20 maggio 2010

Libertà di dire e libertà di riferire





Ma la libertà di dire è tutelata come la libertà di riferire? In Italia questa domanda non è mal posta, in particolare ove si parli di libertà di stampa. Occorre chiederselo quando si discute di quei provvedimenti legislativi resisi necessari per tutelare il diritto di tutti alla riservatezza.
E’ la stessa questione che qualche anno fa, con la sinistra al Governo, fu avvertita anche dal maggior partito d’opposizione. Solo che in quella circostanza, al momento di trovare una soluzione, emerse una diversa sensibilità e tutto fu accantonato. All’interno dell’Unione di Prodi, instabile nei numeri, giocarono il ruolo di freno sia la componente giustizialista, portavoce della casta dei magistrati, che le forze della sinistra alternativa, in crisi di identità per l’ambiguo ruolo tra l’essere parte della maggioranza e fautrice dell’opposizione al sistema.
C’è, però, che in Italia, quando s’avverte la necessità di porre dei limiti, quando è in gioco un diritto di libertà, uno stesso provvedimento non può trovare applicazione per tutti. Della serie: la legge si interpreta per gli amici e si applica per gli avversari. C’è sempre almeno uno per il quale anche il diritto si trasforma in abuso e per il quale si vorrebbero leggi speciali, se non l’obbligo di scomparire, anche se con azione violenta.
E non può reggere affatto la stopposa obiezione della vita privata dell’uomo pubblico trasparente come un contenitore di vetro. Nessuno è una macchina. Tutti hanno diritto ad una parte di vissuto quotidiano che deve restare inviolabile e riservato. Tutti hanno diritto alle debolezze, alle fantasie, ai sospiri, ai sogni, alle megalomanie, agli scatti d’ira, ai sentimenti ed ad esprimersi in libertà. Parlare in privato, senza il timore d’essere intercettati, ad esempio, è una libertà che non può essere svenduta per nessuna ragione.
Parlare di politica, di sport, di donne, di economia, di fatti personali, di gusti, di abitudini, di tendenze, di pulsioni, di fantasie, di desideri, ma anche arrabbiarsi, insinuare, imporre, infierire, raccomandare, suggerire, sono peculiarità che fanno parte della natura relazionale ed impulsiva dell’uomo, come ne fanno parte il vizio di trascendere nelle espressioni o la debolezza di farsi trascinare nelle emozioni. Non si può comprimere il bisogno di esprimersi, né mettere alla berlina le debolezze umane. L’uomo nasce come un contenitore di passioni e di contraddizioni: è imperfetto per carattere e costituzione. Kant sosteneva che l’uomo fosse come un legno storto: ”Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomo, non si può costruire niente di perfettamente dritto”.
Ciò che si dice in privato non può essere in se oggetto di reato, ma neanche deve essere posto all’attenzione della pubblica opinione. A dividere ed ad alimentare la voglia della gente di trarre giudizi, bastano già le televisioni con i reality, le fiction, i talkshow, i programmi di approfondimento e persino con lo sport. Il gusto del dileggio è invece rozzo e medioevale. In Italia sono tutti giudici, proprio come succede per lo sport nazionale, come sono tutti commissari tecnici della nazionale di calcio. Non c’è uomo, donna, vecchio o bambino che non sia pronto a giudicare il suo prossimo. Si colpevolizza ogni cosa, persino le opinioni ed i pensieri, persino le conoscenze e le amicizie.
Ma quello di denigrare l’avversario è un metodo che fa parte della mentalità repressiva dei regimi illiberali. Il giustizialismo è il più pericoloso ed incivile metodo di strumentalizzazione politico-giudiziaria dei comportamenti ritenuti illeciti. Solo la magistratura, invece, come previsto dalla Costituzione, e servendosi delle funzioni di indagine e di pubblica sicurezza dello Stato, ha il compito di prevenire, sanzionare e reprimere i delitti. La funzione giudiziaria non l’hanno, invece, i politici che spesso fingono di ignorare la trasversalità dei reati, e neanche i giornalisti, e tanto meno l’hanno quei “tribunali speciali" allestiti nelle trasmissioni televisive di approfondimento, senza garanzie, senza difesa e senza rigore procedurale. Un metodo aggressivo e violento che si trasforma in intollerabile gogna mediatica e che spesso annienta la vita di gente innocente.
Quasi nessuna intercettazione di rapporti confidenziali tra gente libera e non sottoposta ad indagine giudiziaria, tra quelle che transitano sui giornali, si trasforma poi in una contestazione di responsabilità penale che regga nelle aule di un tribunale. Quale è allora lo scopo di carpire il privato e diffonderlo?
I reati vanno sempre accertati nelle situazioni reali, non attraverso l’orecchio del “grande fratello”. Anche la trascrizione di uno scambio di battute telefoniche può essere fuorviante. Secondo i toni, le pause, il contesto, si può trasformare un proposito lecito in un altro illecito. Si può sputtanare una persona travisando le sue parole ed i suoi propositi. Si può criminalizzare l’ironia, colpevolizzare le debolezze, strumentalizzare persino il travaglio psicologico di persone sottoposte allo stress di un procedimento giudiziario. Si può anche, come si è visto ad esempio con una intervista al Giudice Borsellino, far dire ciò che invece non era stato mai detto, mixando artatamente interviste diverse.
In uno Stato di Diritto le responsabilità vanno accertate nei Tribunali e chi sbaglia è chiamato a risponderne. Il procedimento penale è pubblico e c’è sempre una sentenza pubblica. Ma la condanna, se c’è, viene dopo e non prima: viene sempre dopo l’accertamento della verità e non stabilita in un processo mediatico.
Vito Schepisi

