma il suo è il coraggio sbagliato, quello di coloro che non mostrano vergogna.
Ora il “modello Roma”, che il leader del PD vorrebbe difendere, è liquidato in modo lapidario e senza attenuanti dagli ispettori di un organo imparziale dello Stato. I limiti finanziari della sua amministrazione sono tutti in una relazione di 34 pagine, zeppe di cifre e di puntigliose analisi, e che si sofferma su indicazioni a dir poco illuminanti per comprendere quanto sia stato gratuito e fuori luogo l’aver indicato come corretta l’amministrazione della Capitale d’Italia retta dal Sindaco Veltroni.
Leggendo le conclusioni tratte dagli ispettori il quadro complessivo, senza retorica e senza sottolineature che farebbero presumere strumentalizzazioni di natura politica, risulta tutt’altro che confortante. “Si può dire con certezza – sostengono gli ispettori – che appare necessario invertire la tendenza inerziale del bilancio (ricorso all’indebitamento, ndr) poiché, ad avviso di chi scrive, le risultanze riportate indicano che, al momento, l’andamento delle entrate e delle spese non garantisce la sostenibilità finanziaria, nemmeno nel breve periodo”.
E’ per questo, per sopperire alle gravi difficoltà finanziarie, che il Governo nazionale per Roma ha stanziato 500 milioni di Euro!
Ed i conti di Veltroni li pagano gli italiani!
In un’azienda privata non sarebbe restata altra soluzione che portare i libri in Tribunale per dichiarare il fallimento dell’azienda.
Gli italiani sono stanchi di pagare i conti di questi amministratori!
Altro che notti bianche, feste e cottillons!
Mentre l’ex sindaco di Roma Veltroni dilapidava risorse fin quasi a condurre la capitale d’Italia al fallimento, a Roma hanno trovato giovamento una pletora di consulenti ed una miriade di società costituite in holding, ben 80 e con un numero di dipendenti, 34.000 circa, superiore a quelli del Comune stesso di Roma. I costi naturalmente sono andati tutti a carico della collettività e sono quelli che hanno contribuito a dilapidare le risorse.
Mentre ancora guitti ed artisti di strada, che hanno trovato nelle giunte di sinistra sempre mecenati generosi, si esibivano nelle feste spensierate dell’era Veltroni, la povera gente tirava la cinghia per arrivare a fine mese e si barricava in casa per la paura della microcriminalità.
L’aspetto allegro delle feste e della spensieratezza è stato persino un contrasto troppo forte con le periferie degradate, con la violenza sempre presente nelle borgate, con l’invasione di irregolari dediti allo scippo, al borseggio, alla molestia.
Per essere un modello da imitare forse serviva ben altro alla nostra capitale che non la sventura d’essere amministrata per 16 anni da giunte di sinistra.
Ed il signor Veltroni, invece di menar fendenti a destra ed a manca, faccia una riflessione seria e si vergogni.
Non sarà mai stato comunista, come impudentemente afferma, ma la faccia tosta ce l’ha!
Vito Schepisi

24 giugno 2008

La deludente Assemblea del PD


Ma i componenti la Direzione Nazionale del PD si contano o si pesano?
Se il valore è rappresentato dal numero, si potrebbe dire che fuori non ne sia rimasto nessuno. Quelli che ci sono, però, non sono adeguati per proporsi alla guida del Paese. Se invece si pesano il risultato è quello che conosciamo: a parte i portatori di tessere, ed i capi locali e nazionali di DS e Margherita, c’è ben poco d’altro!
Anche l’illustre ed “ingrato” ideatore di questo nuovo partito ne fa parte, in quanto membro di diritto assieme a coloro che hanno rivestito incarichi di presidenza di Consiglio, Camera e Senato. Non ne fanno parte, però, gli ex presidenti della repubblica. Strano! L’hanno detto a Scalfaro? Che sollievo per tanti, però!
Una direzione di partito? Sembra più un assemblea legislativa!
