La questione degli autotrasportatori si è risolta. L’Italia dovrebbe esultare perché alla vigilia delle feste più sentite si sono liberati i trasporti e si aspetta che si riempiano gli scaffali dei mercati alimentari.
I tanti lavoratori autonomi che si affannano a guadagnare giorno per giorno le loro risorse economiche per sopravvivere riprendono così il loro lavoro. Lo fanno con rassegnazione ponendosi alle spalle le piccole e grandi difficoltà attraversate: persino soddisfatti per il diradarsi del pericolo di veder compromessa la propria attività ed affrancati dal rischio di non poter onorare i propri impegni economici.
E’ salvo il tacchino ed il pesce, sono salve le mozzarelle di bufala e la verdura, le primizie e la frutta esotica, i vini pregiati e lo spumante doc: tutti nuovamente in bella mostra sui banchi dei mercati per arricchire di gusto e di calore il pranzo di Natale. Anche il rientro a casa dei lavoratori dal nord al sud, dalle fabbriche alle campagne, dalla nebbia al sole è assicurato per le autostrade senza blocchi e per i distributori di carburante riattivati.
E’ scongiurato, per tanti lavoratori lontani dai loro paesi di origine, il pericolo di trascorrere le feste ai margini delle grandi città del nord, spesso nella tristezza e nel grigiore delle periferie abbandonate tra il degrado e l’indifferenza ed a dispetto della vitalità e dell’opulenza delle ricche metropoli del nord. Sono attesi con umanità e simpatia dalle comunità popolari del sud, e già pregustano le sagre, i canti e le bevute del buon vino primitivo. Pensano agli agrumi colti direttamente dai giardini ed alla parentesi di felicità nel trascorrere le feste più sentite tra le tradizioni più antiche e la gioia dei bambini. Pensano già alle provviste da portare, dallo zirro di olio vergine di oliva spremuto dinanzi ai loro occhi nei frantoi, alla damigiana del vino artigianale con i metodi e le tradizioni popolari tramandate nei millenni da padri a figli a nipoti. La gioia di un ritorno al passato tra usi, abitudini che lentamente vanno spegnendosi.
Un grido di gioia, uno sfogo esultante di liberazione dovrebbe attraversare l’Italia intera: come una vittoria ai mondiali di calcio!
Non è così, invece! E’ durata 3 giorni ed è la lezione più amara impartita a tutto il Paese: la lezione più impegnativa della nostra cultura popolare. Tre giorni per passare dalla coscienza di traguardi di civiltà a quella della leggerezza sottile del precipizio dei valori che quotidianamente affermiamo.
Un abuso dei diritti, un falso convincimento di libertà reclamate, un ingiusto criterio di lotta e di rivendicazioni per l’ affermazione di alcune istanze economiche e normative di una categoria può offrire l’aspetto più nero di un precipizio. La visione più cruda di un inferno di umanesimo, civiltà e sensibilità che si abbatte inaspettatamente, all’improvviso come un cataclisma meteorologico devastante, sulla popolazione inerme. L’Italia si è svegliata la mattina con il frigorifero vuoto, senza generi di prima necessità, con la macchina a secco di carburante, impossibilitata a recarsi al lavoro. Ci è sembrato di vivere in uno stato ancora più precario di una società medioevale, senza l’orto dietro casa, senza le galline per le uova fresche e la pecora per il latte, senza il calesse coi cavalli per spostarsi.
Il mondo industriale è come una grande macchina. E’ un meccanismo complesso che funziona grazie ai suoi complicati ingranaggi. Tutto è funzionale, anche la piccola ed insignificante vite che unisce i suoi meccanismi. Tutti i rapporti sono connessi tra loro e ciascuno per proprio conto agisce solo apparentemente in piena autonomia, ma in realtà tutto deve essere pensato come componente di un insieme che assicura il sincronismo e la funzionalità.
Il mondo civile è come un computer: se si toglie l’energia non si muove più niente, tutte le sue potenzialità restano immobili e diventa un oggetto del tutto inutile.
Ci chiediamo ora se sia lecito tutto questo e se sia giusto che in una vertenza di lavoro si arrivi a questo punto. Sappiamo che le ragioni o i torti, quasi sempre, non sono mai solo da una sola parte e che arrivare agli estremi implica responsabilità rilevanti di tutti, ed anche in questo caso è stato così.
Ci sono delle difficoltà oggettive oggi nel Paese dovute alla lievitazione dei costi che incidono sul bilancio quotidiano di tutte le famiglie. Le scelte politiche sono sempre più complicate di quanto apparentemente si pensi, ed incidere su aumenti di tasse, accise, pedaggi, oneri, diritti può creare difficoltà enormi ad intere categorie di lavoratori. Ci sono, nello specifico della vertenza degli autotrasportatori abusi, concorrenze sleali e scorrette, margini esigui di guadagni che finiscono per indurre al massacro i lavoratori, stretti tra i tempi e le percorrenze al limite delle possibilità umane, e non è possibile che le istanze siano ignorate e respinte sdegnosamente come è avvenuto.
Non è neanche, però, possibile che si arrivi a ledere i diritti degli altri, come non è possibile che si assumano comportamenti violenti. Le minacce, i blocchi, la voglia di far del male in modo indiscriminato, per far prevalere i propri egoismi, quantunque diritti sacrosanti, è un reato, ma ancor prima che un illecito penale è un abuso umano e sociale.
Non è neanche possibile, però, che il Governo, che dovrebbe avere la dignità di rappresentare l’intero Paese, anche nella valutazione della legittimità dei comportamenti di ciascuno, si distingua prima per una disattenzione al problema, poi con una precettazione disattesa ed infine con il cedimento, con le mani alla gola, alle istanze degli autotrasportatori.
