13 maggio 2010

Mentre Fini va per far futuro


Mentre Fini va per far futuro, il Paese deve fare i conti con il presente. Se il Presidente della Camera sostiene che ci siano alcuni nodi politici da sciogliere nella maggioranza, l’Italia della gente comune sostiene, invece, che ci siano dei nodi etici da risolvere nell’intreccio tra politica ed impresa e tra pubblica amministrazione ed appalti. Questi nodi, però, si risolvono senza troppe chiacchiere, ma solo con la trasparenza e le riforme.
Se c’è chi ha pensato che in Italia le stagioni dell’incomprensione tra pubblica amministrazione e cittadini fossero tramontate, dovrà ora ricredersi. Ritornano, infatti, sia l’uso del malaffare nella gestione dei servizi e degli interventi, che la difficoltà dei Palazzi nell’interpretare i sentimenti del popolo. Si avverte di nuovo la politica come una “casta” di privilegiati, di affaristi e di corrotti. E si teme il ritorno della politica dell’indifferenza e della strumentalizzazione dei bisogni.
Il lavoro svolto su alcune questioni d’emergenza nel Paese, i tempi rapidi d’intervento e l’impegno profuso, come le prove di competenza e di responsabilità emerse nel gestire i conti del Paese, sono stati alla base del gradimento nell’opinione pubblica verso il Governo in carica. Una fiducia premiata con le conferme del consenso elettorale nelle consultazioni di volta in volta succedutesi. Un consenso trasversale dal Nord al Sud a testimonianza di una consapevolezza diffusa.
La crisi della politica, sbandierata da alcuni dei leader più discussi della sinistra, sembrava che potesse dissolversi. Le criticità, infatti, emergevano soprattutto a causa della perduta identità di alcuni nuovi e/o trasformati soggetti politici. A ben vedere, era entrata in difficoltà soprattutto l’idea di quelle forme partito che finivano per rendere il dibattito simile ad un confronto “stellare”.
Sembrava, persino, che si potessero accantonare, relegandoli ai rigurgiti della vecchia politica, quegli scontri apodittici sulle cose che non stavano né in cielo e né in terra: quelli che cozzavano contro la realtà, i tempi, la logica ed il buonsenso. Una specie di liberazione da tutti quei sofismi e quei principi teorici con i quali la gente non mette su famiglia, non mangia, non si cura, non può comprar casa, non si veste, non apprende, non si diverte e non viaggia. In crisi di credibilità venivano a trovarsi coloro che si ponevano nelle nicchie di autoreferenzialità e che incuranti dei problemi ricercavano solo gli spazi di un potere da gestire.
E’ per questa ragione che, oggi, appare incomprensibile che una parte della destra italiana indichi nelle difficoltà del Meridionale, e nelle due velocità del Paese, le questioni da porre al centro dell’attenzione politica del governo, e che lo faccia in modo tale da farne causa scatenante di una possibile frattura, o quanto meno di trarne motivo per la nascita di una minoranza organizzata all’interno del Pdl.
In Italia la questione meridionale esiste. L’anniversario dei 150 anni dell’Unità favorisce anche la ripresa di una vecchia contesa politica ed intellettuale, ma le differenze nello sviluppo e nelle risorse tra nord e sud sono secolari e non certo accentuate da questo Governo: e solo per la presenza della Lega Nord. Anche la riforma sul federalismo fiscale, già approvata con larghissimo consenso in Parlamento, può essere un’opportunità per il Sud. La responsabilizzazione nel reperimento e nell’utilizzo delle risorse può servire per correggere la spirale della spesa, per dare una spallata all’assistenzialismo clientelare, per abbattere gli interessi mafiosi. Lo sviluppo del Mezzogiorno passa, infatti, attraverso gli investimenti finanziari per il rilancio produttivo e per la rete dei servizi funzionali alla circolazione delle merci ed attraverso la valorizzazione al meglio delle risorse che il territorio mette a disposizione. Lo sviluppo non passa, invece, attraverso le strumentalizzazioni, la demagogia, la retorica ed i finti paladini della causa Meridionale.
Anche nel centrodestra emerge, invece, una parte della politica che riconduce allo sterile confronto sulle parole. Mentre l’Italia s’era mostrata stanca del “politicamente corretto” che consentiva di evitare di fare i conti con la realtà, sempre molto diversa e foriera di riflessioni e di dubbi, accade, oggi, che dopo la politica del fare che ha entusiasmato e ridato fiducia agli italiani, si riaffaccino anche nel centrodestra i tranelli, le furbizie, le lotte di potere mascherate dai distinguo sulle scelte di governo, sulle leggi, sulle riforme, sui programmi già concordati. Il timore è che si ritorni al confronto sulle teorie, sulle questioni ideologiche e sui motivi d’una differenza del sentire, invece che affrontare i problemi per portarli a soluzione. Il timore è che mentre Fini va per il futuro, l’Italia, affamata invece di riforme e trasparenza, riprenda ad andare a rotoli.
Vito Schepisi

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