Le direzioni politiche si è abituati a pensarle più ridotte e più essenziali. E’ numerosa quanto una camera legislativa di alcuni paesi con una rappresentanza parlamentare meno pletorica di quella italiana. L’Assemblea Nazionale di questo pachiderma politico, infatti, ha eletto ben 120 membri della sua direzione, ma quanto è a sua volta ancor più pletorica questa assemblea? Tanto valeva cooptarsi per intero!
A questi 120 componenti eletti si aggiungono venti personalità nominate dal segretario, cioè da Veltroni, 5 nominati dall’organizzazione giovanile, non ancora costituita, ed ancora una nutrita pattuglia di membri di diritto in quanto presidenti di commissioni, vice presidenti delle assemblee parlamentari italiane ed europee, capi e vice capigruppo nel parlamento italiano ed europeo, persino presidenti e relatori delle commissioni costituenti il PD.
Dispiace un po’ per le “veline” rimaste fuori!
L’osservazione che nasce spontanea è che anche la volontà dell’assemblea conta poco perché, se esprimesse una maggioranza di membri eletti in direzione, questa maggioranza può essere facilmente ribaltata dai componenti cooptati.
E che dire del segretario che nomina ben 20 componenti la direzione? E se gli venisse il complesso di Caligola?
Ciò che per di più convince ancor meno è che il PD, a detta dei suoi fondatori, doveva essere un partito che nasceva dalla base della sinistra democratica. Non una somma di diverse e preesistenti macchine partitiche organizzate, ma una spontanea iniziativa dei sedicenti progressisti e riformatori italiani che si proponevano di mettere da conto le vecchie gabbie di un tempo e di aprirsi al confronto di una politica di ampio respiro, vicina ai problemi del Paese, alle sue esigenze, al ripristino della legalità.
Doveva essere un movimento politico proteso verso il recupero mediato di alcuni valori da inserire in una società multietnica, multiculturale e per larghi tratti persino eticamente diversa.
Si proponevano, insomma, di far sviluppare dal basso le espressioni di una democrazia laica, partecipata, aperta, progressista, rispettosa dei sentimenti popolari ed attenta a non emarginare le diverse tensioni religiose. Si è finito invece col consentire che su poltrone e seggiole fossero depositati i cappelli dei soliti mestieranti.
Tutte chiacchiere e manfrine sostengono in molti, e tra questi anche un consistente numero di italiani che hanno creduto in questo progetto. Le solite finzioni di coloro che dinanzi alla crisi propositiva della sinistra, incapace di indicare nuovi modelli sociali di riferimento, si inventano accattivanti contenitori, sostengono invece coloro che da tempo pongono l’attenzione sulle contraddizioni che emergono e che si sono manifestate sin dalla nascita del nuovo soggetto politico. Dai passi finora compiuti è evidente che a questi ultimi non si possa proprio dar torto.
Il passo falso più clamoroso è stato compiuto alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, quando tra i socialisti di Boselli ed i giustizialisti di Di Pietro, i “democratici” del PD hanno scelto questi ultimi.
E’ come se i democratici nel ’22, tra Mussolini e Turati, avessero scelto Mussolini. E’ tutto dire!
Il PD sembra lo spazio del possibile dove, per caratteristica identitaria prevale la confusione totale. Ancora oggi, a distanza di circa 8 mesi dalla sua nascita, sono ancora in tanti a non aver compreso su quali ispirazioni trae le sue fondamenta e dove vuole arrivare, oltre che alla conquista del potere.
Fossero, però, solo i numeri pletorici di una direzione i problemi! Le contraddizioni che preoccupano sono soprattutto quelle politiche. Nel PD coesistono una miriade di correnti e di feudi personali assieme a strategie politiche differenti. Tante per cui emerge spontanea la richiesta di sapere da dove traggano le risorse economiche per reggerne l’organizzazione.
