13 settembre 2010

Bersani ed il ritorno della partitocrazia


Bersani insiste per un ribaltone di maggioranza parlamentare che serva a modificare la legge elettorale, per poi andare ad elezioni anticipate. La soppressione della legge “porcata”, come la definì il suo estensore Calderoli, si presta, però, solo a distogliere l’attenzione dalle vere finalità delle modifiche richieste dal leader del PD. Appare difatti persino virtuosa la contrarietà ad un metodo che non dà la possibilità di esprimere le preferenze e che invece consente ai partiti di indicare nell’ordine i candidati chiamati a sedere in Parlamento.
A poco varrebbe l’obiezione che i partiti non avrebbero interesse ad inserire in lista candidati poco rappresentativi della società. Ma non solo. Le cose possono essere viste anche diversamente. Togliamoci subito un sassolino per sostenere che tantissimi parlamentari che sono stati eletti con l’attuale sistema sarebbero stati ugualmente eletti con le preferenze, perché rappresentativi della parte politica che li ha candidati, o perché sostenuti dai partiti e posti in lista in un ordine (capilista) di gradimento, ovvero per dar risalto alla lista in virtù di un ruolo politico o istituzionale ricoperto. I partiti comunque mirano a far eleggere i loro candidati di punta. I lavori parlamentari sono complessi e richiedono esperienza e preparazione.
Anche col maggioritario, misto ad una parte di proporzionale, come il Mattarellum, detto anche “minotauro” per indicare la sua ambivalenza, i partiti blindavano i loro uomini di spicco. Destarono attenzione nel 2001, a Gallipoli, le candidature contrapposte di Mantovano e D’Alema. Fece discutere l’eccezionalità della rinuncia dei due a blindare il proprio seggio parlamentare con l’inserimento anche nella lista proporzionale.
Bersani, Letta, Franceschini, Bindi ed i vari Fassino, D’Alema, Veltroni e Finocchiaro, come Di Pietro e Casini o Donadi e Cesa, se non Bellisario e Buttiglione, con il sistema delle preferenze andrebbero ugualmente in testa alle liste e dietro di loro nell’ordine, a seconda dei titoli e meriti che possano far valere, tutti gli altri in rigoroso ordine di gradimento. C’è di comico che a ricorrere ad osservazioni del tipo “Parlamento di eletti e non di nominati” ci siano molti abituati a prendersi per il naso da soli. Molti che in perfetta malafede si preoccupano del pericolo di un ritorno della partitocrazia, mentre nei fatti e nei propositi ne fanno una ragione di sopravvivenza politica.
Le preferenze, per chi non lo ricordasse, sono state all’origine della corruzione politica, del voto di scambio, dell’investimento di cordate finanziarie ed imprenditoriali negli “affari” della politica. La gestione e lo smistamento delle preferenze, in alcune zone del Paese, erano sotto il controllo della mafia. Con le preferenze, oltre ai candidati indicati dal partito, vinceva chi aveva più soldi da investire, più cene da offrire, più voti da comprare, più regali da fare, più promesse elettorali da avanzare, più clientele da accontentare o più minacce e ricatti da far valere. Le preferenze hanno sempre selezionato, al sud in particolare, la peggior classe politica. Chi non aveva soldi, benché avesse invece contributi di ingegno e di buonsenso da offrire al Paese, restava al palo. Vincevano quasi sempre i ricchi e spesso i disonesti.
La vera nuova “porcata”, pertanto, sarebbe proprio il ritorno al voto di preferenza. Si può discutere sui sistemi di selezione della classe politica, ma puntare sulle preferenze sarebbe un ritorno al passato. Sarebbe la restaurazione dei partiti come comitati di affari. Non va, non può andare, e sarebbe folle riprovarci.
Gargamella (Bersani) la finisca di concepire l’inganno: la finisca di perseguitare i poveri puffi!
Fatte le necessarie osservazioni che misurano la quantità di ipocrisia e di furbizia che c’è in Bersani ed in tutti i protagonisti dei colpi di coda della partitocrazia, cerchiamo anche di capire perché si vorrebbe modificare la legge elettorale. Il segretario del PD non si limita, infatti, solo a porre l’accento sulle preferenze, ma va oltre e mira all’abbattimento degli sbarramenti e del premio di maggioranza. Il PD sa che con un sistema bipolare resterebbe all’opposizione a vita. Ma non lo può dire! Non può dirlo per non perdere in popolarità. E siccome in Parlamento, da solo, non ha la forza per cambiare nulla, ha bisogno del sostegno dei partiti minori. Ha bisogno di Rutelli, Casini, Di Pietro e dei parlamentari del gruppo misto, tra cui ci sono alcuni rappresentanti di gruppi minori, ed infine ha bisogno di Fini. Saranno i partiti minori che chiederanno a Bersani ciò che invece fa comodo al leader PD. E cosa se non il ritorno alla partitocrazia togliendo il premio di maggioranza e gli sbarramenti? Cosa se non il ritorno al mercato della politica, su cui le caste potranno nuovamente esercitare pressioni per affossare le riforme ed i provvedimenti scomodi per i loro interessi finanziari, economici, professionali ed industriali? La doppiezza della scuola leninista continua!
Sarebbe utile, invece, pensare alle riforme ed alle modifiche da apportare alla seconda parte della Costituzione, per stabilizzare il sistema bipolare e per ricercare più equilibrio nelle funzioni dello Stato. Non si può, infatti, pensare ad una democrazia consolidata che viva nella conflittualità dei suoi ordinamenti. Occorrerebbe che i compiti di ciascun organo dello Stato siano più chiari e legittimi. Occorrerebbe attribuire responsabilità certe e controlli oggettivi. Occorrerebbe, infine, garantire maggiore autorevolezza alla sovranità popolare. La democrazia ha regole e tempi che vanno rispettati, senza che ogni cosa sia messa in discussione solo un momento dopo.
Vito Schepisi

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