08 settembre 2008

Alla fiera dell'est del PD

Siamo quasi alle comiche. Arturo Parisi che riconosce i meriti di Berlusconi offende il PD: per Veltroni è, infatti, “offensivo ed irresponsabile”. La Festa del Partito Democratico si trasforma nella fiera dell’est dove per due soldi Veltroni un topolino comprò.
Se l’ideatore dell’Ulivo, amico di Prodi, avesse detto che le soluzioni politiche proposte da Berlusconi sono risultate efficaci, al contrario di quanto va sostenendo il PD, o se di questo avesse criticato la sterile e strumentale opposizione, sarebbe diventato il Giordano Bruno del ventunesimo secolo e condannato al rogo per eresia dall’inquisitore Walter Veltroni.
E’ blasfemo ed eretico per il segretario PD chi possa pensare che la maggioranza che sostiene il Presidente del Consiglio sia animata da strategie di sviluppo e che l’azione del governo s’interseca con la domanda che emerge dal Paese, al contrario della confusione isterica che anima invece l’opposizione.
Parisi, però, al contrario dell’esegeta dell’antipolitica Di Pietro (che fa politica ed ha un partito personale), non contesta a Veltroni arrendevolezza o convergenze programmatiche nei confronti del Cavaliere. L’ex ministro della difesa del governo Prodi assume solo posizioni critiche sulla validità della strategia veltroniana che fa apparire Berlusconi un vincente ed, al contrario, il segretario del PD un perdente. Parisi contesta a Veltroni l’abbandono della strategia dell’Unione che univa tutta la sinistra, ritenendo forse utile, per poter prevalere, l’utilizzo dell’unico collante capace a tenerli insieme che è l’antiberlusconismo. Una posizione pazzesca e sterile, inutile al fine di riformare e rilanciare il Paese ma legittima nella dialettica democratica.
Finora le posizioni critiche ed il confronto sulle strategie all’interno di un movimento politico erano considerate un segnale di vitalità, un valore aggiunto per la capacità di alimentare il dibattito interno. Il confronto delle idee e delle proposte, infatti, ha sempre una valenza di partecipazione e democrazia. Ma questo PD con Veltroni dove conduce?
E’ la Fiera dell’est dove alla fine resta di certo solo che Veltroni per due soldi un topolino comprò.
Sarebbero da considerare criticità, invece, tutte quelle azioni che mirano a scavare buche sotto i piedi del segretario per questioni di poltrone e/o di leadership, più che le posizioni di aperto dissenso sulla gestione e sulla strategia del Partito Democratico, che invece favoriscono la crescita culturale e la maturazione di un partito. A Parisi non viene riconosciuta neanche la lealtà di essere critico apertamente e senza sotterfugi, come si conviene nella sincerità dell’impegno politico. Viene liquidato con scherno “il partito è molto più avanti dei suoi rappresentanti”. Ma di questo, in verità, nessuno se n’era mai accorto!
Da Firenze ci si aspettava una indicazione ed un orientamento più preciso. La Festa del Partito Democratico, dopo le elezioni di aprile, e dopo un periodo di confusione e disorientamento dovuto alla difficoltà di assestarsi in un ruolo di opposizione serio e riconoscibile, era attesa come un momento di riflessione e di chiarezza. Doveva essere l’occasione per un nuovo passo avanti che stabilisse il rilancio del metodo della legittimazione reciproca. Doveva marcare la definizione di un nuovo comportamento, simile a quello delle grandi forze democratiche europee. E’ vero che non era un congresso e non poteva, pertanto, offrire nuove indicazioni di linea politica, ma dall’assise non è emerso nessun segnale di recupero per l’immagine di una sinistra moderna e riformista.
Non ci sono state definizioni né sulle strategie di un eventuale dialogo con la maggioranza sulle regole dello Stato e neanche indicazioni sulle riforme ritenute necessarie. Un partito riformista che è orientato alla conservazione su temi di grande rilievo sociale come ad esempio, la giustizia, la scuola, la sicurezza, la pubblica amministrazione, la qualità della vita nelle città, il decentramento federalista, fallisce nel suo ruolo e tradisce la sua missione.
Cos’è mai così un partito riformista che non propone riforme? Cosa un partito che sulle riforme crea ostacoli e politiche disfattiste, inseguendo magari Di Pietro e le sue strumentalizzazioni?
Sembra solo un Veltroni degli anatemi quello che è apparso a Firenze. Un uomo preoccupato per la sua poltrona. Più un Veltroni del non si può fare. Eppure è appena tornato da Denver negli Usa, dalla Convention del suo profeta Obama, dal suo “yes, we can”!
In verità, si ha la strana impressione che tra i democratici Usa s’incominci a temere la iella Veltroni!
Accusa Di Pietro di averlo tradito e prende le distanze dall’alleanza con l’ex magistrato. Gli sta scomoda l’Idv che gli ruba la scena catalizzando l’attenzione di coloro che si contorcono le budella dell’antiberlusconismo. Gli fa ombra il condottiero dell’assalto all’arma bianca contro il governo e la maggioranza. Il leader PD soffre la concorrenza del nuovo "signor no a prescindere". Questo finisce con essere un brutto sintomo di debolezza: un leader di un grande partito non può, infatti, temere la concorrenza di un uomo senza precisa fisionomia: un po’ fascista un po’ barricadiero e per giunta incapace di esprimersi.
Anche l’osservazione sugli errori di Prodi per aver spacciato nel 2006 per vittoria quella che invece non è stata tale, appare oggi strumentale. L’accusa all’Unione di aver respinto le proposte di convergenza con l’opposizione, per aprire una stagione di dialogo, non regge se il PD di Veltroni, adesso, non riesce a cogliere il valore di un serrato confronto sulla necessità di modernizzare lo Stato. Se non si avverte la necessità di intervenire laddove sacche di privilegi e di sprechi sottraggono le risorse per migliorare i servizi e per favorire il rilancio di iniziative utili all’ ammodernamento del Paese, si è fuori dalla sintonia con il popolo. Se si è indifferenti e si ostacolano le realizzazioni delle grandi opere che, oltre a segnare il tempo evolutivo della storia, favoriscono l’occupazione e lo sviluppo economico del Paese, non si è progressisti e riformisti bensì biechi conservatori.
Continua solo a mietere uno scarso raccolto il Veltroni dello stucchevole “ma anche”, come quando afferma che è pronto al dialogo con la sinistra alternativa, ma anche all’attenzione verso l’Udc di Casini con cui creerà “con intelligenza le condizioni di prossimità, a livello locale e nazionale”. E nel frattempo continua a rivendicare il successo alle ultime elezioni politiche per aver riscosso il 34% dei consensi.
Qualcuno gli spieghi che per vincere occorre avvicinarsi al 50%!
Alla fiera dell’est per due soldi Veltroni un topolino comprò.
Vito Schepisi