Quello dei finanziamenti alla frammentazione politica resta un percorso della trasparenza da esplorare ancora. Finanziamento pubblico? Finanziamento alla stampa politica? E’ un mondo da rivisitare, perché c’è anche chi non gradisce sapere che una parte degli euro che il fisco preleva finisca per finanziare, ad esempio, “italianieuropei” di D’Alema o i valori immobiliari di Di Pietro.
Sui quotidiani, tra le lettere dei cittadini che protestano, si legge di tutto, come ad esempio se sia possibile sottrarre dal pagamento del canone rai una percentuale corrispondente al costo delle trasmissioni di Santoro. Anche con i finanziamenti ai partiti si dovrebbe fare come con l’otto per mille. Potrebbe essere una soluzione! Forse solo così, per guadagnarsi le firme nell’apposito spazio, la politica si troverebbero costretta a rispettare la volontà degli elettori!
Vito Schepisi

23 giugno 2008

L'opposizione dei magistrati

Le democrazie si reggono su regole condivise. Quando le regole non lo sono accade che diventi difficile assolvere a tutti i compiti di uno Stato democratico senza fermenti e senza che vi siano disconoscimenti e riserve di legittimità.
Che ci sia una parte del Paese incline ad andare fuori delle regole e che le reclama solo per garantire le prerogative della propria parte politica è evidente. Ma ciò che preoccupa è che non sia rappresentata esclusivamente dai movimenti massimalisti ed ideologicizzati. Altra parte, infatti, è costituita da gruppi politici che hanno raccolto sia il malessere antisistema di stampo “fascista” o “marxista” (che poi sono la stessa cosa) dell’intolleranza e sia quello dell’antipolitica furba di una certa sinistra, per intendersi alla Grillo ed alla Santoro.
Quest’ultima corrente fa breccia nel PD per condurlo alla lotta cieca ad oltranza su una presunta illegittimità del leader del PDL che ha raccolto, come è normale in una democrazia, la maggioranza dei voti nel Paese. Normale sarebbe pure che fosse messo in grado di governare e rispettare il mandato che il popolo ha voluto affidargli. Anormale sarebbe, invece, l’intervento di ordinamenti dello Stato scesi in campo, ostentatamente, a dar man forte all’opposizione contro iniziative che sono avvertite forse più dalla popolazione che dalla politica.
La sicurezza, l’efficienza dei servizi, la certezza della pena, la riduzione dei tempi dei processi, come le questioni fiscali, salariali, la sanità, le regole sull’immigrazione, la soppressione di quella clandestina, sono, ad esempio, problemi che gli italiani vivono sulla propria pelle da tanto tempo, per poter comprendere e condividere gli interventi di coloro che sulla base della lettura, spesso faziosa, degli articoli della Costituzione o di altri principi europei o internazionali vanno alla ricerca di ragioni di ogni tipo per bloccare il processo di cambiamento del Paese.
Inutile dire che questo cambiamento è richiesto a gran voce da coloro che sono sovrani anche dei loro ordinamenti e delle regole per la loro attuazione. Si dice sempre, infatti, che il popolo sia sovrano ma quando si tratta di rispettarne i voleri c’è sempre chi è disposto a dimenticarsene. Anche la Giustizia si pretende sia resa in nome del Popolo e non dei magistrati o tanto peggio dei loro referenti politici. Ma non sempre è così!
I magistrati che firmano appelli, che prendono cappello e lo posano su scanni impropri, che ritengono di dover essere garanti delle istituzioni e che si azzardano in deliranti proclami, scendano in politica, se ritengono di poter e dover offrire il loro “esclusivo” contributo, e si confrontino sui problemi del Paese, magari in modo diverso da Di Pietro, che fa solo ciò che può e sa fare: il torvo inquisitore.
L’opposizione avrebbe il compito di pungolare, osservare, proporre alternative. Tutto dovrebbe essere finalizzato a risolvere le questioni. In un modo o nell’altro, ma a risolverle. Non sempre, però, si ha l’impressione che sia così ed a chi non è abituato a presupporre che il “fattore B” sia inadeguato per principio e senza alcun beneficio di controprova, accade di restare allibito nell’osservare quanto cinica e sconclusionata sia un’opposizione che concorra unicamente a rendere il Paese ingovernabile.
