17 settembre 2008

L'antifascismo tra valori e retorica

Quasi sempre in Italia quando si parla di fascismo e di resistenza si tende a strumentalizzare. C’è molta retorica e c’è una frangia interessata che su queste questioni ci ha costruito una carriera politica e/o intellettuale. E’ persino vergognoso ricordare come per alcuni, dopo essersi assicurati dell’aria mutata, sia stato facile recuperare la civiltà dei valori, dopo aver sostenuto l’opacità delle coscienze e addirittura farneticato sulle qualità della razza.
Le polemiche oggi sollevate sembra siano sui valori assoluti del pensiero. Si potrebbe liquidare tutto dicendo che l’antifascismo non possa essere pensato come un valore assoluto, perchè vale quanto, nello stesso modo, si possa affermare che il fascismo sia stato o meno il male assoluto. Tutto questo per rispetto alla necessaria prudenza di guardare alla politica come un metodo per stabilire le regole e l’organizzazione di popoli e stati, più che una concezione filosofica che serva a misurare e stabilire le peculiarità dell’animo.
Il pensiero laico supera l’estremismo degli stereotipi (supremo, assoluto, sommo) e la politica deve essere incentrata sulla laicità dei sistemi per consentire di governare e convivere, e per dotarsi di regole condivise nell’interesse del popolo, piuttosto che metafisica delle coscienze per porre questioni ideologiche a confliggere sulla storia passata.
In Italia, però, sembra che quando una parte politica sia in crisi propositiva e non riesca a trovare un nesso logico tra le azioni ed i bisogni, non trovi di meglio da fare che passare a discutere dei massimi sistemi. Si conferisce così alle questioni di speciosa sensibilità ideologica un vitale interesse per il futuro, anche quello, ad esempio, dell’approfondimento sulle scelte per lo sviluppo di Roma capitale, come è anche accaduto.
Per tornare sull’argomento, c’è una certa differenza tra il sostegno ai valori dell’antifascismo e l’inserirsi nella truppa degli antifascisti italiani, nello stesso modo in cui v’è differenza tra i principi universali della democrazia liberale ed il sostenere le tesi di una democrazia popolare. L’antifascismo in Italia è diventata una maschera dietro cui si sono nascoste, e si nascondono ancora, ipocrisie ed opportunismi, ed a volte violenza e neo fascismo di sostanza.
Non si può certo ignorare che ci sia stata una differenza sostanziale tra gli antifascisti democratici e liberali e gli antifascisti marxisti: i primi lottavano per liberare il Paese dalla dittatura, i secondi per passare dalla dittatura fascista a quella comunista. Una differenza di non poco conto se si guarda a cosa sia poi successo ai paesi dell’est passati nell’orbita della “normalizzazione” staliniana.
I valori sono una cosa ed i metodi ed i comportamenti sono altro. Se i metodi oppressivi delle dittature fasciste, ovvero quelle totalitarie e comuniste, sono un male da respingere, sono nello stesso modo da respingere coloro che hanno usato e usano la contrapposizione a questo male per introdurne un altro di segno inverso. E’ da respingere, infatti, ogni principio che viene affermato con l’uso degli stessi metodi violenti che si vorrebbero condannare, soprattutto se non è in difesa di alcun atto di reale minaccia.
A cosa vale, infatti, evocare il pericolo fascista in ogni momento e senza ragione se non a consolidare una rendita di posizione per una collocazione non certo marginale nella realtà politica e sociale del Paese?
A cosa vale poi evocare il pericolo fascista se non a fomentare motivi di contrapposizione e di scontro o creare quelle condizioni, come quelle della favola di Esopo “Al lupo! Al Lupo”, in cui la morale è che il pastore, protagonista della favola dello scrittore greco, nel momento di effettivo pericolo non viene più preso sul serio?
In questa retorica antifascista c’è davvero qualcosa di perverso!
Sono dunque da considerarsi allo stesso modo del peggior fascismo quelle situazioni in cui, senza motivo concreto, per sostenere una contrapposizione ci si possa rendere protagonisti di manifestazioni di intolleranza e di violenza. Per tale ragione è così giusto ritrovarsi tra i valori dell’antifascismo (termine che sarebbe meglio sostituire con “non fascismo” per evitare che dietro il sostantivo “antifascismo” ci si possa confondere e mescolare con comportamenti di ugual tipo. ndr) senza però fare di questa scelta, naturale per un democratico, un distintivo di appartenenza.
Non servono patacche per essere democratici e liberali, le patacche servono solo a coloro che strumentalizzano questa condizione di asserito antifascismo, ed in Italia ce ne sono tanti.
Chi crede nei valori della libertà e della democrazia non ama che sia un punzone a stabilire l’appartenenza a quei valori che sono già nel proprio patrimonio culturale. Non è utile l’applicazione di marchi di fabbrica e che ci sia qualcuno che arrivi persino a porre discrimine su coloro che non hanno bisogno alcuno nè di riconoscimenti nè di legittimità. Se poi la pretesa proviene da coloro che non mostrano d’aver ancora maturato una cultura pluralista e democratica certa, il rifiuto della strumentalizzazione è ancora più giustificato.
Vito Schepisi

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