18 marzo 2008

Veltroni strumentalizza anche la questione Alitalia


Veltroni ha detto che nel Partito delle Libertà c’è il disordine più assoluto ed ha preso come esempio, oltre alla presunta volontà, sembra mai espressa dal Cavaliere, di ritornare alla Maroni per le pensioni, il caso Alitalia.
Ritenuto solo un ulteriore pretesto polemico il ritorno alla Maroni, si esamini invece il caso Alitalia.
Fini, secondo Veltroni sarebbe favorevole a chiudere con Air France, mentre Bossi e la Lega sarebbero contrari e Berlusconi, per il leader PD, è nel mezzo. Benissimo! Ma, anche se le cose non sembra che stiano perfettamente come dice l’avversario ed abile disinformatore politico, cosa ci sarebbe di male?
La questione Alitalia non può essere affrontata come, ad esempio, il taglio delle tasse. Su quest’ultima questione, infatti, nessuno potrà affermare che la pressione fiscale non sia tra le cause più dirompenti della crisi dei consumi, delle difficoltà delle famiglie e del pericolo di fallimento per le piccole imprese. Nessuno potrà neanche dire che tra Bossi, Fini e Berlusconi ci sia minore tensione nella volontà di tagliare l’insostenibile peso del prelievo fiscale.
La questione Alitalia è invece più complessa e si palleggia tra la tipicità delle gestioni di un impresa a partecipazione pubblica (con gli errori gestionali, le pratiche clientelari, gli esuberi occupazionali, le inefficienze e la fallimentare gestione economica) e le esigenze di mercato. Ora sono in ballo anche la condizione sociale dei lavoratori e lo sviluppo economico ed occupazionale della Lombardia, di Milano e del Nord del Paese.
Se fosse invece solo una scelta tra due modi di esercitare un indirizzo politico, se la scelta fosse in funzione di un servizio da offrire o meno al Paese, le osservazioni di Veltroni avrebbero senso. Non è così, invece, tanto più che lo stesso Veltroni, mentre osserva i contrasti della tappezzeria in casa d’altri, chiude le finestre delle sua casa senza mostrare i colori delle stoffe dei suoi divani.
Veltroni si è ben guardato da indicare una sua scelta e di indicare il suo pensiero: resta il solito sofista, un falso per inseparabile dote.
Sulla questione è evidente, invece, l’imbarazzo del Governo. Si fa strada anche l’impressione di riservatezze ingombranti e di passate spiegazioni sommarie sulla realtà delle cose. Su Alitalia le opinioni, come è normale che sia, sono trasversali ai movimenti politici. Si registrano, quotidianamente, particolarità di vedute tra partiti e personaggi rappresentativi degli stessi con funzioni e responsabilità amministrative.
Nel PD, forse più che nel PDL, le posizioni sono diverse ed alcune anche molto distanti. I sindacati che non hanno mai lesinato sostegno politico al PD sono preoccupati e dubbiosi, le certezze invece sembra averle solo Veltroni e sono quelle di sempre ….guardare dove scorre il ruscello e mettersi nella sua direzione: è un eroe l’ex Sindaco di Roma!
Ha, però, veramente poco Veltroni da strumentalizzare su questa questione, anzi strumentalizzare in questo caso è faccenda ancora più indegna.
La parola a questo momento è nel confronto tra Air France ed i sindacati, ma anche il governo ha lasciato strade aperte per soluzioni di offerte meno umilianti di quella di Air France. La Mercegaglia, designata alla presidenza di Confindustria, ha ben ragione di chiedere una moratoria sulla scelta definitiva, auspicando soluzioni diverse e soprattutto il mantenimento del ruolo di Malpensa.
Ma il fatto assume rilievo ancor più imbarazzante se viene posto come motivo di contesa elettorale. La cessione di un pezzo d’Italia, come si è fatto in passato, e Prodi ne conosce bene le storie, non è, e non può essere, un affare privato tra chi dei due contendenti vince le elezioni. La scelta deve rientrare nell’interesse nazionale, a prescindere dai colori politici, perché in Alitalia oggi, ma anche nelle altre aziende pubbliche ieri, ci sono le risorse del lavoro degli italiani, ci sono le tasse prelevate ed il debito pubblico che incombe su ciascun italiano sin dalla nascita.
Ci siano quindi anche mille voci diverse. Ciò che è importante è che si preoccupino non di posti nei consigli di amministrazione o di influenza su diverse questioni di opportunità o di scambi di cortesie politiche tra paesi, e tra uomini, come è sembrato che sia stata ispirata negli ultimi due anni la politica estera e la politica economica italiana.
E Veltroni, prima di guardare alle pagliuzze negli occhi del centrodestra, ha ascoltato il suo alleato Di Pietro? Ha preso atto e condivide la trave della sua dichiarazione?
A proposito della questione Alitalia, il Ministro delle infrastrutture in carica ha detto che quella di Air France è una “proposta umiliante perché uccide Malpensa”. “Esprimo – ha dichiarato Di Pietro - tutto il mio disappunto come ministro e come cittadino nel prendere atto dell'offerta avanzata da Air France per l'acquisto di Alitalia. Si tratta infatti di una proposta finalizzata unicamente al profitto proprio dell'offerente, che rappresenta un danno per la compagnia, per le maestranze e per tutto il Paese”. Ed ha aggiunto, riferendosi all’aeroporto di Malpensa: “si tratterebbe insomma di un omicidio politico ed economico rinunciare a questo scalo proprio ora”.
Omicidio politico ed economico dunque per Di Pietro. Ma per Veltroni è lecito sapere cosa sia e come la pensa, dato che si interessa della prudenza di Fini e della contrarietà assoluta di Bossi?
La politica ideale in democrazia, bisognerebbe suggerirlo a Veltroni, non è un’idea unica sulle cose da fare, ma un’idea piuttosto omogenea sugli scopi e sugli obiettivi. Le proposte sono tutte degne d’essere prese in considerazione. L’importante è che non ci siano fini diversi da raggiungere e che non siano (le proposte) pensate contro qualcosa o qualcuno, ma elaborate per un obiettivo di interesse generale e per rendere soprattutto un servizio alla collettività.
Il confronto e la ricerca delle opportunità fanno parte del metodo democratico: è la criminalizzazione del dissenso che invece mortifica la democrazia. Se è vero che non è “mai stato comunista” Veltroni, queste cose dovrebbe saperle.

