In quella che era l’altra parte
dell’Europa, prima del 9 novembre 1989, giorno della caduta del Muro di
Berlino, c’era la “democrazia popolare”. L’Europa dopo l’ultimo conflitto
mondiale, e fino a quella data, era divisa idealmente in due blocchi per una
conseguenza politico-diplomatica dell’ultimo conflitto mondiale. Tra i due
c’era la cosiddetta “guerra fredda”, cioè un conflitto ideologico, di sfere
d’influenza internazionale e di alleanze.
L’Italia - è la nostra storia, anche triste - è stata terra contesa fino all’ultimo dalla Jugoslavia di Tito. Agli slavi l’Italia ha lasciato i territori dell’Istria, della Dalmazia e parte di quelli della Venezia Giulia e di Trieste. Rischiava di lasciare tutta Trieste se gli alleati non avessero fermato i massacri titini e se fosse riuscito il tentativo del cinico Togliatti di scambiarla con Gorizia. Togliatti brigava contro gli interessi dell’Italia. L’Italia gli faceva schifo, come affermò in un Congresso del PCUS.
Sul confine slavo l’Italia ha lasciato diverse vittime, anche dopo la guerra, partigiani liberali e cattolici, molti infoibati, altri scacciati, massacrati dalle milizie di Tito e dai comunisti italiani di Trieste, servili e sciocchi alleati del sanguinario Maresciallo croato. Alcuni di loro scelsero la Yugoslavia e mal gliene colse perché Tito si sbarazzò anche di loro.
In quella parte d’Europa, i regimi che si erano instaurati celebravano le elezioni per eleggere i rappresentati del popolo. Il partito era unico, ma aveva sempre un buon successo, registrando consensi che a volte superavano il 95%.
Nella Costituzione sovietica si esaltava la partecipazione popolare all’organizzazione dello Stato (leggi, governo, amministrazioni locali, giustizia, partecipazione, lavoro). Il partito, però, era unico. Non c’era scritto, ma era così. Solo l’art.126 ne citava la funzione in un capolavoro di architettura costituzionale per un regime burocratico e autoritario.
Stabiliva così l’art.126 della Costituzione Sovietica: “In conformità con gli interessi dei lavoratori e allo scopo di sviluppare l'iniziativa delle masse popolari nel campo dell'organizzazione e la loro attività politica, è assicurato ai cittadini dell'U.R.S.S. il diritto di unirsi in organizzazioni sociali (sindacati, cooperative, organizzazioni della gioventù, organizzazioni sportive e di difesa, società culturali, tecniche e scientifiche), mentre i cittadini più attivi e più coscienti appartenenti alla classe operaia e agli altri strati di lavoratori si uniscono nel Partito Comunista (bolscevico) dell'U.R.S.S., che è l'avanguardia dei lavoratori nella loro lotta per il consolidamento e lo sviluppo del regime socialista e rappresenta il nucleo dirigente di tutte le organizzazioni dei lavoratori, tanto sociali che di Stato.”
Il Partito Comunista, nella Costituzione Sovietica, rappresentava così “il nucleo dirigente di tutte le organizzazioni dei lavoratori, tanto sociali che di Stato.”. Cioè tutto!
Il sistema Bersani, cioè quello che ha in mente il segretario del PD per le primarie, non arriva a tanto nella forma, però ci arriva nella sostanza.
La prossima assemblea del PD dovrà, infatti, stabilire le regole per le primarie. Le ipotesi della segreteria, cioè di Bersani, per ciò che se ne sa, sono queste:
- registrazione (schedatura) degli elettori delle primarie;
- due turni elettorali, con il ballottaggio fra i due maggior suffragati nel primo turno;
- secondo turno aperto solo a chi ha votato al primo.
La scelta delle primarie, dallo scopo di scegliere chi ha i maggiori consensi all’interno di un’area politica, si trasforma nel sistema per trovare gli accordi per la lottizzazione della gestione del potere e per far fuori chi è scomodo.
In sostanza ciò che si propone sarebbe il sistema anti-Renzi, ovvero il sistema pro-Bersani, nel caso che Bersani fosse uno dei due più suffragati, ma anche pro-Vendola, se i due più votati fossero Renzi e il leader di SEL. L’eretico Renzi fa paura a Bersani e alla sinistra “ideologica” post comunista e rischia, così, d’essere neutralizzato con un sistema creato apposta per farlo fuori.
