30 aprile 2011

Vendola, il PD. la Puglia, il Paese

Il futuro di Vendola si costruisce solo sulla disgregazione dell’idea originaria del PD.
Il partito di Bersani era nato per rappresentare una sinistra di stampo europeo, aperto al confronto con le componenti moderate, predisposto al gioco democratico della legittimazione dell’avversario politico, spogliato dalle incrostazioni ideologiche, pluralista e slegato dal classismo marxista, ma soprattutto interessato alle idee liberali del mercato e della competizione.
Nato con Veltroni, il PD ha assecondato il processo di abbattimento della partitocrazia e si è fatto sostenitore del confronto bipolare, come negli USA, tra due schieramenti. Il centrosinistra e il centrodestra, accettando i valori comuni della democrazia, e avvertendo l’esigenza dei cambiamenti condivisi dell’architettura rappresentativa, esecutiva e giurisdizionale degli ordinamenti dello Stato, si prestavano al gioco democratico della maggioranza e dell’opposizione. Due poli d’interesse politico che, ferma restando la continuità istituzionale e il comune sentimento democratico, erano destinati a distinguersi su temi come previdenza, scuola e università, giustizia, pubblico impiego, sicurezza e fisco, soltanto negli accenti, nelle priorità e nelle strategie di visioni di società compiute.
Da una parte si pensava a una società democratica in cui far prevalere le innovazioni dei costumi, gli spazi delle minoranze, le integrazioni globali, il pluralismo etnico e, assieme a tutto questo, l’uso allargato della spesa sociale. Dall’altra parte, invece, si pensava sempre a una società democratica in cui far prevalere i valori di origine della cultura occidentale, l’identità nazionale, un’integrazione programmata, il rispetto delle minoranze, ma senza gravare sui diritti delle maggioranze e, assieme a tutto questo, la riduzione della spesa sociale a vantaggio dello sviluppo e degli investimenti, minori vincoli burocratici, più libertà d’impresa e maggiore flessibilità del mondo del lavoro.
In verità questo quadro non è stato dissolto da Vendola. Ci aveva già pensato lo stesso Veltroni. Perse le elezioni, sotto la pressione di Di Pietro, l’americano del PD, dopo il voto e gli impegni presi, ha cambiato la strategia d’opposizione, trasformandola da costruttiva a pregiudiziale. Persino la legittimità del voto popolare è stata messa in discussione. La sinistra di Vendola, assieme a tutte le componenti della sinistra alternativa, era invece rimasta fuori del Parlamento, consolidando l’idea che l’Italia ed i suoi elettori avessero scelto la democrazia ed il confronto civile.
Questa premessa è utile per capire l’attacco, oramai quotidiano, di Vendola al PD. È un attacco rivolto al sistema stesso della democrazia liberale. Vednola un anno fa in Puglia ha salvato la sinistra dalla sensazione di una sconfitta totale. E ora vuole riscuoterne il premio. Un anno fa, uscito da 5 anni di governo regionale senza colore, è riuscito ad imporre le primarie al PD. Era arcisicuro di vincerle, dopo aver costruito per tutto il tempo del suo mandato le premesse per il suo nuovo successo. E ora vorrebbe imporre la sua linea al Paese.
Forte di una rete clientelare di consenso politico tessuta in tutta la regione, rilevata anche nelle inchieste della magistratura sulla Sanità, Vendola, giovandosi di una stampa locale non ostile, se non addirittura amica, puntando su alcuni temi a effetto, come l’acqua di tutti e no al nucleare, ha vinto su un centrodestra spaccato. Nichi è abile a volgere tutto a suo favore. Utilizza ottimamente la pubblicità istituzionale per promuovere la sua immagine. Ha potuto persino giovarsi delle inchieste della magistratura su aspetti di vita mondana che, incrociandosi con personaggi pugliesi, sulla stampa locale facevano passare in secondo piano le inchieste sulla sanità e i coinvolgimenti e gli arresti dei suoi collaboratori.
La stessa strategia vorrebbe metterla in campo per la corsa alla guida del Governo nazionale. La sua candidatura a sfidare Berlusconi nella corsa a Palazzo Chigi, e la richiesta di primarie per la scelta, è partita il 18 luglio del 2010 a Bari durante i lavori degli “Stati generali delle fabbriche di nichi". Vendola ha già deciso: o le primarie o la sua candidatura a prescindere. Nessuno può pensare che sarà lui a cambiare idea. Non esiste per Vendola il concetto di cambiare idea.
I tentativi del PD di metterlo in difficoltà non servono. E su un aspetto il Governatore ha ragione: il PD ha votato con lui il suo programma e le sue scelte e i tentativi di metterlo in difficoltà con le assenze sui banchi della maggioranza appaiono goffi e incoerenti. Le minacce di dimissioni pochi giorni fa sono state un altro suo colpo di teatro. Il Governatore è abile ai colpi di scena. E minacciare le dimissioni sul contrasto alla rimozione dei vecchi amministratori delle Asl, per sostituirli con giovani manager sarebbe stato per il PD pugliese un vero autogol.
Nichi sta logorando lentamente il PD e lo fa giorno per giorno, senza sosta. L’ultima stoccata è contenuta nell’intervista al “Fatto Quotidiano” di qualche giorno fa. Ci ricorda la sua battaglia dell’uomo “solo contro tutti” già usata in Puglia. Il suo avversario per ora non è Berlusconi ma Bersani, come non era il centrodestra in Puglia, lasciato maturare nel suo logoramento e nei veti incrociati tra l’autunno del 2009 e l’inverno del 2010, ma D’Alema ed il suo sistema di potere in terra pugliese.
Se perdesse anche questa battaglia, Il PD dovrà prendere definitivamente atto del fallimento del suo progetto di rappresentare il riferimento della sinistra in una democrazia compiuta.
Non resta che chiederci se sia possibile immaginare oggi una sinistra, in una Nazione europea, legata alla figura e alle politiche del sapore ideologico di Vendola.
Vito Schepisi

