27 marzo 2007

Un appello per Titti Pinna

Il 19 settembre del 2006 è stato rapito a Bonorva, in Sardegna, un paesino a 50 chilometri da Sassari, l'imprenditore agricolo Giovanni Battista Pinna, un uomo di 37 anni.
Dopo i primi giorni di ricerche e titoli di giornali, tutto è passato in silenzio, sei mesi senza nessuna notizia.
Un uomo sparito nel nulla.
Un uomo la cui sorte non interessa che ai suoi concittadini, ai suoi familiari ed ai suoi amici.
Il resto è solo silenzio.
Gli italiani, però, sono tutti uguali, la libertà di ciascuno è sacra per tutti, i diritti sono inalienabili per chi nasce a Roma e chi in provincia di Sassari, per chi lavora per la sua terra e chi per un giornale, per chi ha un nome noto e per chi opera in modo riservato.
Sono anche italiani coloro che con dignità dedicano il proprio impegno al lavoro umile di ogni giorno, fuori dai riflettori e dai flash.
E' stato rapito in pieno giorno, all'interno della sua azienda, mentre si dedicava alle sue attività, come tanti lavoratori, come tanti uomini comuni, come tanti uomini liberi.
E' stato rapito, sotratto ai suoi affetti, sottratto ai suoi amici, ai suoi collaboratori, sottratto alla sua gente, alla sua vita di ogni giorno, al suoi diritto di muoversi e di sorridere, al suo diritto d'essere giovane a 37 anni.
Nessun paragone con altri, nessuna richiesta di privilegi rispetto ad altri, nessuna accusa a nessuno se non a coloro che, vili, hanno compiuto questo barbaro gesto.
Solo giustizia, solo considerazione che un italiano, come è stato per altri, è in grave pericolo:
è stato privato della sua libertà, come è accaduto per altri; ha bisogno di essere aiutato come si è fatto per altri.
Un giovane che ha gli stessi diritti, un giovane che svolgeva il suo lavoro, un giovane uguale agli altri.
Chiediamo di smuovere ogni cosa, di percorrere tutti i sentieri, fossero anche quelli dell'inferno, di cercare senza tregua, e di non tirarsi indietro su niente, come si è fatto per altri.
Chiediamo di non dimenticare di non far calare l'oblio, di non lasciar solo il nostro amico e fratello, di chiamarlo, cercarlo come se fosse uno degli altri, perchè è uno di noi, un uomo che soffre, un uomo che non si può lasciar solo.
E' vile ignorarlo, è vile lasciarlo al suo destino.
Vito Schepisi

Prodi ringrazierà l'Udc?

L’UDC di Cesa e Casini sembra ignorare che se il decreto sulle missioni militari dovesse passare al Senato, anche con i voti determinanti di parte dell’opposizione, non vi sia nessuna intenzione di Prodi di dimettersi.
Prodi è tranquillo, è incollato alla poltrona, con l’attack che gli fornisce Casini, mostra persino sicurezza e si concede anche il lusso di far la morale.
Il Presidente della Repubblica ha già detto di recente che se l’opposizione vuole far cadere il governo deve richiederne la sfiducia nei modi formali.
Correre al Quirinale quindi non servirà a niente ed è forse proprio ciò che i leader dell’UDC vogliono.
Chiedere chiarezza dunque è un esercizio inutile se la chiarezza la chiede chi sguazza nel torbido.
Non si può accusare di mancanza di chiarezza proprio l’opposizione che fa il suo mestiere: l’opposizione vera, quella che considera questo governo e questa maggioranza il vero problema di questo Paese.
Afferma Prodi che dal voto alla Camera non sia cambiato niente e che non sia giustificabile, pertanto, il voto contrario dell’opposizione.
Se così fosse perché il Governo e Prodi in persona hanno voluto a qualsiasi costo la liberazione del giornalista di Repubblica rapito in Afghanistan?
Perché a tutti i costi prima del voto al Senato?
Quali i timori se non di un voto contrario della frangia della sinistra radicale della loro maggioranza che, senza la liberazione di Mastrogiacomo, avrebbe richiesto l’abbandono dei militari italiani dall’Afghanistan?
Poteva il Presidente del Consiglio sostenere in quel caso che non vi fossero motivi per mutare il voto già concesso alla Camera?
La situazione è mutata ed anche in modo politico importante.
E’ cambiato il rapporto con i nostri alleati; è cambiata l’immagine del contingente italiano; è cambiata la fermezza della nostra convinzione politica.
Siamo l’unico Paese ad aver trattato con i talebani, seppure per ragioni umanitarie.
L’unico Paese che ha concesso loro un riconoscimento politico.
I talebani possono ora dire di aver stabilito con uno dei paesi “in guerra” uno scambio di prigionieri.
Un paese, l’Italia, in Afghanistan con i suoi militari, sotto il comando della Nato, su risoluzione dell’ONU, che scambia prigionieri con guerriglieri afgani (i talebani) che se riconosciuti politicamente trasformerebbe i militari della Nato in forze di occupazione.
E’ passata la linea di Strada ed il governo, se avesse dignità, dovrebbe trarne le conseguenze, altro che non è cambiato niente!
I nostri militari diventano il ventre molle della missione antiterroristica in Afghanistan, sono quelli che, a prescindere dagli scenari di guerra che si aprono sui territori controllati dai militari italiani, diventano bersaglio privilegiato, grazie agli interessi del governo di Prodi.
Si è parlato in questi giorni di forze politiche dell’opposizione che antepongono gli interesse di partito agli interessi del Paese.
Ma si è visto solo il contrario!
Si è visto il governo anteporre l’interesse di sopravvivenza all’interesse del Paese.
Anche le affermazioni del Presidente del Consiglio, più simili alle minacce con i suoi toni perentori, prive di moderazione e di ricerca di dialogo, sono sembrate esagerate e prive di buon senso.
Non si può dire che se il decreto fosse bocciato al Senato il giorno tutti i militari, di tutte le missioni, tornano a casa.
Si sa che non è così!
Ci sono sia le forme parlamentari che le forme costituzionali, ed anche le maggioranze politiche per scongiurare questa ipotesi.
Perché non fare chiarezza su questo?
Si parla di un ipotetico Ordine del Giorno che presenterebbe l’Udc e della possibile convergenza di parte dei voti dell’Unione su questo Odg
…ma se i tempi per presentarlo sono decaduti!
Solo il presidente del Senato Marini potrebbe riaprirli, se si ravviseranno motivi di rilevanza politica, e siamo certi che per salvare la faccia all'Udc Marini lo farà…ma solo se l’Odg sarà ritenuto accettabile e votato da buona parte della maggioranza.
Prodi ringrazi Casini e l’Udc per il sostegno al suo governo.
Vito Schepisi

