C’ è sempre un modo diverso per essere comici. Al contrario di altri paesi, in Italia la comicità si è espressa in tante forme differenti tanto da diventare, il popolo italiano, famoso per i modi anche bizzarri di interpretare la vita.
L’Italia ha saputo imbrigliare con la più amara ironia la drammaticità della cattiva sorte e della malversazione. Ha saputo trarre coraggio anche dalle sventure, inventandosi antidoti e pozioni per meglio esorcizzare il dolore.
I sacrifici, la miseria, le sofferenze, assieme alla meschinità, alla viltà, ai vizi ed alle virtù, tutto nel tempo della storia è stato nello stesso momento esaltato e sdrammatizzato con l’arte dell’ironia e della burla. Gli italiani si sono mostrati capaci di sorridere laddove altri si mostravano seri e compunti, ma anche per converso di piangere e soffrire laddove gli altri si mostravano cinici ed indifferenti.
Tanti attori, tanti interpreti chi con grande talento, altri con un po’meno, come ad esempio Veltroni.
Come non pensare a Benigni? Alla sua La vita è bella dove ha saputo e voluto raccontare il nazismo e l’orrore, la severità e l’idiozia, i campi di concentramento, l’odio razziale, uno spaccato anche storicamente abbastanza recente della follia dei regimi ideologici. L’ha fatto con l’ironia e la beffa, con la filosofia romantica di un’umanità che sa riscattare in modo provocatorio e fermo il valore umano dell’individuo e la dignità e dell’uomo.
Tra le attitudini ci sono coloro che hanno l’animo ed il gusto interpretativo per evocare sia le giuste emozioni che la sensibilità delle coscienze. Il pluralismo delle sensazioni è anche un benefico lavaggio nel limpido ruscello del confronto, dove sgorga quell’acqua che elimina le scorie della incomunicabilità e del pregiudizio.
Ci sono anche coloro che invece sembrano goffi e che forzano la loro interpretazione in un crescendo di atteggiamenti che sanno di spicciola furbizia e di consapevole mistificazione, come ad esempio Veltroni, con quei suoi modi da recita, con i suoi onnicomprensivi pensieri, ma anche con la sue mimica suggestiva tra il divertito, il serio, il pensieroso, il preoccupato, l’ascetico.
Ed è meditando su una strana e serrata campagna elettorale che può tornare alla memoria un’opera letteraria così assimilabile con la nostra politica. Una campagna elettorale che interpreta il costume di un Italia dove i feudi, il potere, la sonnacchiosa ed apparentemente distratta gestione, il controllo e le metamorfosi dei pensieri, delle strategie, degli ideali, dei tormenti sociali, resta il filo conduttore di un’idea che sintetizza la trama de Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedura: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Anche il nuovo ha l’immagine del vecchio. Cadono i muri e le certezze e il mondo si trasforma. La globalizzazione prende il posto delle autarchie, il principio del mercato si sostituisce a quello del dirigismo marxista, ma i personaggi sono sempre gli stessi. Sempre uguali. Sembra persino che conservino le stesse facce, anche quando le generazioni mutano e si avvicendano. Alcuni sono lì da sempre come se fossero uomini immortali, in prima fila a riproporsi, cambiando giacchette e maschere, dopo un lifting politico tra l’incredibile e l’audace. Sempreverdi di una pianta che non dà frutti, né fiori ma solo bacche grigie, amare, indigeste se non velenose
Veltroni è poi colui che sintetizza alla perfezione la massima di Tommasi Di Lampedusa: “attribuire ad altri la propria infelicità è l’ultimo ingannevole filtro dei disperati”. Circondato dagli stessi uomini contro cui oggi sembra opporsi nei programmi, inoltrandosi verso un percorso politico del tutto diversificato da quello di Prodi e della sua maggioranza, sembra astutamente voler attribuire ad altri le responsabilità della cattiva gestione del governo ancora in carica di Prodi, mentre ne è incontrovertibile continuità per uomini e sostanza politica.
Veltroni, con la finzione di contenuti mutuati alla “rabbia “ della gente, antepone così alla realtà il suo ultimo filtro dei disperati, tanto da sembrare ancora più disperato, come colui che si gioca tutto per restare a galla e per non precipitare verso il giudizio severo del popolo che si vorrebbe ancora una volta mortificare.
Recita da nordista, da imprenditore, da liberista, da fautore delle grandi opere, da repressore della criminalità, da garante dei valori, da promotore della riduzione della pressione fiscale.
Non è che si dimentica d’esser Veltroni? O che finisca per spacciarsi anche per Berlusconi?