Ma il popolo è davvero stanco d’essere preso per il “lato B”! Perché l’alternativa è l’immobilismo in cui le caste bivaccano allegramente a spese ed a danno del Paese e della sua immagine.
Far ricorso, come abbondantemente faceva un grande giornalista scomparso di recente, all’episodio del marito che per far dispetto alla moglie si evirava, può sembrare ormai superato per quanto sia oramai diffusa l’opinione che le mogli d’oggi, coi liberi costumi, abbiano ampie possibilità di cercare fuori di casa ciò che non arrivassero a ricevere dal marito, ma ricordare il metodo togliattiano del “tanto peggio tanto meglio” può assolvere egregiamente l’immagine di un’opposizione trascinata per convenienza politica, per ridicola concorrenza, per timore d’essere scavalcata a coltivare l’istinto canaglia di far del male al Paese.
La madre di tutte le questioni, come sempre, è la giustizia. E’ dal 1994 con l’avvio di garanzia a Napoli al leader del centrodestra, vincitore a sorpresa delle elezioni politiche di quell’anno, che una parte della magistratura italiana ha sotto mira chi ha impedito alla sinistra post comunista di occupare il Paese. Vanamente sotto mira perché 14 anni di accuse lo vedono ancora a quel posto e più determinato di prima.
Il Presidente Cossiga è una persona estremamente intelligente e straordinariamente incorreggibile, ed è colui che ha detto, senza peli sulla lingua, come è sua abitudine, che oggi il Ministero della Giustizia è il luogo più a rischio d’Italia. Se non t’allinei alla casta dei magistrati t’arrestano la moglie. Figuriamoci, ci mettono davvero poco! L’hanno fatto con Mastella che a molti è sembrato sufficientemente allineato!
E’ necessario, invece, restituire agli italiani l’autorevolezza delle scelte indicate. La Magistratura da ordinamento della Repubblica non può trasformarsi in controparte del potere esecutivo. Deve essere, invece, uno strumento delle Istituzioni per offrire certezze e garanzie a tutti i cittadini, senza distinzioni di censo, di origine, di religione, di militanza politica.
La magistratura deve essere indipendente soprattutto dall’influenza degli altri poteri dello Stato e tenersi fuori, in quanto a presidio di un diverso ed autonomo ordinamento, dagli strumenti democratici che concorrono alla formazione del potere politico e legislativo. Quest’ultimo, infatti, grazie al mandato popolare, è il solo che è investito del diritto-dovere di formulare ed emanare i provvedimenti che attengono la gestione, le regole e le scelte che approvate in Parlamento diventano l’insieme di leggi che l’intero Paese ha l’obbligo di rispettare ed il cui esercizio è disposto, come nelle aule dei tribunali, in nome del popolo italiano.
Vito Schepisi

19 giugno 2008

L'inganno del PD



Nello scorso autunno, quando alle primarie del PD milioni di italiani hanno scelto Veltroni per la leadership del nuovo partito della sinistra post comunista, diessina e post democristiana, sono stati in molti a sostenere che si trattava, più che di una scelta, di una nomina stabilita a tavolino dai maggiorenti delle maggiori componenti del nuovo soggetto politico.
Altri candidati, ad esempio Bersani del PD, erano stati persino invitati a desistere.
La scelta riveniva dalla constatazione del clamoroso fallimento dell’esperienza del governo Prodi e dal pesante calo del gradimento degli italiani verso un leader che aveva promesso tanto, tra l’altro la felicità degli italiani, ma mantenuto molto poco.
A sinistra dovevano inventarsi qualcosa, magari mitizzare una svolta epocale in cui le componenti cattoliche e post marxiste, una volta antagoniste, divenissero un unico soggetto politico contro l’alternativa popolare, liberale e riformatrice rappresentata da Berlusconi.
