13 febbraio 2007

Violenza!



Se un’organizzazione di tutela e sviluppo delle relazioni sociali si fosse fatta sorprendere ripetutamente in situazioni di accoglienza e formazione di azioni eversive contro lo Stato e contro gli attori del confronto democratico del Paese, sarei tra quelli che chiederebbe di indagare approfonditamente sui metodi di conduzione e di organizzazione dell’associazione, qualsiasi sia il suo colore politico.
Ove, ancora, fossero evidenti metodi di disinformazione e di istigazione a forme eversive e di contrasto violento allo sviluppo di una normale dialettica democratica, ne chiederei lo scioglimento.
Chiederei persino l’incriminazione per associazione sovversiva di stampo fascista, di coloro che si fossero resi responsabili di istigazione alla violenza ed alla sovversione delle istituzioni democratiche.
Ebbene dopo il delitto Biagi ci saremmo aspettati che all’interno della CGIL qualche riflessione fosse stata fatta, che il richiamo alla vigilanza, che è temine loro consueto quando si parla di casa d’altri, potesse avere concreto significato nel controllo al suo interno della finalizzazione democratica del movimento.
Abituati come siamo a sentirci dare o meno patenti di democraticità dalla CGIL e dalla sinistra in genere e di sentire parlare di legittimità a governare, ci verrebbe da chiedere se si possa discutere sulla legittimità di un sindacato sempre distintosi per esasperazione in chiave politica delle lotte e dei diritti dei lavoratori.
Perché allora all’interno della CGIL non si è vigilato?
Perché il sindacato trasforma ed esaspera in chiave politica ogni rivendicazione contrattuale o di diritto dei lavoratori?
Non può non sfuggire che il giuslavorista ucciso dalle BR, consulente del ministero del Lavoro, impegnato ad approfondire, con il leghista Maroni, ministro del Governo Berlusconi, le tematiche dell’ingresso dei giovani nel mondo dell’impiego e le normative relative alla mobilità ed alla riforma dei rapporti di lavoro, sia stato assassinato dalle Brigate Rosse in conseguenza di una feroce campagna di disinformazione, di criminalizzazione e di accuse di tradimento alla causa dei lavoratori.
Questa campagna vedeva la CGIL e Cofferati, allora leader del sindacato, tra i più agguerriti accusatori di Biagi.
Non ci meraviglia neanche oggi sapere che tra gli obiettivi, oltre Berlusconi, Mediaset, Libero, bersagli simbolo dell’odio comunista, c’era anche il giuslavorista Ichino, già sindacalista della CGIL e deputato dell’ex pci e da sempre vicino agli ambienti di sinistra.
I suoi recenti interventi, gli articoli ed in particolare il suo ultimo libro “I nullafacenti” sul mondo del lavoro e le sue tesi relative al licenziamento dei fannulloni, non devono essere piaciute a quella parte sindacale che ritiene il lavoro un diritto, il salario una certezza e l’impegno nel lavoro un elemento di scarsa importanza.
Ichino ha recentemente affermato che il mondo del lavoro sia saturo di fannulloni e di sacche di privilegi e di ozi a spese di chi lavora.
Anche le sue osservazioni sulla riduzione del ventaglio di garanzie che premia i comportamenti poco virtuosi a discapito del costo del lavoro e dei salari di coloro che sono più onesti, devono essere state viste in modo rabbioso.
Non deve esser stata mandata giù neanche la sua uscita sul licenziamento dei dipendenti pubblici improduttivi per ridurre la spesa pubblica.
C’ è una parte del mondo sindacale, come c’è una parte della politica, che è fucina della violenza e dell’intolleranza.
In questa sacca si annida un focolaio di rancore e di odio che sfocia in trame eversive.
Gli artefici della strategia dell’odio e dell’intolleranza non solo sono arrivati in parlamento ma anche nell’aria di governo.
Ne condizionano e ne determinano le scelte.
Ritengono di doverci essere a pieno titolo per aver dato il loro contributo alla campagna di odio e di disinformazione alimentata contro il precedente governo.
Mantengono in piedi una maggioranza che trova linfa vitale solo nella consapevolezza di perseguire la durata della gestione del potere.
Non è forse è giunto il momento per le forze democratiche del Paese di prendere decisamente le distanze da tutte le formazioni politiche che fomentano l’odio, adottano incivili forme di protesta ed offrono coperture politiche alla violenza ed all’intolleranza?
Vito Schepisi

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