24 marzo 2007

Ora Basta!



Ora basta!
Dopo le reiterate umiliazioni sia per la politica economica del Governo in carica, sia per le brutte figure in campo internazionale, l’Italia che lavora, l’Italia che produce, l’Italia che investe non può che dire: basta!
In pochi mesi il nostro Paese si è giocato anni di impegno e di credibilità politica.
E’ simpatico pensare all’Italia come il paese di “pulcinella” per la sua capacità di sorridere e di esorcizzare la cattiva sorte, per saper affrontare con disincanto le avversità e percorrere anche gli itinerari di sofferenze e disgrazie nella consapevolezza di una grande umanità e di un forte coraggio.
Ma solo per questo!
Non per la meschina astuzia ed imbelle protervia dei suoi uomini di governo: altrimenti così ci giochiamo ogni cosa!
Dignità, coraggio, operosità persino ingegno ed intelligenza.
Non è la furbizia che stabilisce i limiti del buon intelletto e delle capacità di un popolo.
Non l’arroganza e la supponenza sono doti che da secoli ci sono riconosciute nel campo dell’arte e della scienza, per la cultura e la sapienza, per la sensibilità, l’eroismo e l’abnegazione del nostro popolo.
Uomini che si sentivano “superiori” li abbiamo già avuti ed il loro destino, negli anni ’40 del secolo scorso, ha segnato persino il destino del Paese: a testa in giù! Abbiamo subito umiliazioni, i nostri connazionali spesso mortificati e sacrificati; abbiamo perso lembi del nostro territorio, sbeffeggiati ed umiliati, depredati.
Nel nostro Parlamento nazionale hanno messo piede persone indegne, assassini e traditori.
Abbiamo subito una retorica stantia tra parole d’ordine ed invocazioni di regimi speculari a quello appena caduto.
Abbiamo visto riciclare penne e burocrati, politici ed imprenditori, buffoni di corte.
Abbiamo sopportato di tutto ma la coscienza nazionale, il senso dello Stato, anche se spesso precario, è emerso a difesa della dignità del popolo e dei valori fondanti.
A difesa di una realtà nazionale rinascimentale che voleva l’Italia ferma nelle scelte di libertà e di democrazia, tra i valori occidentali, a difesa dell’uomo e delle sue conquiste sociali, dell’uguaglianza fra i sessi, a difesa dei diritti, della famiglia, delle libertà.
Può arrivare un D’Alema a mettere in discussione tutto questo?
Possiamo ancora ritenere che sia Prodi l’uomo che riesce a mantenere dritto il timone della coerenza e della dignità nazionale?
Dopo l’arrogante affermazione di avere avuto la comprensione degli USA per la liberazione del nostro connazionale dai tagliagole afgani ed aver fatto sorridere il mondo, e messo in difficoltà il già debole governo Karzai, cos’altro si aspetta per far deporre la cresta all’equivicino d’accatto?
E’ necessario, ora, un forte segnale di discontinuità con la recente gestione della politica estera.
Sarebbe necessaria una discontinuità sostanziale con tutto il Governo in carica! Prodi non si è mostrato all’altezza: ha gestito la questione afgana peggio della questione economica del Paese.
Naviga tra le bugie, nasconde le cose, ricerca le strade tortuose, inganna le componenti della sua maggioranza.
Mette in pericolo i nostri militari, ora in zona di prossima guerra senza armi adeguate, senza mezzi pesanti sul campo, senza aviazione, come vigili urbani impegnati al controllo del traffico.
Inganna il Paese!
Si ritorna in Parlamento, al Senato, a votare il rifinanziamento delle missioni militari italiane.
Ma siamo sicuri che votare a favore nelle condizione attuali non sia un atto di codarda insipienza nei confronti dei nostri militari impegnati?
Con quale coscienza ed amore per i nostri amici, figli e fratelli che rischiano la vita si vota a favore senza dar loro i mezzi necessari a sostenere i pericoli a cui vanno incontro?
Con quale sentimento viene votato il rifinanziamento sapendo che tra coloro che lo votano per mantenere in piedi il Governo ci sono anche quelli che fanno il tifo per il terrorismo fondamentalista e per la vittoria dei talebani?
Ora basta, dunque, si chiede un po' di coraggio ed un po' di saggezza: è giunto il momento!
Si mettano da parte stupide ed improducenti diatribe e si affronti la questione con la dovuta dignità. Riemerga con impeto e con coraggio il nostro orgoglio ed il nostro sentimento nazionale.