Vito Schepisi

17 marzo 2008

Sono Veltroni...ma anche Berlusconi!

C’ è sempre un modo diverso per essere comici. Al contrario di altri paesi, in Italia la comicità si è espressa in tante forme differenti tanto da diventare, il popolo italiano, famoso per i modi anche bizzarri di interpretare la vita.
L’Italia ha saputo imbrigliare con la più amara ironia la drammaticità della cattiva sorte e della malversazione. Ha saputo trarre coraggio anche dalle sventure, inventandosi antidoti e pozioni per meglio esorcizzare il dolore.
I sacrifici, la miseria, le sofferenze, assieme alla meschinità, alla viltà, ai vizi ed alle virtù, tutto nel tempo della storia è stato nello stesso momento esaltato e sdrammatizzato con l’arte dell’ironia e della burla. Gli italiani si sono mostrati capaci di sorridere laddove altri si mostravano seri e compunti, ma anche per converso di piangere e soffrire laddove gli altri si mostravano cinici ed indifferenti.
Tanti attori, tanti interpreti chi con grande talento, altri con un po’meno, come ad esempio Veltroni.
Come non pensare a Benigni? Alla sua La vita è bella dove ha saputo e voluto raccontare il nazismo e l’orrore, la severità e l’idiozia, i campi di concentramento, l’odio razziale, uno spaccato anche storicamente abbastanza recente della follia dei regimi ideologici. L’ha fatto con l’ironia e la beffa, con la filosofia romantica di un’umanità che sa riscattare in modo provocatorio e fermo il valore umano dell’individuo e la dignità e dell’uomo.
Tra le attitudini ci sono coloro che hanno l’animo ed il gusto interpretativo per evocare sia le giuste emozioni che la sensibilità delle coscienze. Il pluralismo delle sensazioni è anche un benefico lavaggio nel limpido ruscello del confronto, dove sgorga quell’acqua che elimina le scorie della incomunicabilità e del pregiudizio.
Ci sono anche coloro che invece sembrano goffi e che forzano la loro interpretazione in un crescendo di atteggiamenti che sanno di spicciola furbizia e di consapevole mistificazione, come ad esempio Veltroni, con quei suoi modi da recita, con i suoi onnicomprensivi pensieri, ma anche con la sue mimica suggestiva tra il divertito, il serio, il pensieroso, il preoccupato, l’ascetico.
Ed è meditando su una strana e serrata campagna elettorale che può tornare alla memoria un’opera letteraria così assimilabile con la nostra politica. Una campagna elettorale che interpreta il costume di un Italia dove i feudi, il potere, la sonnacchiosa ed apparentemente distratta gestione, il controllo e le metamorfosi dei pensieri, delle strategie, degli ideali, dei tormenti sociali, resta il filo conduttore di un’idea che sintetizza la trama de Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedura: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Anche il nuovo ha l’immagine del vecchio. Cadono i muri e le certezze e il mondo si trasforma. La globalizzazione prende il posto delle autarchie, il principio del mercato si sostituisce a quello del dirigismo marxista, ma i personaggi sono sempre gli stessi. Sempre uguali. Sembra persino che conservino le stesse facce, anche quando le generazioni mutano e si avvicendano. Alcuni sono lì da sempre come se fossero uomini immortali, in prima fila a riproporsi, cambiando giacchette e maschere, dopo un lifting politico tra l’incredibile e l’audace. Sempreverdi di una pianta che non dà frutti, né fiori ma solo bacche grigie, amare, indigeste se non velenose
Veltroni è poi colui che sintetizza alla perfezione la massima di Tommasi Di Lampedusa: “attribuire ad altri la propria infelicità è l’ultimo ingannevole filtro dei disperati”. Circondato dagli stessi uomini contro cui oggi sembra opporsi nei programmi, inoltrandosi verso un percorso politico del tutto diversificato da quello di Prodi e della sua maggioranza, sembra astutamente voler attribuire ad altri le responsabilità della cattiva gestione del governo ancora in carica di Prodi, mentre ne è incontrovertibile continuità per uomini e sostanza politica.
Veltroni, con la finzione di contenuti mutuati alla “rabbia “ della gente, antepone così alla realtà il suo ultimo filtro dei disperati, tanto da sembrare ancora più disperato, come colui che si gioca tutto per restare a galla e per non precipitare verso il giudizio severo del popolo che si vorrebbe ancora una volta mortificare.
Recita da nordista, da imprenditore, da liberista, da fautore delle grandi opere, da repressore della criminalità, da garante dei valori, da promotore della riduzione della pressione fiscale.
Non è che si dimentica d’esser Veltroni? O che finisca per spacciarsi anche per Berlusconi?
Sarebbe davvero un colpo da maestro se nell’impeto della competizione si guardasse allo specchio e si dicesse : Si può fare! Io sono Veltroni….ma anche Berlusconi!
Vito Schepisi

