21 gennaio 2010

Processo breve ed opposizione catastrofista


Il confronto politico, in Italia, per cattiva abitudine dei partiti, stravolge abitualmente la realtà delle cose. Su certe materie, per giunta, si preferisce andare avanti per slogan, anziché attraverso ponderati ragionamenti nel merito dei provvedimenti. Procedere per slogan è più paradossale, è più catastrofista. Come se sia possibile, sia pure per paradossi, pensare ad una giustizia più catastrofica di quella italiana. Qualche dato: 9 milioni circa di processi pendenti tra penale e civile, 170.000 processi prescritti nell’ultimo anno per decorrenza nei termini (Il 12% dei processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica), 30mila richieste di indennizzo per l’irragionevole durata del processo, con una tendenza annuale di crescita del 40% di spesa per i risarcimenti. Costo totale della (in)giustizia italiana pari ad 8 miliardi l’anno.
In questo quadro sconfortante non è solo strano, ma anche criminoso, sollevare gli scudi ogni qualvolta si parla di interventi legislativi nel campo della giustizia. Per soffermarsi su quella penale, ad esempio, è evidente che nella trattazione e nella modifica di alcune norme inserite nei codici di procedura, non si possa pensare di dover fare la disamina delle singole situazioni e dei possibili vantaggi per qualcuno. Qualsiasi intervento, infatti, non può che recare misure che modificano gli effetti sui processi, sulle pene, sugli interessi delle parti, su tutti i soggetti interessati.
Chi è coinvolto in un processo penale finisce sempre con essere o meno agevolato dalle modifiche legislative che intervengono. Eccetto alcuni reati aberranti, di particolare preoccupazione sociale, su cui è possibile che il legislatore possa chiedere inasprimenti, l’orientamento garantista tende più a ridurre il rigore delle pene e, come dottrina giuridica emergente, si avvia anche a consentire la riduzione del divario tra accusa e difesa nel dibattimento. Se gli interventi di moderazione e di garanzia intervengono a favore di qualcuno, non possono e non devono essere intesi come privilegi concessi ai soggetti fruitori delle modifiche, soprattutto se i provvedimenti addottati hanno poi carattere generale.
A maggior ragione, non è ammissibile pensare che gli interventi legislativi si ritengano necessari o meno a seconda delle circostanze o delle opportunità, come sembra che spesso in Parlamento emerga. E’ più facile strumentalizzare che ragionare, tanto che, ad onta della responsabilità, tra gli schieramenti politici si fa prevalere più l’aspetto disfattista e provocatorio, che quello di ragionare su di un insieme di circostanze, di esperienze e di effetti.
Nel caso, ad esempio, della legge sul processo breve, appena varata al Senato, è emersa più la volontà di ricorrere alla strumentalizzazione sul Premier che alla ragionevole comprensione della realtà. L’opposizione ha privilegiato il ricorso agli slogan ed alla caciara, invece di focalizzare la questione giustizia in Italia, invece di pensare alle sanzioni comminate dalla Corte Europea per la insostenibile lunghezza dei processi, invece di prendere atto dell’intasamento delle procure italiane e del fiume delle prescrizioni per superamento dei tempi utili per celebrare i tre gradi di processo previsti dal nostro ordinamento giudiziario. Il ministero della Giustizia ha calcolato nell’1% l’incidenza della prescrizione sui processi in corso. E’ una percentuale di gran lunga inferiore alla giustizia negata per la decorrenza dei termini prevista dalla legge.
L’azione strumentale dell’opposizione parlamentare sul provvedimento “processo breve” è apparsa ancora più evidente per essere stata la stessa opposizione già proponitrice al Senato di un analogo disegno di legge, il n.2699 del 22 gennaio 2004 “Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di ragionevole durata del processo”.
Nella procedura penale, nel giusto processo e nella sua ragionevole durata si radica la maturità giuridica di un Paese e si misura il tasso di civiltà delle istituzioni democratiche. La Giustizia è il valore stesso della democrazia. Alla base di tutti i principi sociali c’è infatti la Giustizia, che è tale solo quando fa chiarezza di tutto e su tutto. Libertà e Giustizia sono gli aspetti imprescindibili della democrazia liberale. Sono due condizioni complementari tra loro, perché non c’è l’una in mancanza dell’altra, e sono speculari e fungibili perché sia l’una che l’altra si avvertono soprattutto per la loro mancanza.
Libertà e Giustizia sono necessarie quando servono. In momenti doversi appaiono persino superflui quando vogliano esser da riparo ai danni già subiti. Un carcerato innocente, poi liberato, ad esempio, ha già subito un danno così enorme che la libertà successiva non ripara affatto. Libertà e Giustizia sono come i due motori di un aereo in volo che, ingrippandosi, provocano danni definitivi alla vita delle persone trasportate. A nulla serve riparare i motori dopo che l’aereo è già caduto.
In questa ottica, i tempi ragionevoli sono necessari alla Giustizia: perché non sia intesa come persecuzione; perché intervenga senza modificare il contesto in cui il supposto reato abbia o meno motivato la domanda di giustizia.
Vito Schepisi

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