20 giugno 2007

Pane e Partito Democratico



Non passa giorno in cui la stampa nazionale e le televisioni Rai e Mediaset non propinino agli italiani pillole di Partito Democratico. Dopo la sconfitta elettorale alle amministrative sembra diventata la stanza di compensazione delle carenze della sinistra italiana. Rutelli ha finito di mangiare quel “pane e cicorie” di un tempo quando si impegnava a mettere su il giocattolo che Prodi voleva utilizzare a suo fine. Ora si nutre di pane e partito democratico: la pietanza ricostituente di una sinistra in difetto di linea.
“U bell guaglione” come l’ha battezzato il suo “cortese” alleato Romano Prodi, ha sparigliato le carte del Professore di Scandiano. E’ da allora che medita il momento della rivalsa. L’ultimo round se l’è aggiudicato lui su di un Presidente del Consiglio indebolito dalla sconfitta elettorale e dal precipizio della sua popolarità nel Paese.
Prodi voleva per la reggenza del Partito Democratico una figura più sbiadita, nominata su sua indicazione dal comitato dei 45, una figura priva di un largo consenso popolare. Un uomo a lui gradito, scelto dai vertici, soprattutto un uomo che contasse poco o niente e magari polarizzasse sulla sua persona lo scontento diffuso nel Paese, compresa la scarsa presa che si avverte sul nuovo soggetto politico. Non pensava, invece ad un candidato eletto dal popolo della sinistra con l’investitura delle primarie e con la forza e le garanzie di legittimità rivenienti dal consenso della base.
E’ passata invece la linea di Rutelli per l’elezione diretta attraverso il sistema delle primarie. E’ il Francesco Rutelli che mette da parte il pane e le cicorie della sua cucina per arricchire le pietanze della sua dispensa. La strategia, e non è un mistero per nessuno, è la sua candidatura alle primarie di ottobre alla guida del Partito Democratico, in contrapposizione a quella di presumibili candidati diessini. Il leader della Margherita non solo si propone di vincere la partita interna al suo partito, dove gli ex popolari condizionano la sua leadership, ma vuol rendere concreta la sua ambizione di rappresentare tutta l’aria moderata dell’attuale Ulivo. Dal prevedibile confronto del leader della Margherita con il/i candidati diessini emergerebbe una guida forte del futuro soggetto politico sui due assi portanti del Partito Democratico: il popolare ed il socialista. Dallo stesso confronto, infine, dovrebbe uscire la candidatura dell’intera sinistra per la guida del nuovo governo. E’ questo lo spazio in cui si gioca la partita ed i giocatori sono oramai alla stretta finale. C’è chi scommette che nella strategia di Rutelli ci sia anche uno spazio per il partito di Casini e l’apertura al centro dello schieramento avversario.
Prodi a questo punto sembra proprio finito. La sua candidatura sarebbe improponibile o destinata ad una cocente sconfitta. La sua è una figura oramai perdente, senza presa e senza carisma. Eppure qualche settimana fa aveva detto : "D'ora in poi cambia la musica. O si fa come dico io, o prendere o lasciare". Aveva detto che lasciava nel 2011 dopo la corrente legislatura ed anche che il leader del Partito Democratico ed il Capo del Governo erano figure che riteneva dovessero coincidere per dare forza e credibilità all’uno ed all’altro dei due incarichi. Prodi si sentiva leader naturale del Partito Democratico e si era candidato alla sua guida, senza ulteriori conferme della base, mantenendo la presidenza del Consiglio dei ministri. Un vero re e senza ulteriori pretendenti al trono: una gran presunzione. Sarà per questo che quando Berlusconi ha lanciato la battuta sul “regicidio” si è sentito investito.
Le cose sono andate diversamente da quanto previsto. I 45 “saggi” del nascente partito democratico hanno stabilito di scindere le due figure quella di leader e quella di premier. Quel che è buffo e che Prodi, travolgendo il peso ed il significato delle sue dichiarazioni precedenti, ha parlato di un grande successo politico, enfatizzando persino le conclusioni del comitato dei 45 costituenti. E’ stato reso pubblico persino il decalogo organizzativo e costitutivo: siamo al preludio della vera proposta politica di fusione della sinistra moderata e di quella post comunista.
Questo round quindi è di Francesco Rutelli, ma già c’è chi si chiede se la partita finirà per essere aggiudicata ai punti o per k.o. tecnico. Le voci di crisi ed il calo dei consensi hanno ridotto al lumicino le possibilità di vittoria della sinistra e persino la durata della legislatura. I candidati dei Ds, in un primo tempo in fermento, certi del prevalere di uno di loro, sembrano ora defilarsi dalla competizione. Nessuno vuole farsi trovare col cerino acceso in mano e quindi scottarsi. Ora le possibilità di vittoria tra gli elettori sono scarse o nulle e tutti vorrebbero che a questo punto fossero gli altri a prendersi la croce. Anche D’Alema e Fassino propongono ora Veltroni. Il sindaco di Roma, però, sente odor di bruciato e nicchia: ha ancora una metà legislatura da farsi come sindaco della capitale d’Italia, e con i riflettori della notorietà e del prestigio che l’incarico comporta.

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