14 marzo 2008

Una politica estera disgustosa

La politica si fa con i fatti ed i provvedimenti. Si fa anche con le relazioni con gli altri stati e con la partecipazione agli organismi internazionali che stabiliscono le regole della convivenza civile. Ci sono diritti e doveri per tutti. Mentre i diritti, però, vengono giustamente reclamati, ci sono popoli che sono inclini a non rispettare i doveri.
Ci sono realtà in cui gruppi militari e politici agiscono attraverso autonome gestioni, anche in azioni di guerra e di terrorismo e disattendono le comuni regole di civiltà. Ci sono stati in cui le formazioni terroristiche non sono ufficialmente riconosciute ma tollerate nell’indifferenza persino delle comunità internazionali. Non è un mistero infatti che ci siano paesi che di fatto tollerano, fomentano e persino finanziano il terrorismo.
Il diritto internazionale e la funzione dei consessi internazionali stabiliscono regole e comportamenti attraverso trattati e risoluzioni che in modo equidistante, quanto meno nei propositi, anche se spesso ingiusto ed accomodante, servono a gettare acqua sul fuoco nelle zone ad alta intensità di conflitto. Tra le principali regole ci sono quelle relative al ripudio del terrorismo ed alla sua incontrovertibile delegittimazione come forma di soluzione dei conflitti tra Stati.
L’Italia ha sempre rispettato i trattati, ha sempre fatte sue le risoluzioni, ha sempre agito per la pace. L’ha sempre fatto nella convinzione che la convivenza pacifica non possa essere solo una scelta di campo tra i contendenti, ma soprattutto un modo di riconoscere i diritti ed i doveri di tutti.
Nella storia d’Italia del dopoguerra per la posizione strategica del Paese, per essere sede di una delle correnti religiose più radicate del mondo, nonché per la consapevolezza di un profondo sentire del Paese nelle tradizioni, nella cultura, nella civiltà, nella storia del Cristianesimo, i governi sono stati indotti ad assumere posizioni di estrema prudenza. La cautela e la diplomazia, però, non hanno mai impedito di deflettere dai fondamentali principi di civiltà. Tra questi quello che la pace si ottiene con il dialogo e la buona volontà di ciascuno, senza pregiudizi, o steccati e senza finzioni, rispettando le ragioni di tutti: soprattutto di coloro che sono colpiti da atti di barbarie e di violenza.
Non si può parlare di pace e far finta di non vedere quando nelle città, tra la popolazione, nelle scuole, tra donne e bambini, negli autobus che portano a scuola e lavoro centinaia di persone, nei supermercati, nelle discoteche, per la strada, orridamente e senza alcun senso di umanità si sterminano persone inermi.
Non si può trattare con chi nelle stesse ore in cui ci si siede intorno ai tavoli delle trattative prepara attentati e lancia razzi ed ordigni tra la popolazione civile.
Ebbene da due anni in Italia la politica estera, soprattutto per il medioriente, ma anche in occasione di alcune votazioni all’ONU, come ad esempio per l’elezione di membri dell’assemblea permanente, con Prodi e con il Ministro degli Esteri D’Alema, è stata condotta in maniera diversa e distante sia dai partner europei che dalla tradizionale collocazione e prudenza italiana.
Ed è per questa ragione, pertanto, che la dichiarazione dell’ambasciatore d’Israele in Italia rilasciata ieri all’ANSA deve far riflettere, soprattutto in campagna elettorale perché l’ignominia abbia fine:
"Chi ci invita ad aprire trattative con Hamas - ha detto l’ambasciatore d’Israele in Italia, Gideon Meir all'Ansa - in effetti ci invita a negoziare sulle misure della nostra bara e sul numero dei fiori da mettere nella corona. Fino a quando Hamas non cambierà le sue posizioni e non accetterà le condizioni della comunità internazionale, chi invita ad un dialogo con quest'organizzazione terroristica in pratica blocca il negoziato tra Israele e Abu Mazen. Il fatto che il leader di quest'organizzazione terroristica si congratuli per queste posizioni non depone a favore di chi le sostiene - ha aggiunto il diplomatico israeliano, riferendosi all’apprezzamento espresso dal leader di Hamas, Ismail Haniyeh, per le dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano – La pace - ha proseguito Meir - si fa sì con il nemico, ma con un nemico che desidera la pace e la convivenza dell'uno accanto all'altro. La posizione di Hamas è nota e non è cambiata. Non sono disposti a riconoscere il diritto di Israele ad esistere e non sono neanche disposti a parlarci. I loro leader continuano ad invocare la distruzione dello Stato di Israele. Gli inviti per un cessate il fuoco sono solo una fase del piano per completare il sogno di Hamas di distruggere lo Stato di Israele e di fondare uno Stato religioso fondamentalista musulmano tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. E' un peccato - ha chiosato il diplomatico israeliano - che durante il giorno di lutto per gli otto ragazzi che sono stati uccisi nella scuola rabbinica in Gerusalemme c'è chi invita ad un negoziato con barbari e assassini".
Le politiche di pace si fanno assumendo fermezza verso coloro che disattendono la convivenza civile e non passeggiando a Beirut con dirigenti di hezbollah o sostenendo la politica guerrafondaia della Siria e asserendo il diritto dell’Iran di fornirsi della tecnologia nucleare, soprattutto quando questo Paese non fa mistero del suo uso… sul territorio israeliano.
E’ una ragione di più per auspicare la rimozione di questo governo ed il ritorno ad una maggioranza democratica e liberale che ci liberi dalle scorie e dai retaggi del veterocomunismo antiisraeliano ed antiamericano.
Vito Schepisi

