22 giugno 2007

Alea acta est: la sinistra si affida a Veltroni


Alea acta est. La sinistra deve uscire dal “cul de sac” in cui è finita, anche grazie alla inconsistenza della controfigura adottata per presentarsi alle ultime politiche. Prodi si è montato troppo la testa e si è sentito davvero leader della sinistra. Si è sentito investito di una statura che non gli è mai appartenuta per esser stato solo uno strumento, per quanto arrogante e supponente, di strategie e poteri che sono al di sopra di lui. Aveva ed ha solo la dimensione di un boiardo di stato: una figura minore, spregiudicata e sfrontata, in cui la baldanza è stata al passo della sua involuta ed enfatica prosa. La sinistra ora ha fretta di liberarsi di Prodi. Questi, smascherato dagli italiani, è ora la sua carta perdente. Alcuni dei luogotenenti e padri fondatori della nascente nuova creatura politica, il Partito Democratico, pensato anche per affrancare dalla tara che grava su molti di loro per esser stati in Italia tra i fautori del comunismo, stanno pensando di creare le condizioni per un trapasso indolore. Sanno che il tempo non gioca a loro favore ed ogni giorno che passa significa un ulteriore calo di popolarità e di credibilità politica nel Paese.
L’elemento determinante e responsabile del collasso della sinistra non è ciò che D’Alema ha chiamato “crisi della politica”, ma è la delusione delle aspettative che Prodi e la sinistra intera avevano creato prima delle elezioni. Un programma enfatizzato ma prolisso e vago, la certezza gridata di implementi nel sociale e nei servizi, la demagogica illusione creata di far coniugare lavoro e sicurezza con impresa e mercato, come se fosse una semplice formula magica, ed infine l’immagine di un paese al collasso finanziario, coi conti saltati, debito in crescita, fuori dai parametri, al collasso. Un cumulo di bugie e di inganni. Come la favola di Fedro dove si evocava ripetutamente la paura del lupo. Ora la gente ha preso le dovute misure ed al lupo evocato per celare l’eterogeneità di una maggioranza divisa e litigiosa non ci crede più.
L’Italia non crede più a questo Governo che insediatosi per “rendere felici gli italiani” innesca invece un’azione che s’abbatte come una scure sugli italiani: incrementa la spesa pubblica; appesantisce la pressione fiscale; ridimensiona il taglio del cuneo - tra tasse e previdenza - promesso ad imprese e lavoratori; abbatte la spesa sociale verso le categorie più deboli; mette mano alle buonuscite dei lavoratori (TFR); apre le frontiere all’immigrazione selvaggia; moltiplica ed occupa le poltrone; offende e calpesta i servitori dello Stato; alimenta sfiducia e preoccupazioni nelle famiglie; rende invivibili le strade delle nostre città; modifica i valori della nostra civiltà; raffredda la rete di alleanze internazionali che garantiscono la nostra sicurezza internazionale; si intreccia coi percorsi della finanza per determinarne le scelte; tratta i cittadini come sudditi e servi; mostra fastidio per le dimostrazioni di disapprovazione spontanea che si alzano dai consessi democratici e dalle piazze.
Prodi non è che la punta dell’iceberg, il collasso è di tutta la sinistra ma è lui che l’ha compattata tra il diavolo e l’acqua santa. E’ lui che pur di ottenere una maggioranza elettorale ha mischiato le carte truccate facendo apparire un poker nelle mani di ciascuno. Ora è lui che deve mettersi da parte, è lui che deve lasciare sul tavolo il bottino di un ruolo politico ottenuto barando al gioco.
La sinistra è nuda dinanzi alla consapevolezza del suo fallimento ed è pronta ad assoldare chiunque sia funzionale allo scopo di liberarsi del principale responsabile del collasso. Si è servita del Partito Democratico e della riunione dei 45 per deliberare, al contrario della volontà di Prodi, la nomina ad ottobre attraverso le primarie di un leader forte, investito dal consenso del popolo della sinistra. Anche questa volta, però, si gioca una partita truccata e nessuno gioca davvero le sue carte. La scorsa volta si volle che apparisse un plebiscito per Prodi e lo proposero come unico candidato delle due forze più consistenti della sinistra DS e Margherita con l’aggiunta di qualche satellite.
L’altra volta fu per Prodi, ora si cambia e si lancia nuovamente il dado della fortuna. Il dado, però, anche questa volta ha i sei lati truccati. Da ogni parte spunta la faccia dalle gote cadenti di Veltroni, l’amerikano dei post comunisti, il cinefilo o come dice Bossi il sindaco di cinecittà. Rintanatosi a Roma a fare il primo cittadino della città più nota del mondo, defilato dalla lotta politica attiva per scelta, impegnato invece a costruire la dimensione della sua immagine per riemergere a tempo debito per puntare più in alto. Veltroni Walter, l’ex iscritto al pci che ha detto di se di non essere mai stato comunista.
Si prepara a spuntare da dietro il sipario: è il cigno bianco che danza sulle punte. Ritorna sulle scene di un teatro che oggi ha un pubblico poco incline ai balletti, per quanto raffinati e seducenti. C’è una platea di problemi e di scelte dove non servono danzatori ma interpreti dal carattere deciso e dal coraggio proprio delle scelte forti, senza le scarpette di danza ma con le suole resistenti per affrontare percorsi difficili, tra pietre e cumuli di spazzatura. “I care” è una storia passata, un film già visto, una trama senza una fine comprensibile. Non si pretende un lieto fine ma una nuova speranza, una spinta di orgoglio, un ruolo che sia all’altezza del coraggio e dell’ingegno dei nostri uomini. Veltroni, invece, appare un prodotto riciclato, un altro personaggio uscito dal cilindro dei prestigiatori politici della sinistra. Un concorrente che si prepara a scendere in campo sapendo di avere la partita già in tasca, un unto investito da un falso consenso, una scelta obbligata.
Una nota positiva emerge, però, da questa nuova stagione della politica italiana, a meno di ripensamenti e miracoli dell’ultimo momento ci stiamo liberando di Prodi: il peggiore. Alea acta est: questa volta non sarà lui a far andare di traverso il panettone delle feste di natale. Il Governo di Prodi Romano non ha più senso, anzi col nuovo corso sarebbe davvero un controsenso.
Vito Schepisi

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