Cambiano i tempi, ma la mentalità e i sistemi sono sempre quelli da democrazia popolare in cui conta solo ciò che stabilisce il partito.
L’Italia - è la nostra storia, anche triste - è stata terra contesa fino all’ultimo dalla Jugoslavia di Tito. Agli slavi l’Italia ha lasciato i territori dell’Istria, della Dalmazia e parte di quelli della Venezia Giulia e di Trieste. Rischiava di lasciare tutta Trieste se gli alleati non avessero fermato i massacri titini e se fosse riuscito il tentativo del cinico Togliatti di scambiarla con Gorizia. Togliatti brigava contro gli interessi dell’Italia. L’Italia gli faceva schifo, come affermò in un Congresso del PCUS.
Sul confine slavo l’Italia ha lasciato diverse vittime, anche dopo la guerra, partigiani liberali e cattolici, molti infoibati, altri scacciati, massacrati dalle milizie di Tito e dai comunisti italiani di Trieste, servili e sciocchi alleati del sanguinario Maresciallo croato. Alcuni di loro scelsero la Yugoslavia e mal gliene colse perché Tito si sbarazzò anche di loro.
In quella parte d’Europa, i regimi che si erano instaurati celebravano le elezioni per eleggere i rappresentati del popolo. Il partito era unico, ma aveva sempre un buon successo, registrando consensi che a volte superavano il 95%.
Nella Costituzione sovietica si esaltava la partecipazione popolare all’organizzazione dello Stato (leggi, governo, amministrazioni locali, giustizia, partecipazione, lavoro). Il partito, però, era unico. Non c’era scritto, ma era così. Solo l’art.126 ne citava la funzione in un capolavoro di architettura costituzionale per un regime burocratico e autoritario.
Stabiliva così l’art.126 della Costituzione Sovietica: “In conformità con gli interessi dei lavoratori e allo scopo di sviluppare l'iniziativa delle masse popolari nel campo dell'organizzazione e la loro attività politica, è assicurato ai cittadini dell'U.R.S.S. il diritto di unirsi in organizzazioni sociali (sindacati, cooperative, organizzazioni della gioventù, organizzazioni sportive e di difesa, società culturali, tecniche e scientifiche), mentre i cittadini più attivi e più coscienti appartenenti alla classe operaia e agli altri strati di lavoratori si uniscono nel Partito Comunista (bolscevico) dell'U.R.S.S., che è l'avanguardia dei lavoratori nella loro lotta per il consolidamento e lo sviluppo del regime socialista e rappresenta il nucleo dirigente di tutte le organizzazioni dei lavoratori, tanto sociali che di Stato.”
Il Partito Comunista, nella Costituzione Sovietica, rappresentava così “il nucleo dirigente di tutte le organizzazioni dei lavoratori, tanto sociali che di Stato.”. Cioè tutto!
Il sistema Bersani, cioè quello che ha in mente il segretario del PD per le primarie, non arriva a tanto nella forma, però ci arriva nella sostanza.
La prossima assemblea del PD dovrà, infatti, stabilire le regole per le primarie. Le ipotesi della segreteria, cioè di Bersani, per ciò che se ne sa, sono queste:
- registrazione (schedatura) degli elettori delle primarie;
- due turni elettorali, con il ballottaggio fra i due maggior suffragati nel primo turno;
- secondo turno aperto solo a chi ha votato al primo.
La scelta delle primarie, dallo scopo di scegliere chi ha i maggiori consensi all’interno di un’area politica, si trasforma nel sistema per trovare gli accordi per la lottizzazione della gestione del potere e per far fuori chi è scomodo.
In sostanza ciò che si propone sarebbe il sistema anti-Renzi, ovvero il sistema pro-Bersani, nel caso che Bersani fosse uno dei due più suffragati, ma anche pro-Vendola, se i due più votati fossero Renzi e il leader di SEL. L’eretico Renzi fa paura a Bersani e alla sinistra “ideologica” post comunista e rischia, così, d’essere neutralizzato con un sistema creato apposta per farlo fuori.
Cambiano i tempi, ma la mentalità e i sistemi sono sempre quelli da democrazia popolare in cui conta solo ciò che stabilisce il partito.
Un po’ come per la democrazia popolare, la Costituzione Sovietica ed il suo
articolo 126!
Vito Schepisi
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