E’ opinione comune che le alchimie elettorali, più che essere un modo per assicurare al Paese governabilità e maggioranze omogenee e coese, servano ai partiti per tentare di assestare meglio la propria consistenza parlamentare e per poter esercitare pressioni politiche ben oltre il proprio peso specifico, anche contro il mandato della maggioranza del corpo elettorale.
Tra le scelte, alla base c’è già un intreccio iniziale da sciogliere: se optare per un sistema maggioritario o per un sistema proporzionale.
Mentre il primo, senza correzione proporzionale, favorisce prevalentemente il bipolarismo, rendendo necessario l’accordo tra partiti collocati in aree larghe (centrodestra, ovvero centrosinistra), pena il rischio di restare fuori dalla rappresentanza parlamentare; il secondo, quello proporzionale, favorisce la frammentazione e persino la convenienza a porre motivi di divisione.
Tra le opportunità del proporzionale per i gruppi minori, oltre ad esserci quella della possibilità di esercitare pressioni sulla maggioranza o sulle scelte del Governo, persino al limite di ogni decenza, c’è la possibilità di favorire di volta in volta l’adeguamento dei regolamenti parlamentari, anche attraverso deroghe di cui è divenuto costume l’abuso, onde creare diversi gruppi con tanto di sedi e rappresentanze, con costi sempre a carico dei contribuenti, ed ancora, fatto ritenuto di grande importanza, la possibilità di poter accedere al finanziamento pubblico.
Sia il maggioritario che il proporzionale sono scelte che rispettano in pieno i principi della democrazia: sono ambedue legittime espressioni del popolo. Appare però evidente che l’opzione proporzionale sia quella che più possa riflettere compiutamente le diverse anime del Paese e che più possa essere legittimata a sostenerne le istanze. Se si potesse trarre un giudizio di merito sulle regole di una democrazia parlamentare, si potrebbe affermare che il proporzionale puro possa essere la scelta più equa. La suddivisione in perfetta percentuale riflette, infatti, i limiti ed i confini di ciascuna forza ed offre l’immagine precisa del Paese.
Tutto questo in teoria ma, come si è detto, e soprattutto si è visto dal vero, la realtà è purtroppo diversa. L’obiettivo non deve essere, allora, quello di comprendere cosa ci sia di diverso, ad esempio, tra Casini e Mastella, o tra questi e Dini, o ancora tra Diliberto e Giordano. Una volta compresa la ragione del loro diverso sentire, se mai si possa comprendere, resta il fatto che ove l’uno, o l’altro prenda un “piccio”, se il loro apporto di voti parlamentari dovesse essere indispensabile, il Paese si troverà a dover attendere i comodi loro per poter adottare provvedimenti o varare riforme.
Ma la democrazia non può essere questa! Non si può ridurre il mandato popolare all’esercizio delle schermaglie di nicchia o agli interessi particolari e neanche, come abbiamo visto di recente tra Di Pietro e Mastella, alle rivalità personali. Se la civiltà del confronto richiede il massimo rispetto per le istanze delle minoranze e per il pluralismo delle posizioni, è vero anche che si debba prendere atto che c’è una maggioranza che ha un diverso sentire e che ha diritto di prevalere, laddove il suo diritto non sia lesivo di quello degli altri. Ed inoltre, se c’è una maggioranza nel Paese sugli indirizzi generali, non la si può ricercare continuamente persino sulle istanze particolari. Niente funziona in questo modo. Se si pigia sul freno, e si ferma la macchina che procede ad andatura continua e costante, a conti fatti, si rischia di consumare più energie e di arrivare in ritardo agli appuntamenti che nel caso di un governo sono quasi sempre i bisogni.
Tra i principi delle democrazie elettorali, per ovviare alle tante questioni, ce ne sarebbero alcuni abbastanza validi, sperimentati con successo in altri paesi. Ma non è detto che si possa importare un sistema che altrove funziona e presumere di farlo funzionare anche da noi. Le realtà sono diverse e sono differenti persino i profili costitutivi dei diversi stati. In Spagna ed Inghilterra, ad esempio, c’è la monarchia. In Francia e negli USA il presidente è eletto dal popolo ed ha ampi poteri. Sarà per questa ragione che l’occhio è continuamente puntato sul sistema tedesco dove il Cancelliere è espressione della maggioranza parlamentare.
