Finalmente c’è chi si dice disposto a ridiscutere le regole dell’Unione Europea. Non è l’Italia di Monti, ma l’Inghilterra di Cameron.
I britannici, fuori dall’Euro, mantengono una loro stabilità politica, con le istituzioni ben radicate, con saldi principi liberali sui diritti e le libertà, persino conservando il tipico conformismo dei popoli anglosassoni, con un’economia che non ne ha affatto risentito.
L'Inghilterra ha da sempre mal sopportato l'idea di sostituire il suo pragmatismo con la tipica e arcigna tecnocrazia europea, quella dei Monti, della Merkel e dei Van Rompuy, per capirci. Il Regno Unito non ha rinunciato alla sua sovranità in nome di propositi retorici e astratti. Non è, così, mai entrata nell’Europa dell’Euro, preferendo dal primo momento mantenere integra la sua autonomia dalle regole calate dall’alto da chi ha poi mostrato interesse a imporle a proprio vantaggio. Ed ha fatto bene!
L’Italia avrebbe dovuto ritrovarsi sulla stessa lunghezza d’onda, ma aveva altri problemi. Non aveva una vera economia di mercato. C’era molto dirigismo e molto assistenzialismo e nessuna regola sulla spesa pubblica.
L’Italia di oggi, però, dopo le esperienze fatte, moltissime negative per i nostri interessi, non mostra alcuna volontà di battersi per rifondare le ragioni e lo spirito dell’Unione Europea.
Quella inglese è un po’ l'idea dell'Europa dei popoli, quella che emerge dalla cultura illuminista di paesi che si ritrovano uniti attorno ai bisogni degli individui e della Nazione, piuttosto che a quelli dei poteri.
E' questa l'Europa che anche l'Italia dovrebbe proporre e discutere, anziché quella della finanza e dei banchieri. Dovremmo volere un'Europa in cui ogni cittadino si senta protagonista di una storia comune: una Comunità in cui l'insieme sia la somma di tanti diritti e doveri divisi in modo equo tra tutti. Dovremmo volere un'Europa in cui i popoli si sentano parte di uno stesso progetto socio-politico da proporre agli altri paesi della Terra.
Quando è partito il comune disegno europeo – giova ricordare la Conferenza di Messina del 1955, voluta e sostenuta da Gaetano Martino – l’Italia, attestata sui principi liberali del tempo, aveva questo pensiero.
In quegli anni, al sogno degli Stati Uniti d'Europa, si contrapponeva pregiudizialmente chi preferiva aggregazioni diverse, magari fatte di blocchi militari contrapposti. I fautori dell’europeismo retorico di oggi provengono dalla stessa area culturale che una volta puntava sull'internazionalismo popolare, credendo e battendosi arcignamente in e per questa scelta fino a un minuto prima della certificazione politica del suo fallimento. Sono gli stessi uomini - c’è chi è ancora in vita, come il nostro Presidente della Repubblica - sostenitori, un tempo, della visione squisitamente ideologica che voleva il mondo diviso in blocchi militarizzati contrapposti.
La politica, purtroppo, non è fatta solo di grandi ideali e di progetti per le generazioni a venire, con lo sguardo diretto, principalmente, ai popoli, alle condizioni di vita futura, alle prospettive di pace e di crescita, alla conservazione del patrimonio di arte, di cultura e di tradizioni, all’identità e al sentimento nazionale, ma è fatta anche di calcoli meschini. C’è anche chi la politica la fa per mestiere e chi se ne fotte delle scelte libere dei popoli.
E’ difficile, però, riconoscersi a lungo in questa Europa senza anima, tecnocratica, senza trasparenza e democrazia. Non può resistere a lungo una Comunità senza identità, senza un Atto costitutivo fondato sui principi della dignità e della libertà delle persone, sulla scelta della pace, su quella dell'integrazione dei popoli, delle lingue e delle tradizioni e sui diritti e doveri di tutti i cittadini europei.
Vito Schepisi
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