07 gennaio 2010

Primarie e PD

Le primarie sono come la classica coperta troppo corta: se vuoi coprirti le spalle finisci col lasciarti scoperti i piedi. Mutuate, per le elezioni presidenziali, dal sistema elettorale degli Stati Uniti d’America, in Italia, tra qualche tempo, serviranno ad eleggere persino gli amministratori di condominio.
E’ nello stile del “si può fare”, perché tutto ciò che è ”americano”, in Italia, se a stabilirlo sono i soliti noti, è politicamente corretto. E’ nato così il Partito Democratico, con le primarie drogate, dopo una grande kermesse al Lingotto di Torino per investire già tre mesi prima Veltroni, benedetto dalle grandi famiglie industriali italiane e da un gruppo editoriale di grande impatto ideologico nell’area della sinistra italiana.
Le primarie in Italia erano già state introdotte appena due anni prima, volute da Prodi che, consapevole di essere nell’area della sinistra italiana un espediente più che una soluzione, voleva legittimarsi alla candidatura nelle politiche del 2006 per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Una legittimazione politica che a quanto sembra è servita a ben poco, come a ben poco è servita quella di Veltroni nel 2007 ed a ben poco, sembra di capire, servirà anche quella recente di Bersani.
Se le riflessioni sono un aiuto alla comprensione dei fenomeni, e se possono servire come indicazioni per le scelte future, occorre dire che la forma deve essere sempre un modo per far emergere le qualità delle cose e mai, viceversa, un modo per celarne la sostanza. Primarie si, ma su scelte vere!
Nel Partito Democratico appare sempre più difficile, però, poter guardare alla sostanza in quanto c’è una gran quantità di scelte non fatte, di equivoci non risolti, di strategie del divenire troppo vincolate alle nostalgie del passato. Sono apparsi, inoltre, nel partito che in due anni è stato prima di Veltroni, poi di Franceschini e che ora è guidato da Bersani, più i metodi tipici di una opposizione al sistema, che richieste di modifiche alle soluzioni dei provvedimenti in discussione, e tanto meno si è avvertita la presenza di proposte politiche alternative, se non quella di dire: vada via Berlusconi che ci mettiamo noi qualcuno di diverso.
Nel PD ci sono molte voci diverse che gridano, e sono spesso voci divergenti. Per un partito di natura popolare può essere anche giusto che sia così, ma se è vero che in questo modo si riesce a coinvolgere un arco trasversale delle realtà sociali e del pensiero politico del Paese, è anche vero che spaventa la sua parte moderata e che disorienta e delude quella più pregiudiziale e dura. Il risultato finale è che il PD non riesce ad aggregare e viene visto dai suoi alleati più come un serbatoio da cui attingere, soprattutto dopo che alle politiche del 2008, con l’appello ad evitare il voto inutile, Veltroni aveva cannibalizzato i partiti minori.
Le contraddizioni, se sono tante, finiscono sempre per emergere. Le primarie, ad esempio, si fanno a corrente alternata, e si ammettono solo i candidati che non disturbano, ed accade anche che si facciano quando fa comodo e che si neghino quando si mostrano scomode.
Sono mesi che in Puglia il governatore uscente Vendola, forte della fiducia sempre ricevuta dal maggior partito della coalizione di sinistra che nel 2005 vinse le elezioni, chiede la legittimazione della sua gestione con la riconferma della candidatura alla presidenza. E sono mesi che il PD fa finta di non sentire.
La contraddizione più evidente è che i responsabili del partito democratico magnificano la gestione passata, ma pongono ostacoli alla sua riconferma; esaltano l’esperienza della gestione della sinistra radicale in Puglia, ma indicano una strada moderata per una nuova esperienza politica in compagnia di Casini. Ed è così che la Puglia è in bilico tra il desiderio di D’Alema di allargare la maggioranza al centro, nell’ottica di un laboratorio politico per preparare le future competizioni elettorali nel Paese, e quello della riconferma di Vendola; tra la difesa della tenuta complessiva della sinistra, con l’aiuto di una componente moderata, e l’interesse, un po’ personale ed un po’ politico, di un pezzo della sinistra più estrema di non spegnersi.
Resta che sulla richiesta delle primarie da parte del governatore uscente, che sa di poter ben controllare il territorio amministrato da 5 anni, il PD nicchia confondendo tutti, e confondendosi da solo, tra le primarie di coalizione e le primarie di partito, tra la modifica della legge regionale sulle candidature dei primi cittadini delle grandi città ed i propositi dei allargamento della coalizione.
Primarie si, primarie no! Il PD non sa se coprirsi i piedi o le spalle. Come accade con l’alleato Di Pietro: il PD non sa mai cosa fare! Non sa mai se far maturare il suo processo democratico o andare all’assalto.
Vito Schepisi su Il Legno Storto

Nessun commento: