18 gennaio 2010

Di Pietro, Mani Pulite e la storia negata


Il proprio lavoro non è sempre ciò che l’individuo sceglie per il futuro, ma il più delle volte è ciò che la società, ed il contesto, ti offre. Facciamo, pertanto, un po’ di chiarezza: il lavoro è nella generalità solo lo strumento della vita sociale degli uomini, senza assolutamente voler disconoscere le scelte fatte da tanti in coerenza con le proprie aspirazioni. E, non sempre corrisponde alla realtà, quel modo un po’ romantico di definire il proprio lavoro come la funzione che appaga il proprio legittimo desiderio di realizzazione. Al contrario, spesso se ne discosta.

Detto questo, colui che, all’inizio degli anni ‘90, la folla aveva acclamato come l’eroe di mani pulite, da piccolo, aveva pure potuto pensare di voler fare da grande l’eroe giustiziere, così come è nella fantasia di tanti bambini per l’astronauta o il pilota di formula uno. Da adulto, però, trovatosi a poter coltivare i suoi sogni di giustiziere del male e di moralizzatore dei costumi, perché ha poi abbandonato la magistratura? Perché ha abbandonato la funzione istituzionalmente preposta a far rispettare la legalità?

Non tutto, però, sembra che sia stato per sua scelta. Le circostanze hanno spesso scelto per lui. Episodi noti e giudizi severi della magistratura, come quella di Brescia, ne hanno disegnato un profilo tutt’altro che trasparente e lineare, tutt’altro che attinente ad un leale difensore dei deboli e degli oppressi, tutt’altro che tipico di un integerrimo fustigatore dei corrotti e dei prepotenti. Molti dubbi sono rimasti senza che mai sia stata fatta chiarezza. Alcuni passi della sua vita sono rimasti nell’ombra, ed alcune circostanze appaiono come macigni che ostruiscono il percorso della conoscenza, soprattutto storica, di un periodo importante dell’evoluzione politica del Paese. Resta ostruito, purtroppo, un varco che traccia il confine di transito di trasformazioni addirittura epocali: si pensi, ad esempio, alla caduta dei conflitti ideologici.

L’Italia è tra gli stati che più aveva sofferto la presenza dei due blocchi politico-militari in conflitto di influenza. Avrebbe potuto liberarsi, in modo naturale e spontaneo, di un serrato conflitto interno che paradossalmente si neutralizzava attraverso il consociativismo e ( perche no?) far partire il processo politico di trasformazione del Paese. Potevano già farsi 20 anni fa le riforme che dovevano abbattere la burocrazia, le caste, le alchimie e le sacche dei privilegi dei grandi vecchi della finanza e dell’industria. Dopo la caduta del Muro, le illusioni di un sistema alternativo venivano meno, si sgretolavano come un castello di sabbia. Crollava, così, per la sopravvenuta inconsistenza di un suo riferimento, la ragione sostanziale di quel veto burocratico e politico che aveva minato lentamente l’equilibrio economico e sociale del Paese.

Un lavoro è un lavoro: non ci sono dubbi. In Italia, ieri come oggi, occorre anche adeguarsi, è già una fortuna trovarlo. Alcuni sono pericolosi, altri noiosi, molti sono pesanti e faticosi. Altri, però, richiedono attitudini particolari e trascinano addosso a chi li esercita conoscenze, segreti ed aspetti di riservatezza che devono essere tutelati. Ed è qui che sorgono dubbi ed è qui che alcune circostanze, mai sufficientemente smentite, fanno pensare che ci siano state attività che mal si conciliavano con le altre, attività che possano esser state strumento di conoscenze e sospetti per un modo improprio di usarle. Ed è qui che alcune ipotesi sulla nascita e sulle finalità della stagione di mani pulite vanno ad assumere aspetti inquietanti.

L’eroe di mani pulite ha fatto molti altri mestieri prima di fare il magistrato. Ha lavorato in industria in Germania, è stato impiegato nelle Forze Armate, ha fatto il segretario comunale, il poliziotto, e poi ha cambiato ancora. Ha studiato, come un piccolo genio, mentre lavorava e si è laureato come anticipatario. Di Pietro ha fatto poi il concorso in magistratura e lo ha vinto al primo tentativo, come solo pochi san fare. Bene, benissimo! Ora fa anche il politico ed ha fatto il ministro. Nel frattempo aveva cambiato due mogli, aveva cambiato casa, macchina, scarpe e vestiti e fondato un partito. Ha persino soddisfatto un sogno irrealizzabile per molti italiani: disporre di un appartamento a Piazza Duomo a Milano. Ha cresciuto due figli, uno poliziotto, aspirante politico, e l’altra studentessa, già aspirante giornalista, che scelgono anche loro di fare ciò che l’opportunità della vita decide per loro. Tutto normale? Anche se non per tutti è così facile, diciamo anche di si! I figli son sempre “pezz ‘e core”!

Il personaggio, però, è emblematico non per il suo ruolo di padre o di politico, molto naif quest’ultimo, ma per ciò che è stato, per il lavoro che ha svolto, per ciò che del suo lavoro non ci ha rivelato. Perché dice di voler fare da politico ciò che non ha saputo e voluto fare da magistrato: esser giusto.

Vito Schepisi

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