Prodi era diventato insostenibile. Un numero sempre più grande di elettori caduti nella trappola elettorale del centrosinistra ne prendeva le distanze. I sondaggi stabilivano diverse motivazioni di distacco tra la maggioranza e gli elettori dell’Unione: delusione delle aspettative politiche; consapevolezza di aver sbagliato scelta; timori d’essere stati ingannati; l’essersi trovati a dover subire un’iniziativa politica confusa e contraddittoria.
E’ emerso così, in tutta la sua specificità, che le maggioranze si formano sulle opzioni dei cittadini, si formano per realizzare servizi utili per tutti, si formano per fornire garanzie e sicurezza.
Non si formano maggioranze contro qualcuno, come ha preteso di fare il Professor Prodi.
Gli italiani avevano persino creduto alle bugie della sinistra e di una stampa compiacente sul disastro economico dell’uscente governo. Erano stati indotti ad ignorare che, in periodo di recessione, il governo di centrodestra aveva invece incrementato l’occupazione, aumentato il numero delle imprese, esteso la base imponibile pur riducendo la pressione fiscale, messo mano alle grandi opere per modernizzare e rendere più efficiente il Paese, varato importanti riforme ed, infine, creato i presupposti per la crescita, come si è visto già nel 2006.
L’Italia produttiva, i giovani, gli operai, i lavoratori con l’avvento di Prodi avevano constatato sbigottiti, che pur in presenza della ripresa dei mercati, il Governo e la sua maggioranza di sinistra invece di cavalcare le politiche per lo sviluppo ne demolivano le basi, invece di attuare una politica per la fasce sociali più deboli ne demolivano il potere di acquisto, invece di attuare una politica per i giovani salvaguardavano i privilegi di minoranze sindacalizzate.
Veltroni era a quel tempo il Sindaco della Capitale d’Italia dove si diceva che si fosse sviluppato un nuovo modo di gestire ed amministrare. Veltroni emergeva come l’uomo della nuova politica, l’uomo della provvidenza per la sinistra sedicente democratica.
Il Sindaco di Roma era così l’immagine della diversità in un paradossale equivoco principio di continuità con Prodi.
Il leader delle diverse fasi delle trasformazioni della componente marxista italiana, fingendo buonismo e volontà di dialogo, aveva inteso riscattarsi del suo passato comunista. Preso dal furore di apparire più che di essere, l’uomo che aveva militato nel pci, anche con incarichi di responsabilità e di rappresentanza popolare, iscritto con tanto di tessera, è arrivato persino a sostenere di non essere mai stato comunista.
Questi sofismi riescono persino bene alla sinistra perché, in Italia, trova un terreno fertile di militanti che non chiedono di meglio che di essere ingannati. Riescono peggio, però, a distanza di tempo quando i nodi vengono al pettine.
C’è sempre infatti un limite all’inganno e quando il limite viene superato si rischia il patetico.
La coerenza vale anche per le regole della democrazia dove si spaccia, ad esempio, per indicazione del popolo delle primarie un candidato che è espressione, invece, di una decisione dei vertici: sostituire l’ormai impresentabile Prodi con Veltroni.
Si voleva così capovolgere l’immagine dell’incapacità di esprimere una seria maggioranza di governo con un’altra in cui questa immagine si voleva ben costruita, anche se, a ben vedere, è stata solo un’immagine falsata perché Roma, oltre ad essere stata lasciata nel degrado, affoga nei debiti stimati per circa 10 miliardi di Euro.
Un importo che vale una finanziaria dell’intero Paese!
L’immagine che l’opposizione denunciava di una Roma dei palazzinari e degli artisti di strada, di una Roma sprecona dove si finanziava di tutto e di più, meno ciò che tornava utile ai romani, si è invece palesata molto più grave e pesante di ogni immaginazione. Ed il successo di Alemanno contro Rutelli è stato il grido di allarme di una Roma preoccupata e delusa.