Non si doveva arrivare a questo punto. Assolutamente non si doveva!
I tanti lavoratori autonomi che si affannano a guadagnare giorno per giorno le loro risorse economiche per sopravvivere riprendono così il loro lavoro. Lo fanno con rassegnazione ponendosi alle spalle le piccole e grandi difficoltà attraversate: persino soddisfatti per il diradarsi del pericolo di veder compromessa la propria attività ed affrancati dal rischio di non poter onorare i propri impegni economici.
E’ salvo il tacchino ed il pesce, sono salve le mozzarelle di bufala e la verdura, le primizie e la frutta esotica, i vini pregiati e lo spumante doc: tutti nuovamente in bella mostra sui banchi dei mercati per arricchire di gusto e di calore il pranzo di Natale. Anche il rientro a casa dei lavoratori dal nord al sud, dalle fabbriche alle campagne, dalla nebbia al sole è assicurato per le autostrade senza blocchi e per i distributori di carburante riattivati.
E’ scongiurato, per tanti lavoratori lontani dai loro paesi di origine, il pericolo di trascorrere le feste ai margini delle grandi città del nord, spesso nella tristezza e nel grigiore delle periferie abbandonate tra il degrado e l’indifferenza ed a dispetto della vitalità e dell’opulenza delle ricche metropoli del nord. Sono attesi con umanità e simpatia dalle comunità popolari del sud, e già pregustano le sagre, i canti e le bevute del buon vino primitivo. Pensano agli agrumi colti direttamente dai giardini ed alla parentesi di felicità nel trascorrere le feste più sentite tra le tradizioni più antiche e la gioia dei bambini. Pensano già alle provviste da portare, dallo zirro di olio vergine di oliva spremuto dinanzi ai loro occhi nei frantoi, alla damigiana del vino artigianale con i metodi e le tradizioni popolari tramandate nei millenni da padri a figli a nipoti. La gioia di un ritorno al passato tra usi, abitudini che lentamente vanno spegnendosi.
Un grido di gioia, uno sfogo esultante di liberazione dovrebbe attraversare l’Italia intera: come una vittoria ai mondiali di calcio!
Non è così, invece! E’ durata 3 giorni ed è la lezione più amara impartita a tutto il Paese: la lezione più impegnativa della nostra cultura popolare. Tre giorni per passare dalla coscienza di traguardi di civiltà a quella della leggerezza sottile del precipizio dei valori che quotidianamente affermiamo.
Un abuso dei diritti, un falso convincimento di libertà reclamate, un ingiusto criterio di lotta e di rivendicazioni per l’ affermazione di alcune istanze economiche e normative di una categoria può offrire l’aspetto più nero di un precipizio. La visione più cruda di un inferno di umanesimo, civiltà e sensibilità che si abbatte inaspettatamente, all’improvviso come un cataclisma meteorologico devastante, sulla popolazione inerme. L’Italia si è svegliata la mattina con il frigorifero vuoto, senza generi di prima necessità, con la macchina a secco di carburante, impossibilitata a recarsi al lavoro. Ci è sembrato di vivere in uno stato ancora più precario di una società medioevale, senza l’orto dietro casa, senza le galline per le uova fresche e la pecora per il latte, senza il calesse coi cavalli per spostarsi.
Il mondo industriale è come una grande macchina. E’ un meccanismo complesso che funziona grazie ai suoi complicati ingranaggi. Tutto è funzionale, anche la piccola ed insignificante vite che unisce i suoi meccanismi. Tutti i rapporti sono connessi tra loro e ciascuno per proprio conto agisce solo apparentemente in piena autonomia, ma in realtà tutto deve essere pensato come componente di un insieme che assicura il sincronismo e la funzionalità.
Il mondo civile è come un computer: se si toglie l’energia non si muove più niente, tutte le sue potenzialità restano immobili e diventa un oggetto del tutto inutile.
Ci chiediamo ora se sia lecito tutto questo e se sia giusto che in una vertenza di lavoro si arrivi a questo punto. Sappiamo che le ragioni o i torti, quasi sempre, non sono mai solo da una sola parte e che arrivare agli estremi implica responsabilità rilevanti di tutti, ed anche in questo caso è stato così.
Ci sono delle difficoltà oggettive oggi nel Paese dovute alla lievitazione dei costi che incidono sul bilancio quotidiano di tutte le famiglie. Le scelte politiche sono sempre più complicate di quanto apparentemente si pensi, ed incidere su aumenti di tasse, accise, pedaggi, oneri, diritti può creare difficoltà enormi ad intere categorie di lavoratori. Ci sono, nello specifico della vertenza degli autotrasportatori abusi, concorrenze sleali e scorrette, margini esigui di guadagni che finiscono per indurre al massacro i lavoratori, stretti tra i tempi e le percorrenze al limite delle possibilità umane, e non è possibile che le istanze siano ignorate e respinte sdegnosamente come è avvenuto.
Non è neanche, però, possibile che si arrivi a ledere i diritti degli altri, come non è possibile che si assumano comportamenti violenti. Le minacce, i blocchi, la voglia di far del male in modo indiscriminato, per far prevalere i propri egoismi, quantunque diritti sacrosanti, è un reato, ma ancor prima che un illecito penale è un abuso umano e sociale.
Non è neanche possibile, però, che il Governo, che dovrebbe avere la dignità di rappresentare l’intero Paese, anche nella valutazione della legittimità dei comportamenti di ciascuno, si distingua prima per una disattenzione al problema, poi con una precettazione disattesa ed infine con il cedimento, con le mani alla gola, alle istanze degli autotrasportatori.
Non si doveva arrivare a questo punto. Assolutamente non si doveva!
Vito Schepisi
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