16 novembre 2007

Presidente Prodi ha capito che la sua maggioranza non esiste più?

Prodi sorride e si mostra soddisfatto. Ma non ha capito che la sua maggioranza è finita?
Non è una spallata e neanche un incidente di percorso: è una volontà politica del Paese, prima che delle forze politiche della sua maggioranza parlamentare.
Il Presidente del Consiglio più caparbio e restio a scendere dalla sella della sua bicicletta, oramai con le ruote forate, si rende conto che è diabolico e persino immorale governare contro il Paese? Persino larghi settori della componente centrista e della sinistra moderata della sua maggioranza lo considerano responsabile del malessere diffuso. Tra questi in buona parte anche tra coloro che sono confluiti nel Partito Democratico che è ritenuto, persino a ragione, sua creatura politica.
Con il suo linguaggio dislalico, le sue bugie e l’ostinata presunzione nel ritenere di poter mischiare gli opposti è il responsabile della crisi emersa con la debolezza della proposta politica della sinistra.
E’ un ostacolo a tutto: al dialogo, alla pacificazione, alle riforme, persino al buonsenso.
Le dichiarazione al Senato di Dini “ Va superato questo quadro politico, poiché il governo che ne è espressione non appare adatto a realizzare le politiche necessarie per invertire la tendenza al declino economico e civile del Paese” e l’avviso così lapidario nelle sue conclusioni di Bordon “voto si, ma la maggioranza non c’è più” fanno parte degli atti parlamentari del Senato della Repubblica e non dell’annuario del circolo bocciofili di Scandiano, il comune nella provincia di Reggio Emilia che dette i natali a Romano Prodi.
Un qualsiasi uomo politico responsabile ne avrebbe preso atto e sarebbe andato dal Presidente della Repubblica per concordare i tempi della crisi. Uno statista avrebbe dato seguito alle dichiarazioni dei dissidenti della sua maggioranza per dirsi disposto a portare a termine l’approvazione della legge finanziaria ma solo per senso di responsabilità, premettendo che alla fine dell’iter parlamentare della legge di bilancio avrebbe ritenuto conclusa la sua esperienza di governo. Un politico responsabile, ma a quanto sembra non Prodi, avrebbe dichiarato, senza mezzi termini, di voler rassegnare, al più presto possibile, nelle mani del Presidente della Repubblica il mandato ricevuto, perché questi possa ottemperare alle sue prerogative di indicare per il prosieguo della legislatura le decisioni ritenute più idonee. Tra queste, ad esempio, se opzione largamente condivisa dal Parlamento, far proseguire la legislatura per una strada diversa, ovvero in caso contrario indire nuove elezioni politiche.
Prodi invece non ci pensa neanche. Resta attaccato a Palazzo Chigi come una mosca a quella striscia impregnata di collante che si usava verso la seconda metà del secolo scorso, appesa al candelabro delle stanze in cui le famiglie cosuetudinalmente si riunivano, per bloccare la libera circolazione delle mosche.
Invece che l’insetto, però, in questo caso si costringe all’immobilità il Paese e si impone, ai tanti italiani che nei sondaggi mostrano insofferenza e fastidio, la presenza sgradita di un Governo in crisi di credibilità politica. Ci sono regole scritte, principi costituzionali, persino aspetti di regolarità democratica che possono avallare la caparbietà di Prodi nel non voler prendere atto di un’intesa difficile con il sentimento popolare. Su queste basi il Presidente del Consiglio continua ad affermare che fino a quando non riceverà la sfiducia formale del Parlamento si riterrà legittimato a presiedere il Consiglio dei Ministri e rappresentare l’indirizzo politico del Paese.
Ci sono però anche sensazioni non scritte e senso di responsabilità che non sono formalmente, civilmente o penalmente rilevabili. E’ possibile che un Capo del Governo non debba avvertire l’obbligo morale di prendere atto di situazioni di oggettivo fastidio che la sua gestione politica sta alimentando tra i cittadini italiani?
Ci sono pezzi di consenso politico che hanno abbandonato l’Unione, di gran lunga più rappresentativi dei 24mila voti in più guadagnati alla Camera nelle ultime elezioni. Si sono sfilati dalla coalizione di maggioranza sia il partito dei pensionati (333.000 voti) sia Capezzone, allora leader della componente radicale della Rosa nel Pugno (990.000 voti). Al Senato l’Unione ha persino avuto ben 428.000 voti in meno della Cdl.
Ora si aggiungono al Senato almeno 5 senatori tra i liberaldemocratici di Dini, Bordon e Manzione e già si parla di ulteriori confluenze provenienti dal centrosinistra.
Sono tutti segnali politici che già per loro conto, senza ricorrere ai sondaggi rilevati da più fonti e convergenti, avrebbero dovuto consigliare al Presidente Prodi di mettersi da parte. Uomini più attenti e sensibili avrebbero persino mutato i contenuti dell’azione politica e soprattutto evitato di adottare scelte mirate a ribaltare le riforme adottate dal precedente governo ed apprezzate da larghi settori del Paese. La furbizia e l’intelligenza politica avrebbero dovuto far emergere l’umiltà di chiedere persino il sostegno dell’opposizione per migliorare, sia negli effetti che nell’impatto sociale, riforme come la Biagi o la Maroni.
Si sono invece percorse strade diverse, più dure ed orientate allo scontro, persino dissolti equilibri di rappresentatività come con la rimozione del consigliere Petroni dal Cda della Rai (ritenuta ora illegittima dal Tar) .
La maggioranza di Prodi è finita perché rappresentava un sofisma, perché ha voluto realizzare sulle finzioni una proposta politica inesistente. E’ giunto ora il momento di staccare la spina: le medicine somministrate non sono in grado di ristabilire regolari funzioni di vita, risultano persino tossiche per il Paese. L’accanimento terapeutico non serve: è necessaria una guida forte e coerente.
Possibile che sia rimasto solo Prodi a non aver ancora realizzato che il tempo è ormai abbondantemente scaduto?
Vito Schepisi

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