Vengono persino derisi e tacciati di fobia anticomunista coloro che sostengono che un comunista, abituato a sostenere la prevalenza del partito sulla ragione non riesca mai a nascondere a lungo il suo passato e soprattutto non riesca a sopire le tentazioni del massimalismo e della criminalizzazione degli avversari politici. Cosa che puntualmente avviene oggi con la metamorfosi di Veltroni.
Puzza di arroganza la sua pretesa di lanciare ultimatum. Vada per le difficoltà interne al PD, per la concorrenza di Di Pietro con una opposizione assillante e di stampo stalinista e per le nuove batoste alle amministrative in Sicilia. Ma un leader se non ha moderazione e non riesce ad essere autorevole nel suo partito non avrà mai la tempra per essere un leader nel Paese. Un leader non ha bisogno di pretesti per mutare strategia politica. Una opposizione seria non strumentalizza i provvedimenti della maggioranza, ma propone soluzioni alternative che abbiano lo scopo di dar esito ai problemi avvertiti dai cittadini.
Quella della cagnara è un’opposizione ignorante, velleitaria, intollerante. Non meraviglia in Di Pietro, ma questi di sinistra non avevano annunciato invece una conversione democratica!
E’ inutile che si voglia spacciare per democrazia la pluralità di voci. Una linea politica può essere discussa ma alla fine deve trovare un percorso credibile, in cui un partito si compatta e converge. Il PD, invece, sembra un minestrone di voci e s’avvia su di un percorso pieno di insidie. Il Partito di Veltroni mostra di soffrire la concorrenza dell’alleato Di Pietro, impegnato prima delle elezioni a far gruppo unico col PD ed ora interprete dell’ opposizione più becera e massimalista.
E’ un’altra la strada per conquistare il consenso della maggioranza moderata degli italiani e Veltroni sembra che si sia dimenticato che senza il consenso di quella fascia di pensiero del Paese non si va da nessuna parte.
Le conversioni quando avvengono in campagna elettorale puzzano d’inganno.
Vito Schepisi

12 giugno 2008

Roma sotto assedio

Quanto ci costa la visita di Bush a Roma!
Ed il costo non è solo in termini economici, per il dispendio di risorse per garantire la sicurezza al Presidente americano, ma anche per i disagi alla città ed ai suoi abitanti. E non sono da trascurare le difficoltà create ai turisti ed agli operatori economici. Per taluni sarebbe facile affermare che per i romani e per l’Italia sarebbe stato meglio che Bush fosse rimasto a casa sua!
Ma quanto ci costerebbe invece non essere un paese normale e tollerante? Se l’Italia fosse un Paese dove non si possa garantire ad un capo di stato straniero di incontrare le autorità politiche insediate, il costo in termini di affidabilità e di civiltà democratica sarebbe di gran lungo più oneroso.
In fin dei conti la diplomazia consente, pur con i dovuti distinguo previsti dalle consuetudini e dai cerimoniali, di dover ospitare anche i leader mondiali più problematici ed inquietanti. Anche Fidel Castro è stato ospite a Roma, anche Ahmadinejad pochi giorni fa è stato presente nel nostro Paese per la conferenza della FAO. Ma quando è il turno di Bush, tutto è più complicato. Si scatenano gli istinti più dirompenti. A Bush c’è chi vorrebbe attribuire ogni male e la responsabilità di tutte le difficoltà del mondo. C’è chi impedirebbe volentieri la sua visita a Roma!
Bush è repubblicano, il partito avverso al partito democratico negli USA, quello dei Clinton ed ora degli Obama. Con i democratici “si può fare” ma con i repubblicani, per la sinistra italiana, non si può. Strano ma negli Usa questa differenza radicale non è sentita! Finita la campagna elettorale, democratici e repubblicani sono tutti cittadini degli Stati Uniti d’America. In Italia, però, non è così!