2 commenti:

dario ha detto...

ciao vito,
in gioco ci sono 3 beni costituzionalmente protetti: il diritto alla privacy, il diritto alla sicurezza (quindi la repressione degli illeciti) e il diritto di cronaca (raccontare sia fatti costituenti reato che NON!).
Personamente credo che una legge per contemperare questi 3 beni sia necessaria: oggi il bilanciamento è troppo sbilanciato a sfavore del diritto alla privacy.
La legge in discussione oggi, però, nel tentativo di bilanciare, sbilancia l'equilibrio a favore del diritto alla privacy, ponendola al primo posto tra i 3 beni.
Ovviamente anche questo è uno sbaglio, perché, come detto, non crea equilibrio ma un nuovo disequilibrio, opera un "irragionevole" contemperamento che sovverte la gerarchia costituzionale dei beni giuridici. Non so infatti, come saranno superati gli ostacoli di ordine costituzionale (illegittimità della normativa) anche se fino ad oggi, stranamente, quasi mai sono stati evidenziati.
Io credo che occorreva intervenire principalmente sul rapporto diritto di cronaca-diritto alla privacy, accompaganto da un codice deontologico della categoria dei giornalisti. Non comprendo assolutamente, e ritengo pertanto irragionevole, il motivo per cui si sia scelto di intervenire così pesantemente sulla limitazione delle intercettazioni, strumento principe e insostituibile nella lotta al crimine. Esso andava, per carità(!) regolamentato ex novo, ma non mortificato così come si sta tentando di fare. Che senso ha limitare le intercettazioni a 75 gg (!) o limitarle a quei luoghi dove si pensa sia stia commettendo un reato (e le intercettazioni ambientali che fine faranno?) o limitarle a "gravi" indizi di reato???? Questo significherebbe mortificare il terzo bene in gioco (il diritto alla sicurezza) a fronte di una ipervalutazione del diritto alla privacy.
Ecco, è questo che ritengo fuorviante: la legge in esame non valorizza il diritto alla privacy ma lo ipervalorizza, sovvertendo la gerarchia valoriale della costituzione.
Secondo me (e mi auguro fortemente di aver ragione) la legge se verrà approvata così come pare, è incostituzionale. Senza contare che abbiamo firmato la CEDU, che non credo sia rispetta con l'altra, incredibile, mortificazione del diritto di cronaca. In quest'ultimo caso entrerà in gioco l'art. 117 Cost. che impone il rispetto degli obblichi internazionali. E se poi si prevede almeno la possibilità del riassunto, non sarà peggio della pubblicazione delle intercettazioni visto che ogni gionralista lo redigerà a proprio uso e consumo senza mostrare LA MATERIA della sua interpretazione??????E' una follia!
Io credo allora, che non si voglia intervenire tanto sulla pubblicazione delle intercettazioni ma...sulle intercettazioni stesse. Non oso immaginare per quale motivo e non lo voglio nemmeno dire, perché spero (e un po' lo credo) che questo governo non voglia arrivare a tanto e limitare scientemente le INDAGINI in sé. E poi il solito problema: ma questo processo lo vogliono riformare o no? Io credo che si debba partire da lì: la lunghezza dei processi è la madre di tutti i problemi della giustizia italiana a partire da quello delle intercettazioni.
Saluti.

dario ha detto...

E' folle la legge sulle intercettazioni: è liberticida.
Ma dove ci sta facendo svoltare questo governo?
Saremo l'unico paese occidentale ad avere una simile regolamentazione della libertà di stampa.
Berlusconi mi fa paura: un magnate dei media che fa approvare una simile normativa dimostra tutta la sua pericolosità. Quella pericolosità che un tempo era potenziale e che oggi sta per diventare concreta.
Si salvi chi può, si salvi l'italia.