“Fini a Mirabello ha parlato come un rappresentante dell’Idv”. Questa è la sintesi delle dichiarazioni di Di Pietro a cui il Fini di Mirabello però è piaciuto solo a metà. Per il “Saint-Just” molisano, il Presidente della Camera poi trae conclusioni sbagliate. L’ex PM è andato in visibilio per la tenace retorica e l’aggressività dell’ex leader del Msi e per i suoi toni di neo antiberlusconismo, ma è rimasto deluso per la sua scelta di voler restare nella maggioranza e di voler continuare a sostenere il Governo. Di Pietro, preoccupato dalla concorrenza, da “squadrista” a “squadrista” (come direbbe Giampaolo Pansa), ritiene incoerenti le conclusioni di Fini e nutre il naturale sospetto che il cofondatore pentito del Pdl sia un furbastro e che voglia mantenere due piedi in una staffa. E come dargli torto?
Ma il discorso di Fini piace invece al PD ed a Bersani. L’opposizione di sinistra rispolvera tutti gli arnesi del mestiere per impedire il ricorso alle elezioni anticipate: la Costituzione, le prerogative del Capo dello Stato, il Parlamento, il carattere rappresentativo della nostra democrazia e la mancanza di vincoli parlamentari. Il PD è tanto terrorizzato dal pericolo della fine prematura della legislatura che terrebbe in piedi il Governo anche con la bombola di ossigeno. Non può, però, sbracciarsi più di tanto e, per non darlo a vedere, preferirebbe che lo facessero altri. E se vede quindi in Fini la classica figura dell’utile idiota, nello stesso tempo Bersani è preoccupato che la corda si tenda fino al punto di potersi spezzare e di accelerare un processo che potrebbe portare alla fine anticipata della legislatura.
Un gioco di ambiguità a cui la sinistra ci ha abituati da tempo. Il PD prende le distanze dal governo e dalla maggioranza, non lesinando gli inviti a Berlusconi a dimettersi, ma strizza l’occhio a Fini che mantiene in vita il Governo e avanza proposte di maggioranze diverse ed ipotesi di improponibili ed antistorici cartelli elettorali. Una scena grottesca che difficilmente ci si aspettava di dover osservare.
Bersani non può che vedere con soddisfazione una stagione di confusione parlamentare con il governo incapace d’esprimersi con compattezza ed operosità. Il cruccio che assilla il PD è, infatti, proprio l’operosità del Governo. Non paga criminalizzare ogni proposta e risoluzione. L’elettorato ha scoperto il gioco al ribasso e lo considera come un tradimento al Paese. L’impatto con la realtà, come si è visto, finisce col dare ragione a Berlusconi, come con la gestione della crisi recessiva e con la recente manovra finanziaria. Gli italiani apprezzano i fatti e sempre meno sopportano le caciare, le polemiche ed i piagnistei.
L’opposizione finisce così con il dover sostenere, in silenzio, la strategia di Fini che mira ad indebolire progressivamente l’immagine che il popolo ha di Berlusconi di leader concreto e diretto. Il PD non potendo battere il Cavaliere con la proposta politica, non riuscendoci ad eliminarlo con la magistratura, ora confida nel vecchio nemico “fascista”. Da Rosy Bindi a Franceschini pensano di poter dissipare, attraverso il logoramento finiano, l’immagine di una maggioranza che sa andare avanti come un treno.
Il PD, con l’aiuto di Fini, pensa di ribaltare il consenso popolare verso il premier, stringendolo proprio su quegli argomenti per i quali Berlusconi mostra più fastidio come, ad esempio, l’attuale sistema di confronto parlamentare tra maggioranza ed opposizione. Il Parlamento è diventato solo un sistema di barricate che si innalzano dinanzi ad ogni provvedimento. Le proposte alternative non esistono e l’opposizione si limita a fare ostruzionismo ed ad impedire che il Parlamento legiferi.
Le insidie parlamentari con una maggioranza incerta finirebbero così per frenare le riforme e per provocare il fastidio degli italiani verso un Governo ed una maggioranza non più capaci di esprimersi con determinazione e senza inciuci. Berlusconi senza una maggioranza capace di legiferare perderebbe il suo carisma e la sua presa sugli elettori. Un leader moderno non può, infatti, ridursi nel gestire un perverso sistema di burocrazia legislativa. Se si riducesse a farlo, crollerebbe nell’immaginario collettivo la sua immagine di uomo concreto. Con un Parlamento incapace di adottare, con determinazione e rapidità, provvedimenti ritenuti urgenti ed importanti finirebbe il belusconismo. Del Cavaliere gli elettori apprezzano, infatti, il decisionismo ed il fastidio per tutti gli arcaici riti dei professionisti della politica. E si sentirebbero traditi dal Berlusconi che non si mostrasse capace di mantenere le promesse elettorali o che si disponga all’inciucio, alla mediazione, alla concertazione, al compromesso ed a tutti quegli strumenti utili a snaturare i provvedimenti e che sono considerati come i vecchi arnesi della vecchia politica.
Vito Schepisi
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