Anche per la tragedia delle Twin Towers a New York, mentre negli Usa la memoria resta forte ed indissolubile, in Italia c’è chi vorrebbe che fosse dimenticata come se fosse una circostanza retorica passata e priva di attualità. Anzi da noi c’è chi spera che nel tempo la verità storica possa essere modificata per attribuire all’Amerika, con la kappa, la responsabilità della tragica morte di quei cittadini inermi (circa tremila). Sono emersi coloro che sostengono che ci sia stato un complotto, naturalmente israelita-americano. C’è chi vilmente, poco dopo la tragedia, per nascondere la soddisfazione e attenuare l’emozione del mondo ha lavorato per delineare una strategia complottista, dicendo di solidarizzare con il popolo americano ma nello stesso tempo demonizzando la sua conduzione politica. Bush non si era ancora insediato alla Casa Bianca: non si osa immaginare cosa sarebbe accaduto se fosse stato stabilmente in carica!
La malafede, però, non ha freni e neanche limiti razionali e si coniuga perfettamente con la stupidità. Bush è intervenuto con il consenso di tutta la comunità mondiale in Afghanistan. Ha contribuito a liberare quel Paese dalla morsa soffocante dei Talebani. E’ intervenuto per comprimere le attività criminali di Bin Laden, costringendolo a limitare le sue strategie di diffusione del terrorismo nel mondo, dopo avergli tolto lo spazio operativo in cui liberamente operare. E’ intervenuto in Iraq per liberare quel Paese dal terrore di Saddam Hussein e della sua famiglia. L’Iraq si è così liberato di un uomo che, a capo di una cricca di criminali senza scrupoli, costringeva col terrore il suo popolo alla fame ed alla paura. Saddam era considerato un uomo privo di ogni briciolo di umanità, un cinico dittatore che reprimeva nel sangue ogni grido di speranza.
Si potrà discutere sull’intervento armato senza il mandato dell’ONU, ma si dovrebbe discutere anche sulle circostanze che hanno fatto credere a Saddam di poterla far franca e fra queste la posizione della Francia di Chirac, in affari con il leader iracheno e della Germania di Schroeder che ha utilizzato l’opposizione all’intervento armato degli USA per ribaltare il suo scarso consenso elettorale. Ma anche i movimenti di sinistra in Italia ed in Europa, che più che essere per la pace erano contro Bush, sono stati utilizzati da Saddam, in un cinico calcolo, a suo sostegno.
L’ipocrisia della sinistra si sposa in seconde e terze nozze con il cinismo e la doppiezza. Sappiamo che non è una novità. Da sempre è così!
La loro arcigna stupidità e malafede ha voluto poi far passare per sostegno alla guerra di Bush anche la missione di pace italiana a Nassyria, apprezzata invece dalla popolazione locale. Commentare poi gli slogan e le scritte sui muri delle città italiane “10, 100, 1000 nassyrie” non soltanto è stomachevole ma anche manifestamente illuminante. L’odio che traspare è tale da far ritenere reiterabile il sacrificio dei nostri militari, in quanto assimilabile alle manifestazioni del loro sedicente pacifismo.
Anche la questione del nucleare iraniano, con le minacce verso Israele del presidente del Paese simbolo del fondamentalismo islamico, vede gli USA impegnati da mesi a trovare una soluzione in linea con le risoluzioni ONU, respinte invece da Ahmadinejad, per evitare che nell’area mediorientale l’Iran possa rappresentare motivo di destabilizzazione e di minaccia.
La sinistra alternativa a Roma protesta, organizza cortei, impegna forze dell’ordine e mezzi di terra e di aria per garantire al Presidente degli Usa la sicurezza e la legittimità dei contatti diplomatici tra Paesi impegnati a garantire e difendere la convivenza civile dei popoli.
Protestare è legittimo, anzi è necessario perché in tal modo si possano esprimere tutte le idee diverse. Ciò che invece si vorrebbe che non ci fosse è la sensazione di pericolo e la necessità di dover garantire la sicurezza attraverso un enorme utilizzo di risorse, umane e strumentali, per difendere ciò che ogni democrazia dovrebbe garantire. Discutere e confrontarsi con lealtà e moderazione, infatti, è segno di libertà e di civiltà.
Vito Schepisi