Non lasciamo ancora spazio ai cialtroni!

Vito Schepisi

21 marzo 2007

L'inutile contesa



E’ iniziato il concerto.
Dopo la liberazione di Mastrogiacomo, tutti ad assumersi meriti.
In prima fila, Gino Strada, leader di Emergency, che afferma di aver fatto tutto da solo.
Avrebbe a suo dire trattato con i talebani e così scavalcato la diplomazia italiana ed il Sismi.
Ha invece rubato la scena come un divo da Gossip: si fa fotografare assieme al giornalista di Repubblica appena rilasciato, sorride e fa il segno della vittoria con le dita.
Si fa intervistare, canta vittoria, elogia la sua organizzazione, diffonde il suo messaggio politico.
Non gli sembra vero di poter far emergere il suo odio ideologico contro gli USA e contro la presenza italiana in Afghanistan, e di poter affermare che si debba alla azione di Emergency, ed al suo credito sul territorio, se l’impresa di sottrarre Mastrogiacomo ai tagliagole sia perfettamente riuscita.
Ma molti di noi non sono cultori passivi del Gossip, ragionano al di là delle immagini che ci propinano.
Molti di noi sanno far calcoli e si fanno domande.
Il rapimento aveva uno scopo.
Aveva di certo una valenza politica, prima di ogni cosa, e poi una svolta di contropartite.
Oppure qualcuno ritiene che Mastrogiacomo sia stato liberato per la barbetta di Strada?
Il nostro connazionale è stato scambiato con 5 pericolosi terroristi detenuti a kabul.
Emergency, l’organizzazione di Strada, è solo servita da base logistica per lo scambio e per i contatti tra le autorità afgane, i servizi segreti italiani, il nostro governo ed i terroristi.
Non vorrà farci credere Strada da aver costretto Karzai a far aprire le celle a Kabul per liberare i 5 talebani rilasciati?
Le pressioni e l’insistenza di Prodi per ottenere il consenso del governo afgano alla liberazione dei terroristi detenuti è comprovata dalle parole di Prodi ( è una bugia anche questa?) che ne rivendica il merito:
“ho chiesto personalmente più volte a Karzai di fare di tutto per la liberazione dell’inviato di Repubblica”.
Sulla questione, dice D'alema, c’è stato persino il consenso e la collaborazione degli USA (un falso indecente clamorosamente smentito).
Qualcuno azzarda l’ipotesi che ora i talebani siano politicamente più forti.
Si paventa persino la convinzione che i rapimenti si ripeteranno, e quello dell’Italia non potrà che costituire un pericoloso precedente.
Anche Karzai ed il governo afgano ne escono indeboliti nei confronti dell’opinione pubblica.
In Afghanistan la gente si pone domande sulla fine dei due afgani rapiti con Mastrogiacomo: l’autista e l’interprete.
Uno sgozzato ed uno scomparso nel nulla.
E’ umano che sia così!
E' normale che il popolo reagisca!
In qualsiasi paese la sorte dei propri connazionali ha maggiore presa ed attenzione degli altri.
Perchè in Afghanistan non dovrebbe essere così?
Per far cantare vittoria a Strada?
Come è antipatico dover trarre le conclusioni da tutto questo discorso!
Una cosa è, però, certa:
cantare vittoria, gloriarsi ed assumersi meriti, per come stanno le cose, a me sembra sia il metodo più vile e incivile per esprimere la soddisfazione per la liberazione del nostro connazionale.
Vito Schepisi