Quello della Germania è un sistema elettorale misto: i parlamentari sono eletti metà col maggioritario e metà col proporzionale. Su questa seconda metà, però, c’è una soglia di sbarramento: i partiti che non raggiungono il 5% restano fuori dal parlamento. Non è detto, però, che col sistema tedesco si garantisca la governabilità: dopo le ultime elezioni, vinte di misura dalla Merkel, si è fatto ricorso alla grande coalizione per consentire la governabilità. In Italia. Invece, pur non avendo vinto le elezioni in entrambi i rami del Parlamento, Prodi ha respinto la proposta di un esecutivo dalle larghe intese. E’ interessante osservare, però, che in Germania non si può con un colpo di mano sfiduciare il governo in carica. Esiste, infatti, l’istituto della sfiducia costruttiva che prevede la proposta di un diverso premier e di una diversa maggioranza con cui sostituire il cancelliere e la maggioranza già in carica.
E’ opinione comune, come si diceva all’inizio, che le alchimie elettorali servano anche ad altri fini. Sono in molti, infatti, oggi in Italia a chiedersi se l’iniziativa del centrosinistra sia ispirata dai buoni propositi di dotare il Paese di una efficiente riforma elettorale più idonea alla governabilità e non, come da più parti si sospetta, per prendere tempo e superare le difficoltà di una maggioranza senza una vera e credibile proposta politica.
Sarà per questo che Berlusconi ha deciso di sedersi al tavolo per vedere le carte ed eventualmente smascherare il bluff di Veltroni.
Tra le scelte, alla base c’è già un intreccio iniziale da sciogliere: se optare per un sistema maggioritario o per un sistema proporzionale.
Mentre il primo, senza correzione proporzionale, favorisce prevalentemente il bipolarismo, rendendo necessario l’accordo tra partiti collocati in aree larghe (centrodestra, ovvero centrosinistra), pena il rischio di restare fuori dalla rappresentanza parlamentare; il secondo, quello proporzionale, favorisce la frammentazione e persino la convenienza a porre motivi di divisione.
Tra le opportunità del proporzionale per i gruppi minori, oltre ad esserci quella della possibilità di esercitare pressioni sulla maggioranza o sulle scelte del Governo, persino al limite di ogni decenza, c’è la possibilità di favorire di volta in volta l’adeguamento dei regolamenti parlamentari, anche attraverso deroghe di cui è divenuto costume l’abuso, onde creare diversi gruppi con tanto di sedi e rappresentanze, con costi sempre a carico dei contribuenti, ed ancora, fatto ritenuto di grande importanza, la possibilità di poter accedere al finanziamento pubblico.
Sia il maggioritario che il proporzionale sono scelte che rispettano in pieno i principi della democrazia: sono ambedue legittime espressioni del popolo. Appare però evidente che l’opzione proporzionale sia quella che più possa riflettere compiutamente le diverse anime del Paese e che più possa essere legittimata a sostenerne le istanze. Se si potesse trarre un giudizio di merito sulle regole di una democrazia parlamentare, si potrebbe affermare che il proporzionale puro possa essere la scelta più equa. La suddivisione in perfetta percentuale riflette, infatti, i limiti ed i confini di ciascuna forza ed offre l’immagine precisa del Paese.
Tutto questo in teoria ma, come si è detto, e soprattutto si è visto dal vero, la realtà è purtroppo diversa. L’obiettivo non deve essere, allora, quello di comprendere cosa ci sia di diverso, ad esempio, tra Casini e Mastella, o tra questi e Dini, o ancora tra Diliberto e Giordano. Una volta compresa la ragione del loro diverso sentire, se mai si possa comprendere, resta il fatto che ove l’uno, o l’altro prenda un “piccio”, se il loro apporto di voti parlamentari dovesse essere indispensabile, il Paese si troverà a dover attendere i comodi loro per poter adottare provvedimenti o varare riforme.