13 marzo 2008

Ciarrapico e l'ipocrisia della sinistra

Il caso Ciarrapico ha sollevato la maschera della ipocrisia. Si pensava che il Paese avesse alcuni problemi da risolvere e che la serietà imponesse un confronto serrato ma serio. Si pensava che con i programmi i due maggiori partiti in competizione elettorale avessero intenzione di confrontarsi sulle priorità e le scelte. Si pensava che fosse arrivato il tempo di convincere gli elettori sulla credibilità, sull’esperienza, in alcuni casi sulla reale rottura della sinistra con il recente passato, e sulla consistenza degli impegni per il prossimo futuro. Invece non è così!
E’ bastata la trappola di Repubblica nell’aver sollecitato Ciarrapico, imprenditore e candidato indipendente nelle liste della Cdl, ad un insignificante giudizio politico su storie morte ed irripetibili, per far ritornare la politica nel vuoto della inconcludenza, imbrigliata nella presunzione di misurare con il metro del passato le proposte che circolano per il futuro.
Con puntuale e consapevole perfidia si è chiesto all’imprenditore romano se le sue idee sul fascismo, come idea politica (e non sulle valutazioni delle scelte del ventennio), fossero ancora rimaste integre. Si era alla ricerca della polemica da creare per tentare di colmare con palate di fango la differenza di consenso nel Paese tra i due contendenti politici.
I soliti metodi di coloro che non reggono al confronto sulle cose e rovesciano il tavolo, fomentando la rissa. Dopo aver navigato per tutti i mari del vizio, costoro si presentano con la faccia scandalizzata in tv. Come innocenti verginelle, si mostrano esterrefatti per ciò che accade e preoccupati per la tenuta del quadro politico a causa della parte liberale del paese. Siamo alla farsa! E’ il colmo, dopo aver rasentato il regime con Prodi, Di Pietro e la sinistra radicale!
Sembra di rivivere la favola di Fedro in cui la volpe che non arrivava all’uva diceva che era acerba. Veltroni incapace di reggere al confronto sulla credibilità di un programma liberale per lo sviluppo, la pressione fiscale, la sicurezza, i valori, si rifugia nel diversivo dell’ipocrisia per sottrarsi al giudizio degli elettori sulla sua incapacità.
“Ma voi vi ricordate che scandalo scoppiò esattamente un anno fa, quando quel fascistone di Ciarrapico dimostrò il suo entusiasmo per la nascita del Partito democratico, partecipando addirittura a un suo convegno? Vi ricordate le reazioni indignate di Veltroni, Fassino, Rutelli, D’Alema e Prodi? Io no.” ( Riccardo Barenghi, ex direttore del Manifesto, sulla Stampa del 12 marzo).
Gli italiani dovrebbero ormai sapere che a sinistra, come accadeva ai tempi del Pci, da una parte c’è il bene e dall’altra il male. A dividere gli uni dagli altri c’è un simbolico fiume, come il Gange per gli Indù. Se ci si immerge nel fiume per raggiungere le rive della sinistra il corpo si purifica e prevalgono le ragioni del divenire e della redenzione. Se si fa il percorso inverso si è invece venduti e traditori. Di quelli che stanno permanentemente dall’altra parte, invece, il meno colpevole è uno sciocco fuori dal tempo o, come dice D’Alema, “un reperto archeologico”, altri hanno malattie altamente infettive, alcuni sono pericolosi criminali e, naturalmente tutti, chi più o chi meno, fascisti.
Una volta si diceva che parlamentarizzare i settori più radicali serviva a renderli innocui, ad eliminare l’imprevedibilità delle posizioni extraparlamentari. Ma questa, a quanto pare, è una prerogativa solo della sinistra. Vale solo se resta una loro imprescindibile scelta: vogliono il possesso esclusivo del timbro di legittimità.
Come se la sinistra, che resta purtroppo quella di sempre, e non riesce assolutamente a nasconderlo, fosse una sorta di dogana della politica che stabilisca le merci importabili.
Persino Gavino Angius, già esponente di rilievo dei DS, non ha potuto fare a meno di definire “ipocrita” il PD ed invece “sincero” il Cavaliere.
La sincerità di Berlusconi sull’argomento è stata persino disarmante. La verità è sempre ciò che più si addice ai fatti. Averlo dimostrato anche in questo caso, al contrario di ciò che si vuol far pensare, è la riprova della bontà della fiducia che si deve riporre verso chi si preoccupa di arginare sulla destra un consenso che rimarrebbe, quanto meno al Senato, certamente extraparlamentare. Un consenso che non verrebbe sottratto al PD ma aggiunto al PDL per rendere maggiormente agibile la vittoria. Per governare.
Ciarrapico ha i suoi giornali che tornano utili e attira un consenso che andrebbe disperso.
In campagna elettorale si è sempre detto che i voti non si odorano ma si pesano: nella competizione del 2006, ventiquattromila voti sono stati fatti pesare come tonnellate contro l’opposizione. C’erano anche quelli di Caruso e della sinistra alternativa e dei centri sociali, spesso violenta e molto più pericolosa di un innocuo nostalgico.
Preoccuparsi dei numeri sufficienti per poter governare il Paese non è un esercizio di arroganza ma di consapevolezza delle difficoltà da affrontare. E’ serietà nel valutare la necessità di dover disporre di una maggioranza solida e coesa.
Chi si scandalizza farebbe bene piuttosto a parlare chiaro ai suoi elettori. Dovrebbe spiegare che le sue aspettative sono quelle di mirare a rendere numericamente limitata la vittoria del PDL. Per chiedere poi le larghe intese. E sembrano davvero sprovveduti coloro che invitano a sostenere Veltroni, magari tappandosi il naso, per contrastare Berlusconi, e nello stesso tempo mantengono il fervore di un contrasto senza esclusione di colpi verso il leader della PDL. Sono consapevoli che aiuteranno così Veltroni a ricercare l’intesa con Berlusconi?
Vito Schepisi