19 marzo 2007

Il Regime che avanza



Molti di noi pensano che per trarre conclusioni sulla qualità di una maggioranza o di un governo sia necessario seguire la sua condotta in Parlamento o analizzare i contenuti dei provvedimenti addottati.
Anch’io sono tra quelli che trae buona parte delle proprie convinzioni dal monitoraggio parlamentare dell’azione degli uomini chiamati a espletare il mandato popolare.
Ma non è sempre così.
Ci sono comportamenti della vita privata o modalità di influenzare la pubblica opinione, ed ancora pressioni autoritarie su istituzioni e media, che misurano la sostanziale legittimità democratica di uomini e partiti.
E’ accaduto con il caso Sircana, ultimo in ordine di tempo, in cui media ed istituzioni sono stati chiamati a far quadrato attorno all’amico personale di Prodi, frettolosamente nominato portavoce del suo governo, mentre era ancora in corso il clamore dei fatti riportati da “Il Giornale”.
Sulla diffusione della notizia di una ipotesi di “ricatto”, tentata nei confronti del deputato dell’Unione, si è scatenata una campagna di disinformazione, di ingiurie e di minacce nei confronti di Belpietro e del giornale che dirige: uno dei pochi fuori dal coro.
Un fatto di cronaca, di rilevanza giornalistica che coinvolgeva niente-poco-di-meno-che il portavoce in pectore del Governo, a detta di censori alla Gad Lerner, indisponente e fazioso pettegolo politico, doveva restare notizia riservata, nonostante fosse una situazione ed un nome che correva da tempo sulla bocca di tanti.
Palate di bieca ipocrisia e di arroganti comportamenti, conditi persino di minacce su Belpietro e la sua famiglia.
Un cittadino è libero di avere i propri modi e le proprie preferenze, e di fare le proprie scelte: se siano comportamenti condivisi ed eticamente irreprensibili, lasciamolo giudicare alla pubblica opinione, se desidera farlo.
Perché allora nascondere?
Perché ritenere censurabile l’emergere nella libera informazione di questi comportamenti?
Perché un periodico, ad esempio, del gruppo RCS ha acquistato, si dice per 100.000 Euro, queste foto sin dal mese di novembre del 2006 ed omesso di pubblicarle?
A che scopo comprarle?
Chi ne poteva disporre l’acquisto?
Il Corriere della Sera del gruppo RCS arriva persino a negare l’esistenza di queste foto.
Esistono, invece, ed "Il Giornale" ne entra in possesso.
Sulle prime pagine dei quotidiani finisce ogni cosa e tra queste, anche e soprattutto, fatti di persone coinvolte per la loro vita privata o per scelte di cui non devono dar conto a nessuno.
Se capita invece di dover informare la pubblica opinione sull’ipotesi di un ricatto intentato al portavoce del Governo, si solleva la cortina di fumo, si cela, si mischiano le carte, si spendono somme importanti, si afferma persino il falso.
Il fatto in se, invece, può preoccupare la gente se si riferisce a persona che riveste un incarico rilevante e che, sotto ricatto, possa pregiudicare la serenità e la credibilità stessa dell’azione di Governo.
Se la persona è poi un rappresentante del popolo, delegato a svolgerne il mandato, mi sembra sia anche giusto che l’elettore sappia quali persone siano state delegate, anche per rinnovare o meno la sua fiducia elettorale.
Penso sia giusto così!
In democrazia l'uomo politico, l'amministratore, il rappresentante del popolo, ha da esser visto come in una casa di vetro.
Colpito Sircana, però, con una rapidità strabiliante, che non può che apparire sospetta, scatta l’irritazione di stampa e di giornalisti sempre attenti a giudicare la moralità degli altri.
Scatta anche l'attenzione del Garante della privacy.
Ma è lecito chiedersi il giorno prima dove fosse?
Ho la sensazione di sentir odor di regime!
Vito Schepisi

14 marzo 2007

Maggioranza di lotta e di governo



Per la sua visione multilaterale delle cose, il centrosinistra ambisce a rappresentare un po’ tutti.
Funge da maggioranza di governo per smarcarsi subito dopo in opposizione: un Giano bifronte della politica.
Ministri che scendono in piazza, segretari di partito che contestano le politiche dei ministri dei partiti alleati.
Parlamentari che votano contro e ministri che vengono contestati.
Richiamo al buonsenso e richiami da parte degli uni e degli altri al programma sottoscritto: oracolo della Sibilla di un percorso tracciato tortuoso.
Sono passati meno di quindici giorni dalla fiducia ottenuta al Senato, grazie alla compiacenza di un rappresentante del popolo che ancora riceve telegrammi e lettere da parte dei suoi elettori che, votando per lui, non hanno mai inteso delegarlo ad esprimere la fiducia a Prodi ed alla sinistra.
Solo quindici giorni ma la maggioranza non fa altro che presentarsi in ordine sparso su ogni questione.
Superata, per il momento, la questione Vicenza con i leader dei partiti di governo a contestare lo stesso governo, si è aperta la questione dei diritti delle coppie di fatto, con i ministri in piazza a Roma a fischiare altri ministri e dileggiare il Vaticano.
Forse mi sbaglio, ma se c’è una questione su cui la Chiesa ha il diritto ed il dovere di esprimere la propria opinione, questa è proprio quella del confronto sui diritti civili che coinvolgano gli aspetti etici della società.
La chiesa, infatti, ha da sempre posto la famiglia, intesa come nucleo di base fatta di un uomo ed una donna che si uniscono in matrimonio per procreare, al centro della sua attenzione.
Se alla Chiesa, pertanto, si debba attribuire la sua funzione storica di indirizzo etico che è alla base dello sviluppo della nostra civiltà, come si fa a dire che la sua voce ed il suo monito etico interferisca con la laicità dello Stato?
In democrazia, ancora, tutti avrebbero diritto di far sentire la propria voce, nel rispetto degli altri, e senza disporre chi sia legittimato e chi non lo sia.
Anche per l’Afghanistan, questione su cui D’Alema ha registrato al Senato quel deficit di consensi che ha motivato la richiesta di una rinnovata fiducia al governo di Prodi, si continua a discutere, e si ha l’impressione che la questione della carenza di una necessaria maggioranza politica non sia affatto superata.
Alle difficoltà già presenti, si è aggiunta la tensione per il rapimento dell’inviato di Repubblica.
Ad accrescere maggiormente l’apprensione di Prodi giungono notizie, che seppure si cerca di mantenere riservate, filtrano riferite dalla stampa spagnola.
Sono notizie relative alla presenza italiana in zona di conflitto armato con i talebani :
«MADRID, 14 Mar. (EUROPA PRESS) - Tropas españolas e italianas participan en la zona oeste de Afganistán --su zona de responsabilidad-- en una operación en colaboración con el Ejército Nacional Afgano y la Policía en apoyo de la denominada 'operación Aquiles', la mayor ofensiva contra el movimiento talibán de todas las desplegadas este año».
Il comandante della offensiva è anche italiano come altri fonti spagnole confermano:
«El teniente general italiano Mauro del Vecchio, quien comanda el Mando Oeste de la ISAF en Afganistán».
Il Governo nasconde, tace, ed anche la stampa italiana si adegua.
Ma la confusione non finisce qua.
L’ultima uscita della maggioranza di lotta e di governo viene ancora da Rifondazione Comunista.
Il segretario Giordano, pur raccomandando ai ministri del proprio partito “per una questione di stile” di non partecipare alla manifestazione, indetta dai sindacati contro il governo, per protestare contro il mancato rinnovo del contratto della scuola, fissata per il prossimo 16 aprile, ha confermato la sua partecipazione a fianco delle confederazioni CGIL , CISL e UIL, ritenendo di dover protestare contro il governo di cui il suo partito fa parte.
Oramai sembra che la strada sia aperta e si possa essere contemporaneamente da una parte e dall’altra.
La prossima mossa?
Che sia eliminare per legge l’opposizione?
Hanno “occupato” di tutto nel Paese.
Si esprimono affermando e rivendicando il diritto di essere multilaterali su ogni cosa, perché dovremmo meravigliarci se dovessero pretendere anche di gestire e monopolizzare persino il dissenso?
Se la cantano e se la suonano in questa finzione di democrazia che sta diventando il nostro Paese.
Vito Schepisi