Ma la democrazia non può essere questa! Non si può ridurre il mandato popolare all’esercizio delle schermaglie di nicchia o agli interessi particolari e neanche, come abbiamo visto di recente tra Di Pietro e Mastella, alle rivalità personali. Se la civiltà del confronto richiede il massimo rispetto per le istanze delle minoranze e per il pluralismo delle posizioni, è vero anche che si debba prendere atto che c’è una maggioranza che ha un diverso sentire e che ha diritto di prevalere, laddove il suo diritto non sia lesivo di quello degli altri. Ed inoltre, se c’è una maggioranza nel Paese sugli indirizzi generali, non la si può ricercare continuamente persino sulle istanze particolari. Niente funziona in questo modo. Se si pigia sul freno, e si ferma la macchina che procede ad andatura continua e costante, a conti fatti, si rischia di consumare più energie e di arrivare in ritardo agli appuntamenti che nel caso di un governo sono quasi sempre i bisogni.
Tra i principi delle democrazie elettorali, per ovviare alle tante questioni, ce ne sarebbero alcuni abbastanza validi, sperimentati con successo in altri paesi. Ma non è detto che si possa importare un sistema che altrove funziona e presumere di farlo funzionare anche da noi. Le realtà sono diverse e sono differenti persino i profili costitutivi dei diversi stati. In Spagna ed Inghilterra, ad esempio, c’è la monarchia. In Francia e negli USA il presidente è eletto dal popolo ed ha ampi poteri. Sarà per questa ragione che l’occhio è continuamente puntato sul sistema tedesco dove il Cancelliere è espressione della maggioranza parlamentare.
Quello della Germania è un sistema elettorale misto: i parlamentari sono eletti metà col maggioritario e metà col proporzionale. Su questa seconda metà, però, c’è una soglia di sbarramento: i partiti che non raggiungono il 5% restano fuori dal parlamento. Non è detto, però, che col sistema tedesco si garantisca la governabilità: dopo le ultime elezioni, vinte di misura dalla Merkel, si è fatto ricorso alla grande coalizione per consentire la governabilità. In Italia. Invece, pur non avendo vinto le elezioni in entrambi i rami del Parlamento, Prodi ha respinto la proposta di un esecutivo dalle larghe intese. E’ interessante osservare, però, che in Germania non si può con un colpo di mano sfiduciare il governo in carica. Esiste, infatti, l’istituto della sfiducia costruttiva che prevede la proposta di un diverso premier e di una diversa maggioranza con cui sostituire il cancelliere e la maggioranza già in carica.
E’ opinione comune, come si diceva all’inizio, che le alchimie elettorali servano anche ad altri fini. Sono in molti, infatti, oggi in Italia a chiedersi se l’iniziativa del centrosinistra sia ispirata dai buoni propositi di dotare il Paese di una efficiente riforma elettorale più idonea alla governabilità e non, come da più parti si sospetta, per prendere tempo e superare le difficoltà di una maggioranza senza una vera e credibile proposta politica.
Sarà per questo che Berlusconi ha deciso di sedersi al tavolo per vedere le carte ed eventualmente smascherare il bluff di Veltroni.
Vito Schepisi
2 commenti:
"Sarà per questo che Berlusconi ha deciso di sedersi al tavolo per vedere le carte ed eventualmente smascherare il bluff di Veltroni"
SIETE PATETICI, affetti da una berlusconite acuta che nemmeno una terapia da cavallo vi potrà guarire o, forse , quando guarirete sarà troppo tardi.
Quante "cazzate" gratuite sono state scritte in questo commento.
Se si spera di convincere qualcuno si fa un buco nell'acqua , lo si discosta. Non è possibile che si arrivi a questo punto: il bluff di Veltroni, ma berlusconi è il re del bluff, della furbizia, da sempre.
Roba da poli opposti "o ridere di gusto oppure piangere per pena"
Meglio la prima ipotesi.
Povera Italia!