10 marzo 2008

La Primavera Liberale

La primavera è la stagione che simboleggia la metamorfosi della natura. Dopo il grigiore invernale, il freddo, i venti impetuosi, il mare in burrasca, le cime imbiancate dei monti, le tempeste di neve, le piogge scroscianti, la nebbia, la primavera è come un sorriso che si apre verso l’umanità. E’ la luce che si accende in un ambiente tenuto in penombra. E la rivoluzione delle immagini, degli sguardi, degli umori.
In Italia, la primavera è particolarmente sentita.
E’ la stagione in cui si dispiegano i migliori propositi: sembra che riesca persino a rendere gentili anche i più arcigni misantropi!
Le strade delle città si animano di persone che socializzano. Cambiano anche i colori degli indumenti. Il sole cancella il pallore e tinge di rosa la pelle dei giovani. I balconi si riempiono di fiori come tavolozze di colore pastello. Anche le campagne si riempiono di tante tonalità. Distese di verde vivo, illuminate dal sole, ricordano le tele di tanti famosi pittori. Il rosso dei papaveri si distende tra alberi e prati ed offre allo sguardo effetti stupendi. I muretti di pietra e le bordure di margherite, bianche e gialle, miste tra loro, sono cornici di pregio dove lo sguardo si incanta. Il mare che lambisce le coste con le sue sfumature di azzurro e di verde, tra i riflessi del sole e le rocce che sembrano cadere a picco sull’acqua, creano immagini di rara bellezza ed invitano tutti ad esser gentili e sognare. Anche la luna ha un aspetto diverso quando si affaccia, indiscreta, ad osservare; quando riflette i suoi raggi sui laghi e nelle acque dei mari, tra gli alberi come a spiare i segreti più intimi.
In Italia poi la primavera è stupenda. L’Italia è l’angolo del pianeta che la valorizza di più: in nessuna parte del mondo la primavera è così bella, solare ed audace.
Quest’anno la stagione del dolce tepore deve però all’Italia un grande favore. Deve la liberazione dalla cappa di grigiore e di tristezza che da due anni ha tolto il sorriso ai suoi cittadini. Alla primavera si chiede che scongiuri la normalizzazione del nuovo regime che la maggioranza ed il governo di Prodi ha introdotto e che Veltroni, nonostante le sue giravolte, rischia di perpetuare. Si vuole che tolga ai cittadini il fastidio di sentirsi trattati come una massa di stupidi e di numeri da gestire, sfruttare, sorvegliare, educare.
E’ una richiesta insolita ad una stagione, ma è anche per questo che assume un grande spessore. Ha il valore dei sentimenti eroici di coraggio e di passione per il Paese che s’ama. E’ la richiesta che parte dalle sensazioni degli italiani verso la bellezza, il sole, la libertà, l’aria fresca da respirare, l’amore. E’ la contropartita che la primavera deve agli italiani che la scelgono sempre come la più bella stagione dell’anno.
Maltrattati, beffeggiati, sfruttati, riempiti di tasse, condannati ad essere turlupinati da personaggi attaccati al potere ed alle poltrone, come parassiti che tolgono vita e sostanza alla voglia di crescere, i cittadini dell’Italia libera chiedono alla primavera di modificare lo scenario della triste quotidianità del popolo, chiedono di respingere l’attacco ai valori, alla famiglia, alla sicurezza, al lavoro, ai diritti, alla giustizia, alla salute, al coraggio ed alla libertà.
La primavera non può tirarsi indietro. Questo favore oggi è dovuto. La stagione dei sogni ha l’obbligo morale di restituirci una parte della gioia e della bellezza che da sempre le offriamo: senza la terra italiana, difatti, la primavera sarebbe di gran lunga più povera.
Quest’anno la festa della liberazione dalle dittature mortificanti contro l’uomo e la sua dignità, non sarà solo il 25 aprile. Ci sarà la liberazione dalle dittature striscianti del ventunesimo secolo. Sarà subito dopo il 14 di aprile quando i valori della libertà avranno il sopravvento su quelli della furbizia di camaleontici personaggi che hanno fatto dell’odio, della supponenza, del controllo capillare del territorio, come s’usa nei regimi, della delazione, della disinformazione, dello sfruttamento e dei privilegi il proprio costume di vita.
La primavera farà sbocciare il pluralismo come i boccioli dei fiori, la libertà come le gemme dei frutti sugli alberi. Le opportunità, per i giovani che si affacceranno alla vita del lavoro e dell’impresa, si diffonderanno come le foglie che ricoprono di verde i mandorli, i peschi, gli albicocchi ed i ciliegi per prepararsi a ricevere i frutti di una colorata raccolta.
L’Italia liberale s’affaccia, avanza, si afferma, ed è la primavera la sua stagione ideale.