11 marzo 2007

La Riforma Elettorale


Parlare della riforma elettorale, ignorando le riforme costituzionali ed un nuovo assetto delle istituzioni e della rappresentanza politica, mi sembra il modo peggiore per risolvere l’annosa questione.
Ignorare che esista ancora un sistema partitocratrico, in cui i leader politici si ritagliano i propri spazi di gestione, non contribuisce a risolvere in via definitiva la governabilità ed il rispetto del mandato elettorale.
Le elezioni servono spesso a dimensionare alla propria capacità di interdizione sia la gestione del potere che l’affermazione di principi ideologici di nicchia.
Manca nel Paese la consapevolezza che se a prevalere sia una linea politica questa, in tutta coerenza e tranquillità parlamentare, possa perseguire il progetto di governo indicato.
Manca il rispetto del mandato popolare ricevuto e si è alla ricerca, tempo per tempo e provvedimento per provvedimento, delle maggioranze possibili.
L’abitudine al principio assembleare sembra tanto diffuso da far proporre al ministro dell’interno Giuliano Amato, che è persona riflessiva, una inedita proposizione di maggioranze variabili.
La proposta è tanto fuori del sentimento politico da sembrare ignorare che l’opposizione non sia interessata a mantenere in vita un Governo che è senza una vera maggioranza politica ed inviso a gran parte degli italiani.
Mantenere in vita un governo che sta provocando lacerazioni nel tessuto sociale del Paese, che sta falcidiando speranze e progetti degli italiani, che sta sconvolgendo persino i principi fondanti della nostra società.
Ma come si fa ad ignorare che la proposta d’Amato trova invece consenso nel sentimento strumentale di tanti parlamentari interessati invece a prorogare la legislatura almeno fino alla maturazione dell’assegno previdenziale?
La proposta delle maggioranze variabili, perché sia utile al fine, rappresenta un invito rivolto all’opposizione a convergere coi numeri a sostegno della maggioranza, laddove questa non abbia la forza politica per farlo.
L’invito ha la sua logica nel monito che l’unica opzione posta da Prodi alla sua Presidenza siano le elezioni anticipate.
C’è in Parlamento un largo schieramento trasversale ai due poli sensibile alla volontà di veder allontanare lo spettro di nuove elezioni.
Esiste anche tra i partiti un gruppo, già alleato della Cdl, che guarda alle elezioni anticipate come ad un grosso ostacolo alla realizzazione del suo progetto politico.
Casini, al pari di Follini, mira a recuperare lo spazio di tempo possibile per preparare un nuovo soggetto che miri a superare il bipolarismo e proporsi quale perno centrale di maggioranze alternative.
Nella proposta di Amato però, il fine è così poco trasparente ed anche un po’ subdolo per non tener in alcun conto la volontà degli elettori.
Nel sistema bicamerale perfetto, che si è voluto confermare nel Paese per iniziativa dei partiti dell’attuale maggioranza che ha respinto la riforma costituzionale che ne modificava le funzioni , è possibile che le maggioranze nei due rami del Parlamento siano differenziate, come è avvenuto il 9 e 10 aprile dello scorso anno.
Con qualsivoglia sistema elettorale questa realtà sarebbe emersa, benché oggi si voglia attribuire la responsabilità alla legge elettorale “porcata”.
Al Senato la Cdl ha sopravanzato l’Unione di quattrocentomila voti circa.
Tale circostanza, prova provata della necessità di modifiche costituzionali che modifichino le funzioni delle due camere, avrebbe dovuto consigliare una forma di governo che fosse sintesi politica dei due schieramenti ed evitare un braccio di ferro deleterio e mortificante per tutta la Nazione.
Un dialogo che, per confermare il principio del bipolarismo e della necessità di una omogenea maggioranza politica, avrebbe dovuto privilegiare la volontà di metter mano alla riforma costituzionale, invece respinta dopo una accesa campagna che la configurava come una minaccia per l’unità del Paese.
Nella precedente legislatura è stato perduto tempo prezioso nella ricerca di composizione sulle riforme dei meccanismi di rappresentanza democratica.
Per responsabilità dei partiti della maggioranza di allora che premevano per dare contenuti diversi sia all’una che all’altra delle riforme, e per l’assenza colpevole della opposizione interessata solo a delegittimare la coalizione espressa dalla maggioranza degli italiani.
Forse qualcuno ricorderà anche le offese rivolte, in particolare dalla sinistra radicale, al corpo elettorale.
Anche in questa legislatura si sta perdendo tempo prezioso eludendo un’ampia riflessione su queste questioni, salvo rifarsi alle necessità di affrontare questi argomenti per scongiurare il ritorno alle elezioni.
Nessuna maggioranza variabile, quindi, che serva a mantenere in piedi interessi soggettivi.
Nessuna delle deleterie strategie di sopravvivenza!
Non ci interessa quella di Prodi, consapevole dell'esaurimento della sua funzione di Governo ma caparbiamente intenzionato a non cedere.
Non ci interessa l’altra, quella di Casini e Follini, che ha lo scopo di sconvolgere il bipolarismo ed affermare la centralità della loro componente ( stimata al 5%) con la prerogativa di “scelta irreversibile”, per mantenere un potere ininterrotto e senza alternative se non nell’alternanza dei suoi alleati.
La sola riforma elettorale nelle condizioni attuali non servirebbe a nulla.
Non risolverebbe alcuna questione di fondo; anche il premio di maggioranza sui dati nazionali al Senato, ammesso che la Corte Costituzionale lo possa avvallare, non modificherebbe la possibilità di due maggioranze diverse nei due rami del Parlamento.
E’ questa la ragione per cui si debba ritenere utile respingere le maggioranze variabili e richiedere le larghe intese con un Governo di impronta istituzionale che abbia lo scopo di offrire al Paese soluzioni di efficienza e di governabilità, nel rispetto delle scelte e delle opzioni del corpo elettorale.
Penso sia venuto il momento di uscire dall’antagonismo Prodi-Berlusconi o dalla anacronistica contrapposizione destra e sinistra anche per la costruzione di un ponte o di una linea ferroviaria: vorremmo che in parlamento e nel paese finalmente si parli delle scelte per l’Italia.