su l'Occidentale

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Schepisi.

E' mia impressione o tutte le contraddizioni culturali dentro al Pd stanno per esplodere?
A mio modo di vedere il Pd italiano sta scimmiottando il suo "omonimo" statunitense.
I vari Rutelli, Fassino, Prodi, Veltroni, Parisi e soci non hanno capito una cosa.
Il Partito Democratico americano è erede di grandi tradizioni culturali che sono estranee alla mentalità dell' artificioso partito di Veltroni.
I vari Kennedy, Clinton e Kerry non hanno mai avuto nulla da spartire con il marxismo.
Intendiamoci, se fossi americano...voterei Mc Cain, per ovvie affinità ideologiche.
Cordiali saluti.

vito schepisi ha detto...

Caro Fucilone...sono già esplose: è solo che ci buttano sopra palate di sabbia.
Tra gli eredi del comunismo italiano, quelli della democrazia cristiana integralista e dossettiana ed i "liberali mutevoli" come i Rutelli ci sono solo due fili conduttori che li uniscono: l'invidia e la rabbia contro Berlusconi, considerato un intruso, ed il potere.
E' vero non ci sono paragoni da fare tra i democratici degli USA ed i caserecci. La politica USA, a seconda degli uni e degli altri alla presidenza, ha sempre continuità e si svolge in un clima di tolleranza e di responsabilità. In Italia sappiamo che non è così: basti vedere i due anni scellerati di Prodi.
Ciao! Vito