Vito Schepisi

07 marzo 2008

Un Parlamento senza Mastella

Fa uno strano effetto sapere che Mastella stia fuori quest’anno. Eravamo abituati ai suoi cambi di campo, ai suoi colpi di scena, alle sue frasi allusive, ai messaggi cifrati, alla spontaneità della sua arroganza politica. Ci sembrava che fosse un tutt’uno con la politica italiana. Anche per la famiglia, pensandoci, non sembra che sia il solo ad averla. Del resto se c’è Veltroni non si riesce a capire perché non ci debba stare Mastella!
Ognuno ha il suo ruolo, recita la sua parte, assume i toni di scena, riscalda il pubblico. Ciascuno come sa fare. Sono abili sia l’uno che l’altro. Due platee diverse, due pubblici diversi, due ruoli appunto diversi. Ma due interpreti geniali, quasi unici.
Ci sono più di un’analogia tra i due. Per faccia tosta sono perfettamente in linea. Si potrebbe indire un concorso ed iscriverli d’ufficio. E sarebbe davvero una bella gara!
Anche per giravolte politiche sanno ben seguire il vento che tira. Ma l’eccellenza la raggiungono nell’abilità della disinformazione.
Hanno l’abilità di esser convincenti nel saper dire giusto il contrario di ciò che pensano e fanno. Sanno smentirsi con abilità e fingere con mimica professionale. Dalla tragedia alla commedia dell’arte, dalla sceneggiata all’avanspettacolo, alle comiche finali, solo mutando gli abiti di scena: davvero gran classe!
Quando, ad esempio, Mastella affermava di essere un fedele sostenitore di Prodi, c’era da esser certi, come se colti da un riflesso condizionato, che stesse giungendo il momento di un suo improvviso colpo di mano. Come un classico effetto da teatro!
La stessa cosa è valsa per Veltroni, ad esempio. Il leader del PD se a giorni alterni dichiarava il pieno sostegno al lavoro della maggioranza di centrosinistra e di Prodi, e non faceva distinzioni di opzioni politiche tra ciò che si andava sostenendo in quell’area da Dini a Bertinotti, attraverso mastelliani, socialisti, radicali e Di Pietro, nei restanti giorni ne minava la credibilità politica e programmatica. Come in un gioco delle parti, come se presagisse che a distanza di pochi mesi dovesse accreditarsi per il ruolo sia della maggioranza che dell’opposizione, come fa ora in campagna elettorale a seconda delle circostanze. Ricorda Gassman, il compianto Vittorio Gassman: il mattatore!
Se Prodi parlava di una tale coesione del centrosinistra, da potergli tranquillamente garantire la conclusione del suo mandato alla normale fine della legislatura, Veltroni esprimeva condivisione e prometteva il suo apporto leale. Dopo qualche ora, però, apriva scenari nuovi, sia programmaci che istituzionali, ben sapendo che avrebbero reso irrespirabile il clima parlamentare.
Se Prodi, ancora, insisteva sulla sostenibilità del programma dell’Unione e sulla sua coerente attuazione, Veltroni scopiazzava di già, sui temi della sicurezza, sui temi delle tasse, sui temi dell’impresa, su quelli dell’economia e sui temi della riforma istituzionale, le posizioni ed i programmi del centrodestra, ponendo persino in difficoltà ed imbarazzo il premier. Il Capo del Governo in carica si è trovato a volte costretto a svolte immediate ed a correzioni di tiro, come è accaduto sul disegno di legge sulla sicurezza, poi trasformato in decreto, sulla spinta delle emergenze nelle periferie romane.
Si è avuta persino la sensazione di un’Italia dalle attenzioni diverse. Se la delinquenza ed il teppismo violento toccavano le città del nord, ad esempio, è parso che per il governo l’evento potesse ritenersi tollerabile e compreso in una casistica dei tempi difficili e di un prezzo da pagare in una società dai forti contrasti. Se la stessa violenza e criminalità toccavano la Roma del sindaco Veltroni, invece, l’impressione è stata che il caso diventasse di assoluta gravità e tale da richiedere interventi immediati.
Un decreto ritenuto inadeguato se richiesto dall’opposizione, mancando a parere di Prodi i presupposti per la decretazione d’urgenza, diventava invece opportuno solo sulla parola di Veltroni. Ma anche il caso della spazzatura di Napoli veniva gestito dal governo e da Prodi con molta prudente compiacenza e senza richieste di rimozione dei responsabili politici della Città, della Regione e del Governo. Sono in molti a chiedersi oggi se la stessa compiacenza ci sarebbe stata in altre città d’Italia con Sindaco e Governatore estranei al PD di Veltroni.
Era bastato, così, un atto efferato su Roma, come se nel resto d’Italia le efferatezze contassero meno, perchè l’urgenza diventasse tale ed il disegno di legge del governo diventasse subito decreto.
E’ così è stato per la Giustizia. Quest’ultima è parsa come un olio che scivola sui corpi dei personaggi appartenenti al PD, ma che diventa un macigno che schiaccia per altri, come Mastella, ad esempio.
Altro che Pirandello! Altro che personaggi dalla personalità controversa! Quelle del centrosinistra in Italia sono parse vere e proprie comiche finali! Ora invece siamo all’avanspettacolo delle luci e dei colori dove si canta e si balla con spensieratezza. Ma i personaggi sono sempre gli stessi!
Mastella è fuori ma restano Veltroni e Di Pietro, anche lui con famiglia e con l’uso personale di un partito, anche lui impegnato immobiliarmente.
Senza Mastella all’ex PM gli viene a mancare la spalla, come i fratelli De Rege, dove uno dei due recitava la parte del sempliciotto.
Resta solo il dubbio dove Di Pietro se l’andrà a cercare la spalla nel nuovo Parlamento? E chi dei due sarà il sempliciotto?
Vito Schepisi