Vito Schepisi

08 marzo 2007

La "Giustizia" secondo Mastella



E’ la seconda volta che Mastella e questo Governo si piegano alle pressioni ed alle capacità persuasive della corporazione dei magistrati.
La prima volta quando nella finanziaria si è parlato del contenimento degli aumenti dei loro stipendi,e questa volta quando ispirano una riforma che favorisca i privilegi e l’insindacabilità del loro operato.
Questa è la sintesi di nove mesi di governo di centrosinistra sui problemi della giustizia in Italia.
Una sorta di restaurazione che riporta i magistrati a ritagliarsi gli spazi della loro privilegiata collocazione di unici pubblici funzionari che agiscono in nome del popolo e non rispondono a nessuno se non a loro stessi.
Una riforma che blocca e riporta indietro negli anni il tentativo di restituire alla giustizia il suo spazio di difesa democratica dei principi del diritto e si presta, invece, ad un vero mercanteggiare di privilegi corporativi e di gestione autoreferenziale.
Aumentano i posti di comando e di influenza, le carriere sono valutate e programmate dai loro organi, aumenta persino l’organico del CSM fino a trenta consiglieri di cui venti eletti dai magistrati.
In altre occasione mi sono soffermato sull’assurdità di un principio che se fosse diffuso vedrebbe ogni categoria provvedere a stabilire gli spazi e le prerogative delle loro funzioni e giudicare l’esatto adempimento dei ruoli assegnati, anche riguardo agli aspetti morali ed ai comportamenti omissivi, ovvero invasivi e vessatori, nei confronti di terzi o della dignità ed autorevolezza di altri organi dello stato o di funzioni di pubblica rilevanza.
L’esempio del medico che sbaglia per negligenza e scarsa professionalità, e causa danni irreversibili a terzi, e risponde dei suoi sbagli, non deve essere considerato un esempio al di fuori di un omogeneo confronto.
E non esiste un consiglio superiore di sanitari formato da medici che stabilisca le responsabilità.
Spesso i danni di una cattiva magistratura ricadono sulle persone e sugli interessi collettivi più di quanto si possa immaginare, ed in forma tanto violenta da essere causa di danni fisici, morali e materiali di ingente portata.
Anche il Notaio o il commercialista o il tecnico, se sbagliano a redigere i loro atti o ad assolvere le loro funzioni, ovvero i calcoli di portata, o altro, sono sanzionabili e rispondono per i loro errori.
Il Magistrato invece se sbaglia, se sperpera il pubblico denaro inseguendo improducenti teoremi, se è pervaso da furia ideologica, purché trovi una maggioranza nel CSM pronto a sostenerlo, viene invece gratificato.
Continuerà ad essere premiato come è accaduto e sappiamo che ancora accadrà.
Come poi valutare lo svilimento della motivata richiesta della separazione delle carriere?
E’ un principio fondamentale di una ordinamento giudiziario all’altezza delle comuni norme di diritto che ispirano le democrazie occidentali.
Se una parte è rappresentata dall’accusa ed è il pubblico ministero e l’altra dalla difesa che è il legale di fiducia, la terza parte, il giudice, deve o non deve essere terzo?
Può essere concepibile che il magistrato giudicante sia espressione della categoria della difesa?
E perché allora debba essere espressione della categoria dell’accusa?
Il disegno di legge Mastella prevede funzioni separate e condizioni al passaggio da una funzione all’altra.
Cosa significa e cosa risolve?
E’ chiaro che debbano essere funzioni separate o pensa Mastella e l’ANM che il giudicante e l’inquirente debbano anche poter essere la stessa persona?
Ma sono le stesse figure che svolgono la stessa carriera, le stesse che votano i loro organi di rappresentanza e 20 su 30 dei componenti del CSM, le stesse persone che fanno carriera perché la loro corporazione ne organizza i percorsi.
Gli stessi individui che potrebbero domani trovarsi ad esercitare le stesse funzioni.
L”ascia di guerra” è stata sotterrata annuncia Mastella.
Ma è la Giustizia che è stata sotterrata!
Ancora una volta, per compiacere la corporazione più potente e minacciosa, è stata mortificata e calpestata, adattata al partito dei giudici, asservita agli interessi di parte.
Dal Governo Prodi non avverrà nessuna “azione piratesca” annuncia tronfio Mastella, quasi fosse un forte messaggio di grande merito e di coraggioso sostegno a principi di libertà in pericolo, ed ora grazie a lui ed a questo governo finalmente difesi da pericolosi assalti.
E gli assalti sarebbero di coloro che chiedono equilibrio, responsabilità e vera giustizia!
Vito Schepisi

