28 dicembre 2009

L'uso politico della giustizia


Se una parte consistente della magistratura, da oltre 15 anni, ha sotto tiro il capo del Governo o il capo dell’opposizione a seconda del ruolo svolto, e lo fa ricorrendo ad ogni espediente giudiziario, spesso rasentando i limiti della correttezza giuridica, vuol dire che in Italia c’è qualcosa che non funziona a dovere. E non è solo la magistratura!
Non è solo l’ordinamento giurisdizionale del Paese ad avere responsabilità se si trova ad esercitare un potere che, per le modifiche intervenute all’Impianto costituzionale, alimenta le sue facoltà di intervento-interdizione sull’esercizio legittimo del potere legislativo e di quello esecutivo.
E’ come l’inverso dell’esempio della bicicletta: se la si dà, non ci si può lamentare che la si usi pedalando. La magistratura ha voluto la bicicletta, e gli è stata data. Ora la usa e pedala. Resta da sapere se sia legittimo che la usi su tutti i percorsi, e se possa invadere spazi occupati da altri poteri. Se ci chiedessimo: la magistratura, e con essa il suo organo di autogoverno, è lo Stato o è solo una funzione dello Stato? La risposta l’avremmo nel testo stesso della Costituzione. Per la nostra Carta fondamentale, infatti, non ci sarebbero dubbi: lo Stato è espressione dalla volontà del popolo.
Una democrazia ha nella sua organizzazione politico-istituzionale gli anticorpi per impedire che le funzioni dello Stato si rivoltino contro le scelte del popolo. Ma se questi anticorpi non reggono più vuol dire che si sono indeboliti col tempo o che siano stati aggrediti dalla trasformazione genetica dei virus che, invadendo gli spazi della democrazia, ne hanno deformato le funzioni. Anche il vaccino, come per le malattie influenzali, va così modificato ed adeguato alle necessità perché sconfigga gli assalti e non metta a rischio la salute dell’intero Paese.
La politica ha così il dovere di difendere il suo primato di dispensatore di strumenti di democrazia, soprattutto se le difese sono state aggredite e se le forze di garanzia mostrano d’essere state invase dagli assalti virulenti di germi. L’inerzia della politica, alla lunga, finirebbero con indebolire le certezze dei cittadini, col rendere inutile persino l’esercizio del voto e col far prevalere la cultura dell’antipolitica, già purtroppo ampiamente diffusa.
Il primato della politica si difende in un solo modo, ed in due tempi. Il modo è solo quello ineludibile delle riforme. I due tempi sono relativi al rispetto delle regole della democrazia. Il primo è rappresentato dalla ricerca del dialogo e del pluralismo delle proposte, per ricercare le più ampie convergenze possibili. Il secondo, superato il confronto con l’opposizione e con le parti rappresentative della società, stabilisce l’immediato passaggio alle scelte attraverso l’attività del Parlamento. E’ così, e solo così, che prevale la sovranità popolare.
In nessun caso si deve, invece, lasciar spazio alla pressione dei media, a quella delle caste, delle corporazioni, ed alle spinte di quei poteri che pretendono di intervenire per stabilire le loro regole di gestione della cosa pubblica.
Le Istituzioni di un Paese sono come un mezzo meccanico dove ogni strumento ha la sua funzione. Non si può sottrarre una parte e pretendere che funzioni anche meglio, come in un’automobile non si può sottrarre un pistone e pretendere che la macchina cammini più spedita. E, come per un mezzo meccanico, anche le Istituzioni hanno bisogno di manutenzione. Come le auto, anch’esse subiscono nel tempo il peso dell’obsolescenza. Se si tolgono dalle auto pezzi di motore, questi vanno sostituiti, e se non regge più il suo uso, il motore va anche cambiato e le tecnologie vanno aggiornate.
Il motore dello Stato è La Costituzione ed il suo meccanismo ruota intorno ai tre poteri previsti. Ma come la camera di scoppio in un auto non può esercitare la funzione del cambio, nello Stato il potere giurisdizionale non può esercitare quello legislativo, né impedire che la macchina cammini, imbrigliando il potere esecutivo. La Giustizia non può esercitare il ruolo della politica.
Vito Schepisi

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