06 marzo 2008

Il Grande Circo Barnum della politica

Tra l’inizio della campagna elettorale e le battute finali ci sono le candidature. Non c’è nulla di più illusivo, e nello stesso tempo di più traumatico per le coalizioni e per i partiti, che la definizione delle liste elettorali con le candidature.
L’indicazione, e la collocazione dei candidati nelle liste, stabilisce il successo, le speranze o la sicura trombatura dell’aspirante parlamentare.
Sia il sistema uninomale maggioritario che quello proporzionale con liste bloccate affidano, infatti, ai partiti il massimo delle responsabilità e della discrezionalità per le nomine, e sia l’un metodo che l’altro privano gli elettori del diritto di scelta.
Con il maggioritario avviene che in collegi più ridotti si presentano, contrapposti, i candidati indicati dai partiti o dalle coalizioni. Con la scelta del partito si è obbligati a scegliere così anche il candidato. E’ un metodo, però, che andrebbe bene in un sistema prevalentemente bipolare.
Con il proporzionale a liste bloccate i collegi sono più ampi ed in questi sono proposti gruppi di candidati in ordine già stabilito di preferenza, in modo tale che sono i partiti a disporre quali nell’ordine far eleggere.
La scelta dei cittadini avviene solo sui partiti, o le coalizioni. Gli elettori in questo modo non sapranno di fatto chi dei candidati nella lista beneficerà del loro voto.
C’è stato molto disappunto per questa forma di voto perché impedisce agli elettori la facoltà della scelta ed attribuisce ai partiti un potere molto ampio. Sappiamo, però, che è solo una questione di forma. Anche con il precedente sistema per la parte proporzionale era così! La sostanza, infatti, resta quella del programma e dell’indirizzo politico che l’elettore ha in animo di scegliere.
Neanche la scelta del metodo tedesco, o quello delle bozze uno e due di Bianco, avrebbe risolto la questione della scelta dell’elettore. Il proporzionale è, comunque e sempre, o a lista bloccata o con le preferenze. E c’è un’idea abbastanza condivisa che indica le preferenze come fonte di corruzione e di mercificazione del voto. Riesumarle sarebbe, pertanto, un rimedio peggiore del male.
Se l’alternativa alla scelta dei partiti sono così le preferenze, una iattura a cui si attribuisce gran parte del malcostume della prima repubblica, sarebbe persino opportuno pensare che sia preferibile lasciare le cose come stanno.
Si ha, infatti, l’impressione che questo sia un falso problema che si è voluto ingigantire, per la solita contrapposizione politica, oltre la sua vera portata, anche se si ritiene opportuna una nuova legge elettorale che semplifichi il sistema del consenso popolare e renda più certe ed individuabili le scelte. L’obiettivo dovrebbe essere quello di favorire la formazione di grandi partiti, radicati sulle larghe ispirazioni civili e sociali della popolazione. Favorire l’aggregazione sulle idee e sui contenuti e non necessariamente sugli uomini.
E’ illusivo si diceva il gioco delle candidature e la distribuzione in pillole giornaliere delle novità. Scendono in campo nomi famosi, o rappresentanti di categorie, per dar forma a strategie di penetrazione in strati sempre più larghi di opinione pubblica.
E’ l’aspetto pubblicitario della politica, come quella del bucato più bianco, perché alla fine, come in passato, non sono i nomi dei personaggi famosi e neanche quelli degli operai e dei lavoratori di call center, ad esempio, che stabiliranno gli indirizzi guida di una maggioranza.
Saranno sempre i partiti. Gli altri sono spesso figuranti, sono come le immagini sulle copertine patinate dei giornali. Servono a convincere gli elettori indecisi a votare per chi candida il personaggio ritenuto più sostenibile, proprio come i rotocalchi che per attirare gli acquirenti mettono in prima pagina le foto che riscontrano un piacevole impatto con i lettori.
Comporre le liste è anche traumatico perché si promuove sempre qualcuno, mentre si retrocedono altri. Si deve tener conto delle competenze perché in ogni Camera siano rappresentate conoscenze adeguate per saper e poter fronteggiare il dibattito sui diversi argomenti in discussione. Si deve assicurare la presenza di uomini con forte personalità, tenaci e capaci nel saper gestire i gruppi parlamentari.
Serve assicurare l’esperienza e la conoscenza dei regolamenti parlamentari. Serve disporre di una rosa di candidati capaci di assumere responsabilità istituzionali e presidenze di commissioni di Camera e Senato.
Nella composizione delle liste si deve tener conto dell’aggancio territoriale dei candidati perché le diverse zone del Paese siano adeguatamente rappresentate. Conta il seguito dei personaggi e la loro affidabilità in ambito sia nazionale che territoriale. Ci sono poi i casi personali, i litigi e le contrapposizioni, l’equilibrio dei pesi, donne e giovani adeguatamente distribuiti, le figure carismatiche, gli amici di cordata, i portavoce, i portaborse, i fedeli, i capri espiatori di ieri e quelli di un possibile domani a cui garantire uno scanno parlamentare, i portatori d’acqua e quelli di idee. In fin dei conti al Parlamento vanno coloro che sono lo specchio della società. Anche se nessuno è disposto ad ammetterlo.
I capilista e le candidature multiple sono poi l’esercizio dell’arte più sottile degli apparati dei partiti. I primi hanno lo scopo di identificare con un personaggio un valore aggiunto ai programmi ed agli indirizzi politici. I secondi sono la variabile delle opzioni future perché in base alla loro opzione finale si faranno le ulteriori scelte tra i primi dei non eletti.
E’così che tra illusioni e traumi si sviluppa il primo atto del Grande Circo Barnum della campagna elettorale.
Vito Schepisi

