19 settembre 2008

Alitalia: sinistra e sindacato (post) comunista in autogol

Sono stati in tanti ad aspettarsi che prevalesse il buon senso. Non è stato così! E’ prevalsa l’incoscienza e la difesa degli interessi corporativi. E’ prevalso l’odio ed il calcolo politico. E’ prevalso il cinismo di coloro che sulle spalle dei lavoratori di Alitalia, questa volta, volevano esercitare la vendetta politica per le frustrazioni della loro incapacità di rappresentare politicamente e socialmente il Paese. E’ un’ulteriore conferma di quanto sia lontana la sinistra dall’essere un riferimento per l’Italia delle riforme, dei diritti, della sicurezza e della equità.
Sulla questione Alitalia si è voluta giocare una partita scorretta sin dal primo momento. E’ apparsa subito chiara l’idea che non fosse in gioco solo il piano industriale o l’interesse dei lavoratori della compagnia di bandiera italiana, ma soprattutto il revanscismo di rottura per poter affermare che Berlusconi non sia riuscito a districare questa matassa.
L’opposizione non ha risparmiato le sue munizioni. Il fuoco di sbarramento è partito ad alzo zero sul piano “Fenice” sollevando in modo livoroso ogni sorta di dietrologia. L’obiettivo è stato quello di impedire che Berlusconi mettesse nel suo carniere anche questo successo d’immagine.
Un piano industriale ha la sua ragione quando garantisce le parti e tra queste anche e soprattutto coloro che investono danaro. Ritenere che la soluzione per il rilancio di Alitalia potesse essere messianica e che le difficoltà ed i debiti potessero rimettersi spontaneamente non solo è assurdo pensarlo ma è anche un frutto acido della malafede.
Nessuno dei protagonisti di questa sciocchezza, però, nutre il sospetto che questa vicenda possa rappresentare un boomerang per la stessa sinistra. L’incoscienza della rottura stabilisce infatti, qualora ve ne sia ancora il dubbio, l’inaffidabilità e l’immaturità di Veltroni e Bersani, di D’Alema e Di Pietro, di Epifani e della CGIL.
Vincere una partita sulle spalle dei lavoratori è un autogol che neanche il vecchio pci, attento più alla ragione di partito che a quella del buon senso, avrebbe marcato.
Le carte sul tavolo questa volta sono state chiare, molto di più che con le ombre di Air France che hanno fatto affermare a politici ignoranti (o in malafede?) un esito di esuberi contenuto in 2.150 unità (gli esuberi calcolati dai sindacati, invece, erano definiti in oltre ottomila: quasi il doppio di quanti emersi dalla trattative con CAI).
L’opzione con la compagnia di bandiera francese era partita col piede sbagliato sin dal momento della scelta di una trattativa in esclusiva. Non si sa, infatti, perché, avendo avuto un ventaglio di scelte, invece di porle in confronto e concorrenza, come in un’asta, Prodi e Padoa Schioppa scelsero il metodo di affidarsi unicamente ed esclusivamente ad Air France. E’ stato come un calarsi le brache dinanzi al cugino francese. E’ stato come voler dire: noi stiamo qua supini e siamo disponibili; ora facci un’offerta qualsiasi e veniamo a casa tua con te.
Perché al tempo si è voluto scegliere di trasformare un’opportunità di alleanza in una resa senza condizioni?
Quella di affidarci ad Air France era una condizione di cessione davvero senza garanzie, quasi a scatola chiusa, e con l’aggravante di favorire in un settore vitale per l’Italia, come è il turismo, l’agguerrita concorrenza della Francia.
Ed è questa la soluzione che, allora scartata in modo compatto dai sindacati, Veltroni ed il PD, senza vergogna, ancora difendono, prendendo per idioti gli italiani.
Questa volta, invece, s’è trattata di una cordata di imprenditori del nostro Paese. Saranno anche brutti, sporchi e cretini ma i sedici imprenditori mettevano sul tavolo un miliardo di euro di capitale ed un piano industriale che rilanciava Alitalia partendo dall’appeal dei suoi territori e delle sue città d’arte e di cultura. Sei hub (Roma, Milano, Torino, Napoli, Venezia e Catania) contro nessuno in Italia di Air France.
Gli hub (parola inglese che significa fulcro) sono il cuore del trasporto aereo. Dagli hub partono ed arrivano i voli diretti che poi vengono smistati su altre destinazioni nazionali o europee. Il piano di Air France eliminava per l’Italia queste opportunità concentrando su Parigi e su Nizza i “fulcri” delle rotte che avrebbero servito il traffico aereo italiano: una totale dipendenza dalla Francia, quindi, anche per i transiti turistici.
E c’è chi ancora chi ha il cattivo gusto di difendere questa scelta!
Con il piano Fenice era previsto un programma di rilancio che avrebbe portato la nuova compagnia a produrre profitti nell’arco di qualche anno. Anche i sospetti di speculazioni e di privilegi erano del tutto fuori luogo. Nessuno comprava sottocosto un’opera d’arte, tutt’altro! Veniva comparata una compagnia di trasporto aereo che al momento perde un milione di Euro al giorno e che è in grave condizioni di carenza di liquidità.
Il sindacato dei lavoratori di sinistra ha sostenuto le tesi di coloro che non volevano rinunciare a nessuno dei privilegi. Sono stati offerti trattamenti salariali, nonostante la crisi, pari a quelli attuali purché si potesse recuperare la produttività industriale attraverso un numero maggiore di ore di lavoro e la riduzione di periodi di ferie, per i piloti in particolare, attualmente pari a 42 giorni lavorativi all’anno. La CGIL si è schierata dalla parte di coloro che hanno voluto difendere i benefit ed i salari più alti.
Cosa dirà ora il sindacato della sinistra ai lavoratori dell’industria che di privilegi ne hanno davvero pochi? Cosa dirà a quelle aziende in crisi di liquidità, e che rischiano di chiudere, con cui tratteranno misure di contenimento della spesa di mano d’opera e tagli a posti di lavoro e salari? Chiederà il fallimento o la difesa del posto di lavoro anche a costo di alcuni sacrifici?
Con gli autogol spesso si perde la partita!
Vito Schepisi

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