04 marzo 2007

Riforma della Costituzione e occasioni perdute



Sono passati 10 anni e passa da quando il 24 gennaio del 1997 fu istituita la Commissione Parlamentare per le Riforme Costituzionali meglio nota come la “Bicamerale”.
La Commissione nacque per la convinzione che allo sviluppo economico ed industriale della nostra Nazione, tale da essere tra le prime grandi della terra, non facesse riscontro un quadro d’insieme del sistema politico, istituzionale e civile all’altezza delle esigenze.
L’ingerenza pubblica nell’economia, i confini dell’esercizio dei poteri degli organi statali, i conflitti nelle competenze, la burocratizzazione delle regole di attuazione e di funzionamento del servizio delle autorizzazione e l’esercizio dei diritti di impresa ed iniziativa in campo economico e giuridico costituivano un ostacolo allo sviluppo della società.
Anche la forte richiesta di iniziativa spontanea e popolare, avanzata nella specificità di territori diversi, che spingeva verso maggiori autonomie nella gestione decentrata dei poteri, reclamava l’esigenza di sfoltire ed aggiornare un sistema che rimaneva ancorato a principi scritti e sanciti in una realtà molto diversa.
La nostra Carta Costituzionale scritta e varata in un Paese appena uscito malconcio dalla guerra, senza compiuti riferimenti territoriali, ancora incerto nei confini, appena riunificato dai rischi di conflitti intestini che mietevano ancora vittime fraterne per furore ideologico ed incertezze future.
La logica del dopoguerra prevedeva l’opportunità di distribuire i poteri, per non favorire la concentrazione di prerogative di gestione e conduzione politica nelle mani di pochi.
Esigenza che veniva condivisa per costituire una più efficace difesa contro pericoli di nuove negative esperienze.
Le intolleranze ed i regimi dispotici nel dopoguerra ancora imperversavano in un esteso fronte che si addossava al nostro Paese.
Ma sembrava giunto, finalmente, il momento in cui i pericoli venivano meno.
Lo sguardo sempre più convinto all’Europa e la caduta dei regimi totalitari dell’est consentivano di fornire al Paese conduzioni politiche più forti e meno precarie.
Come la "Bicamerale" poi sia finita è noto.
Uno scontro tra chi, attraverso la Commissione bicamerale, prefigurava sistemi di controllo politico finalizzato ai propri interessi ed alle proprie ambizioni, e mi riferisco a D’Alema, e chi come Berlusconi prefigurava un Paese più snello, con poteri decentrati e sicuri da ingerenze e pressioni, con certezza del diritto: una conduzione dell'Italia meno invasiva e meno burocratizzata.
E’ interessante, ad esempio rileggere il giudizio di De Mita rilasciato al Corriere della Sera il 5 giugno del 1997:
“Se la Bicamerale rischia di fallire... è per colpa... del modo con cui è stata gestita: troppo tatticismo, troppa attenzione agli equilibri delle forze in campo e scarso interesse per il raggiungimento di un obiettivo serio di riforme. D'Alema si è messo a governare la Bicamerale come se fosse un congresso di partito”.
Ed ancora nella stessa intervista:
“Senza una nuova forma di Stato e di governo non nascerà mai la Seconda Repubblica. Siamo ancora pienamente nella Prima, e nella sua parte peggiore. Siamo nel limbo del tatticismo, delle piccole strategie, cioè i vizi della Prima Repubblica”.
Naturalmente l’inevitabile fallimento della bicamerale fu attribuito a Berlusconi.
Questi in sostanza chiedeva bipolarismo, aumento dei poteri del capo del governo, sistema giudiziario in linea con le forme di garanzia delle più avanzate democrazie occidentali.
Una richiesta sulla giustizia inaccettabile per la sinistra che forte di una magistratura militante, di cui si serviva come clava politica, farà dire che la bicamerale sia caduta per la pretesa di Berlusconi di ottenere garanzie di impunità.
Eppure della riforma per eccellenza se ne avvertiva e si avverte la necessità.
Si è perduta una ulteriore occasione per riformare il sistema obsoleto: c’è stata un diniego falso ed ipocrita per il referendum che modificava la proposta della scorsa legislatura.
Le norme avanzate avrebbero consentito una gestione più efficiente dei meccanismi sia delle istituzioni, e degli organi dello stato, sia di quelli politico-sociali.
Avrebbe rafforzato il bipolarismo, tra l’altro, ed impedito la sopravalutazione delle capacità di interdizione e di condizionamento dei piccoli partiti.
C’è stata la voluta, e consentitemi stupida ed improducente, azione di ostacolo e di acritico e aprioristico diniego, per risoluta volontà del più inetto degli uomini politici candidatosi alla guida del Paese.
Per ordine dunque di Prodi il centrosinistra si è aprioristicamente rifiutato di sedere al tavolo di approfondimento e di confronto per lo studio e la valutazione delle norme di modifica, che pur sono ritenute necessarie.
Sono ritenute tanto necessarie che Prodi oggi le richiede, senza averne le prerogative costituzionali, ponendosi in contrasto sulle forme e sui limiti imposti dalla nostra Carta.
Vito Schepisi

