01 ottobre 2012

Dove eravamo rimasti?


Con la giustizia italiana non è possibile fornire una risposta. E’ come se non si fosse mossa di un millimetro. Qui i concetti di spazio, d’inizio e di fine non esistono. 
Quello della Giustizia giusta è un processo che, invece di svolgersi, s’involve col tempo. Più una marcia indietro che una in avanti. L’idea è quella di un movimento continuo che va da su in giù e viceversa e che si abbatte martellante: un congegno diabolico che schiaccia chi si trova nel mezzo. 
A volte nulla è peggio del niente, perché il “niente” è offensivo. 
Siamo rimasti al punto di partenza. Siamo su un binario morto. La Giustizia nell’Italia “democratica” non esiste ancora, e si hanno seri dubbi che mai ci sarà. 
C’è una fiction in tv che, riprendendo il Caso Tortora, ripropone sempre la stessa domanda. Tortora dopo anni di persecuzione giudiziaria, già minato nel fisico dalla malattia, ritorna in tv e chiede al suo pubblico: “Dove eravamo rimasti?” 
E’ la stessa domanda che la gente si pone dinanzi alle sentenze della magistratura italiana, dinanzi alla Giustizia spettacolo, al carcere per gli innocenti, alle faide nelle Procure, alle condanne durissime per chi esprime opinioni, all’irresponsabilità di chi usa il potere e l’autonomia giudiziaria per fini diversi dagli atti di Giustizia, all’uso dei pentiti nelle mani di pubblici ministeri che inseguono i loro teoremi. 
Tortora è diventato l’uomo simbolo della malagiustizia italiana. Enzo Tortora era un uomo gentile, un uomo liberale, un padre e un marito esemplare, era un uomo amato dal pubblico per la sua signorilità, era un uomo mite, sincero e leale. Ma Enzo Tortora era anche l’uomo che la tv di stato italiana, monopolista e lottizzata, aveva messo in naftalina per anni perché indomabile, perché non plasmabile, perché non assimilabile. Era l’uomo sgradito ai partiti, di maggioranza e di opposizione, consociati per l’esercizio del potere mediatico-formativo. 
Il conduttore di Portobello, fortunata trasmissione televisiva che faceva record di ascolti, aveva la colpa di essere un uomo libero. 
Dove eravamo rimasti? 
Caro Tortora, siamo rimasti alla fine perché niente è mai iniziato. 
Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Napoli che condannava nel settembre del 1985 Enzo Tortora a 10 anni di carcere sono un capolavoro della letteratura forcaiola: "L'appartenenza del Tortora alla Nuova Camorra Organizzata è stata provata attraverso le dichiarazioni di Pandico, D'Amico, Federico e, principalmente, di Barra, D'Agostino ed Incarnato. Tutte queste accuse hanno trovato adeguati e convincenti elementi obiettivi di riscontro. L'attività di spacciatore di stupefacenti (cocaina) del Tortora è stata dimostrata anche attraverso le testimonianze di Castellini, Margutti, Villa e la chiamata in correità di Melluso, tutte prove sorrette da ulteriori elementi di riscontro: il quadro che esce fuori al termine della presente esposizione, ci fa indiscutibilmente vedere la vera faccia di Enzo Tortora, un pericoloso spacciatore di sostanze stupefacenti"."Il Tortora ha infatti dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni in maniera egregia le sue losche attività ed il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte”. 
Dunque, dove eravamo rimasti? Gli accusatori di Tortora erano criminali incalliti, camorristi, assassini, spacciatori, imputati nello stesso processo, pentiti che si ricordavano i fatti a distanza di tempo, a catena, senza veri riscontri, in contraddizione tra loro e con alcune situazioni oggettive. Alcuni dichiaravano cose inverosimili o incontri con personaggi che erano in posti diversi, alcuni in galera. 
Niente! Enzo Tortora doveva essere un mostro, un “individuo estremamente pericoloso”, un “cinico mercante di morte”. Eppure in una relazione dei carabinieri al processo si leggeva: "in ogni caso non è emerso alcun collegamento fra il presentatore Enzo Tortora e gli elementi indicati”. E’ stato condannato, però, ed è stato tenuto in carcere. 
Gli è stata distrutta la vita. Il colpo di grazia, ancor più mostruoso, gli è venuto dalla gran parte dei suoi colleghi giornalisti, alcuni veri mercanti di morte della giustizia e del pluralismo. L’uomo si è trovato improvvisamente isolato, incredulo, afflitto. A difenderlo in pochi, tra questi da ricordare Giuliano Ferrara, i radicali di Pannella ed i liberali di Zanone e di Biondi. 
Pannella lo candidò e fu eletto Parlamentare Europeo. Tortora rinunciò all’immunità e andò in carcere e poi ai domiciliari, quando la salute iniziò a minarlo nel fisico. Al processo il PM lo accusò di essere stato eletto con i voti della camorra. Partì la reazione indignata di Tortora che gridò “ E’ un’indecenza” e gli valse un’ulteriore incriminazione a cui il Parlamento Europeo, dignitosamente, all’unanimità, respinse l’autorizzazione a procedere. 
Enzo Tortora, innocente, fu condannato a 10 anni, andò in carcere e si dimise da Parlamentare Europeo. In Appello emersero tutte le falsità e le contraddizioni. Fu assolto e l’assoluzione fu confermata definitivamente in Cassazione, ma era già troppo tardi. 
Poi non è successo niente. Tutto continua come prima nell’Italia gattopardesca. 
Vito Schepisi

1 commento:

Anonimo ha detto...

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