03 marzo 2008

Il PD di Veltroni ... ma anche di Prodi

Se un assassino volesse riesumare la vittima del suo misfatto per tentare di farlo rivivere, mascherando così il suo delitto, diremmo che il suo è un macabro tentativo di reiterare un crimine già commesso.
E macabro allora deve essere considerato il tentativo di Veltroni di far rivivere una politica e quegli uomini che del delitto perpetrato ai danni del Paese sono impenitenti colpevoli.
L’Italia era il Paese uscito senza troppi danni da un periodo di difficoltà dei mercati. Era stata adottata una politica di rilancio che puntualmente si è resa sobria e proficua già dalla fine del 2005, per poi manifestarsi in pieno nel corso del 2006.
Solo la perfidia politica di Prodi, e la fatuità programmatica della sinistra, potevano ingrippare il motore già avviato per la crescita e per nuovi obiettivi di modernizzazione del Paese.
Gli indicatori dello sviluppo erano già pronti a mettere in moto la nostra economia. Era sufficiente completare il programma di riduzione della pressione fiscale e completare, soprattutto in periodo di ripresa dei mercati, la politica degli investimenti per dare slancio alla crescita ed all’occupazione. Erano sufficienti misure di riduzione del costo del lavoro e di incentivazione al rilancio della piccola e media impresa per riportare l’Italia ad un grado di tollerabilità e sostenibilità economica in tempi di crisi.
Sono arrivate, invece, le tasse e gli aumenti delle aliquote previdenziali proprio alla piccola e media impresa. Era, per ironia della sorte, sufficiente fare tutto il contrario di ciò che ha fatto Prodi per poter affrontare oggi l’aumento dei costi delle materie prime e le difficoltà dei mercati.
Cosa si vorrebbe fare ora? Reiterare il delitto?
In una associazione a delinquere non è colpevole solo chi materialmente si rende responsabile dell’esecuzione materiale del crimine, ma ogni componente della società del malaffare. Non è che cambiando la cupola dell’associazione malavitosa si cambiano le responsabilità dei suoi componenti. Non è quindi cambiando il personaggio politico, che del delitto commesso a danno dei cittadini si è reso colpevole, che si possa oggi aver fiducia della stessa associazione e della sua nuova cupola, e ritenerne utile e virtuosa la futura condotta,
In alcune circostanze la colpa riviene dall’ignoranza o dalla presunzione di fare del bene. Quante volte accade che nel tentativo di mutare una situazione sfavorevole ci si impegni a trovare soluzioni che alla fine si dimostrano peggiori del male? Accade perché la buona fede conduce a considerare utile ciò che si fa e gli errori sono solo frutto o di ignoranza o di casualità.
Non è questo, però, il caso di Veltroni e del PD. Già ai tempi della costituzione del nuovo partito, cioè durante la ricerca dell’individuazione teorica di un percorso comune dei ministri e dei leader dei partiti che componevano per il 70% il governo, Veltroni sosteneva soluzioni differenti rispetto a quelle adottate da Prodi. Era perciò consapevole che la ricetta del Presidente del Consiglio e della maggioranza dell’Unione era sbagliata. Ma questo non gli ha impedito di pensare soltanto a promuovere la sua persona e disinteressarsi dei danni al Paese.
Si è avuta la netta sensazione che la nascita del PD sia stata solo una soluzione improntata a creare discontinuità apparente con Prodi e la vecchia sinistra, in visibile difficoltà di immagine e credibilità. La nuova realtà, o come piace dire, il nuovo soggetto politico è stato poi la somma dei vecchi partiti di provenienza, un tempo persino poli dell’antagonismo sui valori.
L’unione di DS e Margherita è sembrata in funzione di un disegno politico di conservazione del potere, e senza che fossero chiarite le storie, gli ideali, i percorsi storici e le strategie politiche delle due anime che oggi la compongono. Le stesse che nella vecchia prima repubblica avevano spesso monopolizzato i ruoli sia di maggioranza che d’opposizione.
Le tensioni e gli ideali si sono diluiti nell’unico obiettivo della conquista della maggioranza parlamentare, in qualsiasi condizione, e solo per l’esercizio del potere. E’, infatti, difficile oggi identificare una diversa e precisa strategia politica.
Che cosa sia il PD non c’è nessuno oggi capace di dirlo chiaro!
Altro che il manifesto di Veltroni ”non pensate a quale partito pensate a quale Paese” !
Ma se non lo sa neanche lui quale Paese vuole, di chi e di che cosa dovremmo fidarci?
Non si leggono affatto tensioni ideali alla base della proposta politica del PD!
Se Veltroni è conscio che Prodi stava conducendo il Paese al declino, è lecito pensare che non ci sia stata buona fede nel suo comportamento: l’inerzia equivale alla complicità. Ma nel caso invece che non sia consapevole dei danni di Prodi è ulteriormente poco credibile ed inaffidabile.
E’ tempo di accantonare l’ipocrisia e la furbizia: uniche doti che gli riconosciamo.
E’ la stessa furbizia che si manifesta allorquando mister “si può fare” dichiara di rappresentare il nuovo. Vada per la falsità del concetto, si sa che in campagna elettorale si diffonde un overdose di mera propaganda, ma come fa Veltroni a dichiararsi nuovo quando nei due anni di scellerata gestione del governo non c’è stata occasione che sia valsa per inchiodare Prodi alle sue responsabilità verso il Paese?
Non può dirsi nuovo Veltroni sia per la sua storia che per il riciclaggio dei contenuti che esprime, ma soprattutto per essere il leader di un Partito che ha poi come Presidente lo stesso Prodi.

Vito Schepisi