01 marzo 2007

Il Governo di un piccolo uomo

Prodi ha avuto la fiducia.
La maggioranza dei senatori eletti dal popolo, grazie ai voti di Pallaro e Follini, gli ha tributato una fiducia cieca.
La fiducia politica richiesta dal Presidente della Repubblica, però, è solo apparentemente politica.
Per essere tale richiederebbero convergenze che dir che ci siano significa esser fuori della realtà, se non in malafede.
Le divergenze che c’erano, come si sa, rimangono in piedi e sono totali.
La maggioranza numerica, però, rimane e rimarrà finché qualche specie di squalo, dai denti taglienti, non penserà di rivendicare in prima persona la scomposizione della maggioranza, componendo di contro equilibri di diversa valenza politica.
Prodi è un uomo di paglia, è una mummia senza parola, un icona su cui si clicca per aprire la solita e sola pagina di un sito che sa di stantio.
E’ la formula dell’antiberlusconismo e delle politiche dei sacrifici e della pressione fiscale.
Un disco stonato di un festival decadente che ha deluso gli italiani.
A breve si aprirà un dibattito nel Paese sulla legge elettorale ma anche sulle riforme, da quella costituzionale per un diverso assetto istituzionale a quella della burocrazia statale.
Da questo dibattito si potranno trarre spunti per nuove convergenze.
Per gli architetti dell’inciucio, non era questo il momento buono per uscire allo scoperto.
Con un Paese spaccato su temi importanti, seri, difficili ma anche laceranti e trasversali.
Pensiamo alle pensioni ed alla revisione dei coefficienti, pensiamo ai Dico, alla Tav, alla pressione fiscale, ai venti di crisi mediorientali.
Pensiamo alla base vicentina ed alle questioni Alialia, Telecom, Ferrovie e poi alle famiglie in difficoltà con la finanziaria di Prodi.
Pensiamo alle pressioni della Commissione Europea che richiama l’Italia a dar corso alle politiche impopolari dei tagli alla spesa.
Un Paese in difficoltà di immagine sul piano internazionale, con gli alleati e la Nato che ci guardano con diffidenza.
Una politica estera prona e supina verso il fondamentalismo ed il terrorismo mediorientale , sbilanciata verso la Siria, Hamas e l’Iran e con indosso le simpatie di Hezbollah.
Un quadro di insicurezze devastante: è l’immagine che il mondo intero ci illustra e denuncia e che solo in Italia si fa finta di non osservare.
E’ disarmante l’allegria ed il sorriso di Prodi, l’immagine agghiacciante di un maniaco perverso che terrorizza il Paese e la fa franca.
Ciò che è ilare è la sua sicurezza, la sua inconsapevolezza, l’inconsistenza leggera di un uomo mediocre il cui obiettivo è fissato nel ritardare la sua caduta.
Un uomo che è uscito dalla scena politica del Paese e che non se ne rende conto, attaccato alle ambizioni di occupare poltrone che, come si è espressa la stampa europea al tempo in cui ne presiedeva la Commissione, non erano a lui adatte per non esserne all’altezza.
Un uomo che vorrebbe passare alla storia come “statista” e che non si rende conto che non ne ha i requisiti.
Per essere considerato tale dovrebbe avere il carisma che non ha; dovrebbe avere la capacità di saper indirizzare la rotta della sia leadership senza obiezioni, ma lui ogni volta che parla è puntualmente smentito dalla sua maggioranza: ciò che propone viene immancabilmente modificato e si deve sempre piegare alle soluzioni degli altri.
Uno statista non è presuntuoso e spocchioso ma fa passare la sua linea politica e le sue scelte inducendo i suoi alleati ad adottare sia l’una che le altre.
Insomma Prodi è un piccolo e mediocre uomo ed è in fase calante: sembra che non abbia proprio più niente da dire.
Sarebbe più dignitoso per lui ritirarsi in buon ordine.
Vito Schepisi