Sarebbe davvero un colpo da maestro se nell’impeto della competizione si guardasse allo specchio e si dicesse : Si può fare! Io sono Veltroni….ma anche Berlusconi!
L’Italia ha saputo imbrigliare con la più amara ironia la drammaticità della cattiva sorte e della malversazione. Ha saputo trarre coraggio anche dalle sventure, inventandosi antidoti e pozioni per meglio esorcizzare il dolore.
I sacrifici, la miseria, le sofferenze, assieme alla meschinità, alla viltà, ai vizi ed alle virtù, tutto nel tempo della storia è stato nello stesso momento esaltato e sdrammatizzato con l’arte dell’ironia e della burla. Gli italiani si sono mostrati capaci di sorridere laddove altri si mostravano seri e compunti, ma anche per converso di piangere e soffrire laddove gli altri si mostravano cinici ed indifferenti.
Tanti attori, tanti interpreti chi con grande talento, altri con un po’meno, come ad esempio Veltroni.
Come non pensare a Benigni? Alla sua La vita è bella dove ha saputo e voluto raccontare il nazismo e l’orrore, la severità e l’idiozia, i campi di concentramento, l’odio razziale, uno spaccato anche storicamente abbastanza recente della follia dei regimi ideologici. L’ha fatto con l’ironia e la beffa, con la filosofia romantica di un’umanità che sa riscattare in modo provocatorio e fermo il valore umano dell’individuo e la dignità e dell’uomo.
Tra le attitudini ci sono coloro che hanno l’animo ed il gusto interpretativo per evocare sia le giuste emozioni che la sensibilità delle coscienze. Il pluralismo delle sensazioni è anche un benefico lavaggio nel limpido ruscello del confronto, dove sgorga quell’acqua che elimina le scorie della incomunicabilità e del pregiudizio.
Ci sono anche coloro che invece sembrano goffi e che forzano la loro interpretazione in un crescendo di atteggiamenti che sanno di spicciola furbizia e di consapevole mistificazione, come ad esempio Veltroni, con quei suoi modi da recita, con i suoi onnicomprensivi pensieri, ma anche con la sue mimica suggestiva tra il divertito, il serio, il pensieroso, il preoccupato, l’ascetico.
Ed è meditando su una strana e serrata campagna elettorale che può tornare alla memoria un’opera letteraria così assimilabile con la nostra politica. Una campagna elettorale che interpreta il costume di un Italia dove i feudi, il potere, la sonnacchiosa ed apparentemente distratta gestione, il controllo e le metamorfosi dei pensieri, delle strategie, degli ideali, dei tormenti sociali, resta il filo conduttore di un’idea che sintetizza la trama de Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedura: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Anche il nuovo ha l’immagine del vecchio. Cadono i muri e le certezze e il mondo si trasforma. La globalizzazione prende il posto delle autarchie, il principio del mercato si sostituisce a quello del dirigismo marxista, ma i personaggi sono sempre gli stessi. Sempre uguali. Sembra persino che conservino le stesse facce, anche quando le generazioni mutano e si avvicendano. Alcuni sono lì da sempre come se fossero uomini immortali, in prima fila a riproporsi, cambiando giacchette e maschere, dopo un lifting politico tra l’incredibile e l’audace. Sempreverdi di una pianta che non dà frutti, né fiori ma solo bacche grigie, amare, indigeste se non velenose
Veltroni è poi colui che sintetizza alla perfezione la massima di Tommasi Di Lampedusa: “attribuire ad altri la propria infelicità è l’ultimo ingannevole filtro dei disperati”. Circondato dagli stessi uomini contro cui oggi sembra opporsi nei programmi, inoltrandosi verso un percorso politico del tutto diversificato da quello di Prodi e della sua maggioranza, sembra astutamente voler attribuire ad altri le responsabilità della cattiva gestione del governo ancora in carica di Prodi, mentre ne è incontrovertibile continuità per uomini e sostanza politica.
Veltroni, con la finzione di contenuti mutuati alla “rabbia “ della gente, antepone così alla realtà il suo ultimo filtro dei disperati, tanto da sembrare ancora più disperato, come colui che si gioca tutto per restare a galla e per non precipitare verso il giudizio severo del popolo che si vorrebbe ancora una volta mortificare.
Recita da nordista, da imprenditore, da liberista, da fautore delle grandi opere, da repressore della criminalità, da garante dei valori, da promotore della riduzione della pressione fiscale.
Non è che si dimentica d’esser Veltroni? O che finisca per spacciarsi anche per Berlusconi?
Sarebbe davvero un colpo da maestro se nell’impeto della competizione si guardasse allo specchio e si dicesse : Si può fare! Io sono Veltroni….ma anche Berlusconi!
Vito Schepisi
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