11 gennaio 2010

Lavoro, immigrazione, sfruttamento



Ci sono vicende che andrebbero prese davvero sul serio. Vicende su cui il confronto politico dovrebbe svilupparsi su analisi e soluzioni immediate. Il riferimento è ai fatti di violenza in Calabria, a Rosarno, dove la popolazione locale ed una consistente comunità di immigrati extracomunitari, si parla di 1500, in buona parte clandestini, hanno ingaggiato una guerriglia urbana senza precedenti in Italia.
Le questioni vanno interpretate per gli effetti già vissuti, per gli episodi già accaduti e per le possibili conseguenze future. Vanno interpretate perché se ne traggano i giusti segnali di pericolo. Serve, a tal fine, la giusta ricostruzione cronologica dei fatti, scremata dagli aspetti più marcatamente ideologici e strumentali. La verità su ciò che è accaduto è la sola che può far emergere le necessità di soluzioni immediate e/o indicare una possibile strada futura. Solo così si può valutare la portata dei provvedimenti adottati e si possono trarre le ipotesi per i provvedimenti di carattere definitivo da proporre. Le vicende vanno dunque comprese a 360°, soprattutto per prevenire nel futuro analoghi fenomeni di inammissibile degrado civile ed, infine, per discutere ed adottare quelle che dovrebbero essere le scelte definitive nell’interesse del Paese.
Non servono appelli per una parte o per l’altra, non servono scioperi, altre violenze, distruzioni, scontri con la polizia, raccolte di firme, posizioni di estremismo ideologico, gruppi su Facebook. Le questioni non si risolvono a chi grida di più, a chi minaccia di più, a chi strumentalizza di più a chi riesce a mobilitare di più. C’è molta confusione sull’argomento immigrati in Italia, ma c’è altrettanta confusione sulla stessa interpretazione del concetto di democrazia, c’è confusione su cosa sia l’autodeterminazione di un Paese, sui valori della solidarietà, della coscienza nazionale, come confusione c’è sul principio della legalità.
La strumentalizzazione politica ci mette del suo e non aiuta mai a capire. Non sappiamo ancora cosa si intenda, ad esempio, per multietnico, per multiculturale, per pluralismo etico, per integrazione, come non è dato di sapere se in Italia chi risiede regolarmente, e ne ottiene la cittadinanza secondo le leggi vigenti, goda degli stessi diritti di tutti e soprattutto se a tutti sia chiesto di assolvere gli stessi doveri. Di certo, ciò che nessun paese civile si dovrebbe poter permettere è la giungla. Ma in Italia, molto spesso, quella con la giungla è una convivenza forzata.
Ai margini di una crisi recessiva che ha messo a dura prova l’apparato produttivo del Paese e che ha accentuato una crisi occupazionale che al Sud ed in Calabria è già da sempre un fenomeno endemico, c’è da prendere atto che c’è una parte del Paese che vive, produce e commercializza nell’illegalità, che sfrutta la manodopera clandestina per il lavoro più duro, che sfugge ai controlli, che si avvale di protezioni omertose. Questa parte del Paese, in massa, per pigrizia, per debolezza, ovvero per complicità, per ignoranza, per cinismo, o per paura, fa finta di ignorare in quali condizioni disumane di vita sono presenti sul territorio nazionale un numero rilevante di bambini, donne e uomini, di nazionalità extracomunitaria e per lo più clandestini.
E’ in questa confusione, mal tollerata da una parte e dall’altra, che vanno inquadrate, a Rosarno, sia l’esasperazione degli extracomunitari sia quella dei cittadini, sfociate poi nella guerriglia urbana. Se l’effetto scatenante è stato un atto di stupida criminalità, si può a ragione affermare che la fiamma dello scontro bruciava già sulla pelle di tutti.
La questione di Rosarno, però, se, invece di spingere a riflettere, rianima lo scontro e la polemica politica, ottiene il risultato di mortificare ancora una volta il buon senso. Ci si sofferma, infatti, sulla propaganda, sullo scambio di accuse, sulla visione dei fatti a proprio uso e consumo, su scenari di comodo, sugli slogan, su tutto ciò che in definitiva non serve. Tutto questo non solo non è utile a risolvere alcunché, ma contribuisce a confondere le questioni ed a mantenere nel vago la complessa pericolosità di un fenomeno.
In Italia, e siamo alle solite, la conseguenza di ogni decisione non presa è sempre il rinvio, sine die, del problema. Oggi, per non saper scegliere, rischiamo di porre le basi a quella che potrà rivelarsi la nuova barbarie del secolo d’apertura del terzo millennio. Tutto può essere rinviato, infatti, meno che le questioni che minano l’unità del Paese, la sicurezza nazionale, la convivenza civile delle comunità urbane ed il rispetto delle leggi.
Eppure la legalità è la parola magica di tanti pifferai! Ma ha valore solo se la si usa contro una parte politica. Non è lecito criticare le sentenze, non è lecito accusare la magistratura di fare politica, non è lecito difendersi dalle accuse più astruse, ma non si dice, ad esempio, che è illegale entrare clandestinamente in Italia e non si dice che è illegale ignorare i controlli e le leggi sul lavoro. Non si dice, infine, che è illegale il caporalato e porre in stato di schiavitù la manodopera.
Dov’era la legalità allora a Rosarno? Di chi le responsabilità? Dov’erano magistratura, guardia di finanza, ispettorato del lavoro? Dove i sindacati?
La regolarità di un rapporto di lavoro dovrebbe essere oggi un requisito imprescindibile. La violazione dovrebbe essere considerata come complicità nel reato di clandestinità. L’evasione contributiva e fiscale dovrebbe essere considerata come un reato contro il patrimonio dello Stato e sanzionato come tale.
Legalità vuol dire comprensione, giustizia, soddisfazione, dignità. Con le regole rispettate da parte di tutti, e solo così, si può parlare di integrazione e di società aperta al confronto di civiltà con le altre etnie e con le tradizioni dei diversi sentimenti religiosi.
Vito Schepisi

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