Valerio
Egregio signor Valerio...al massimo sarei patetico: parlo sempre per me in quanto non sono portavoce di nessuno. E’ vero che in Berlusconi spesso individuo quella che in Francia è stata definita la "rupture" con cui Sarkozy ha spezzato i processi rituali della politica: quella che semplicemente si definisce il "politically correct". I riti della comunicazione e della rappresentazione hanno spesso due effetti contrastanti. Il primo effetto è quello che avvicina e coagula perché accarezza le ideologie e le convinzioni prive di dubbio, ed il secondo è quello di allontanare coloro che comunque elaborano i messaggi col proprio cervello. Questi ultimi, più liberi, s’accorgono, ad esempio, che se la politica diviene una cella, con tanto di ora di aria e dei pasti, si rischia di trovarsi un giorno ad aprire gli occhi e non avere speranze. E’ questa la ragione per cui non credo alla politica dei riti e delle finzioni ma a quella della spontaneità e delle crudezza delle analisi. Se una cosa è bianca o nera, tale rimane e volerla vedere grigia alla fine scontenta gli uni e gli altri e ciò che è più grave lascia intatta la criticità rilevata. Ebbene se Veltroni fosse di questa pasta non avrei niente contro di lui. Non lo è, punto. Allora mi chiedo se sia possibile, ad esempio, che non ci si ponga il problema dopo decenni di esercizio amministrativo e di responsabilità nelle scelte. La risposta che mi do è che "ci fa" perché non posso credere che "sia". Quella di un Veltroni molto attento agli effetti più che alla sostanza non è un'immagine mia ma della stragrande maggioranza della stampa italiana, sinistra compresa.
Veniamo alla questione elezioni. Non ho inventato io il dubbio che il PD non si senta pronto ad affrontare gli elettori e tenti la strada di prendere tempo, attento a separare le responsabilità dalla gestione del governo Prodi. Quale strada migliore e più nobile allo scopo che quella del richiamo alle regole della democrazia ed alla riforma dello Stato? Vuole che non sia popolare o accolga i favori del popolo il messaggio di chi si richiama alle regole con cui garantire la governabilità del Paese, snellire la rappresentanza politica, e renderla più efficiente diversificando le competenze? Se questo è lo spirito, Veltroni dov’era quando i suoi compagni di strada, condotti da Scalfaro e Prodi, demolivano la riforma del centrodestra? Delle due l’una: o era distratto allora o sta bluffando oggi. Ha ragione Berlusconi quando dice che per correggere la riforma elettorale bastano poche settimane. Alla Camera con il premio di maggioranza quest’ultima regge. Se il problema è la governabilità basterebbe modificare il sistema elettorale al Senato. Quello della preferenza è un falso problema, anzi sono convinto che alimenterebbe il malcostume com'era una volta. Il centrosinistra questo problema l'ha comunque risolto con le primarie...o non è così? O sono una finzione anche queste? Sostengo invece che a sinistra non si dica tutta la verità. La maggioranza politica della sinistra non è mai esistita né alla Camera e tanto meno al Senato. Il problema è dunque diverso. E' che la sinistra non ha una maggioranza politica: tutto qui! Ed allora è Berlusconi che bluffa? La sinistra possibile, quella europea, riformista, democratica, non ideoligicizzata, ad essere larghi è pari al 28% dell’elettorato: il restante 17% (oggi la sinistra per intero è valutata a circa il 45%) o non è sinistra, come Mastella, Di Pietro e Dini ad esempio o è sinistra diversa, spesso intollerante e nostalgica. Veltroni sa bene che rimetterla insieme non conduce a niente, ammesso che oggi possa conquistare una maggioranza alla Prodi.
Sa cosa Le dico? La sinistra alternativa di Rifondazione, Comunisti Italiani e Verdi ha ragione. E’ stato redatto un programma che prevedeva abolizione dello scalone ed eliminazione del precariato. E’ stato redatto un programma che doveva ribaltare ogni riforma e provvedimento del precedente governo. Quanto, dunque, scritto nelle 283 pagine del programma dell’Unione viene disatteso benchè il popolo di sinistra (che non ha letto le 283 pagine) ha votato per Prodi pensando di votare per la famiglia, la giustizia sociale, il rilancio dell’economia, il recupero del potere d’acquisto, la fine delle missioni militari. Nessun obiettivo, invece, è stato centrato. Anche per le missioni militari, ad esempio, a conti fatti fine siamo venuti via dall’Iraq, nei tempi previsti da Berlusconi, ma abbiamo rafforzato la missione in Afghanistan ed abbiamo inviato poco meno di 3.000 militari in Libano...per ora in tranquillità perché considerati vicini ad Hezbollah, Hamas, Siria ed Iran, ai gruppi ed ai paesi che fomentano, guerra, odio e terrore...ma non sia mai che...
Ora si faccia un esame di coscienza e decida se ridere ancora o iniziare a disperarsi e piangere!
Cordiali saluti. vs
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