28 aprile 2011

C'è più di uno che aspetta Godot

Nichi Vendola potrà sbracciarsi quanto vuole, ma le elezioni in Italia si vincono al centro.
Il Governatore pugliese con il suo sogno di una notte di mezza estate, quando il caldo umido della Città del Levante rende inquieti, quell’illusione di poter diventare premier per somma d’incapacità dei suoi possibili alleati, lo dovrà presto abbandonare.
Nessuno sposerà Nichi Vendola e tanto meno lo farà l’elettorato italiano.
Questa volta le sue fabbriche, i laboratori e i cantieri resteranno chiusi. C’è stata la recessione ed anche la politica delle chiacchiere è andata in cassa integrazione.
Può agitarsi quanto vuole, ma Bersani tra la sinistra del gay pride e quella dei nuovi protagonisti che possano richiamare l’elettorato moderato, preferirà sempre questi ultimi. Figuriamoci se dopo aver sostenuto che i temi della Giustizia non sono quelli che interessano gli italiani, Bersani e il PD potranno farsi coinvolgere in discussioni su temi che interessano l’esibizionismo diverso e tutto l’orgoglio che si manifesta con lazzi, colori e performance di cattivo gusto.
E figuriamoci se agli italiani si potrà spiegare che il multiculturalismo significa aprire le frontiere a tutti e mettere in discussione cultura, tradizioni e identità nazionale, e se si potrà dir loro che le questioni dei matrimoni tra gay, ad esempio, sono tra quelle che non fanno dormire la notte.
La sinistra neo-comunista, quella rappresentata da Vendola, non perde l’abitudine di cucire i vestiti della storia sulle nuove misure dell’opportunismo. Sostenitrice una volta di Gheddafi e di tutto ciò che nel tempo ha rappresentato ostilità alla cultura e alla democrazia occidentale, questa sinistra alternativa ne è diventata ostile quando la politica del dialogo e delle aperture, nel reciproco interesse delle parti, ha saputo trovare le intese per la convivenza e la gestione geopolitica di un’area così strategica come quella del Mediterraneo. Ora è nuovamente marcia indietro compagni.
Gheddafi per Vendola poteva benissimo sterminare i suoi oppositori e la popolazione civile libica, in nome di un pacifismo che diviene molto difficile comprendere, ma che appare sempre più altro e non pacifismo quando si schiera contro la politica estera italiana che rispetta sia la risoluzione dell’ONU e sia gli accordi strategici nella Nato, intervenuta nel comando per sua iniziativa.
La politica estera di Vendola appare, però, minoritaria anche a sinistra. Con il leader di sinistra ecologia e libertà, l’Italia si troverebbe a dover cambiare la sua politica estera e le sue alleanze tradizionali, ma forse è più esatto pensare che il governatore pugliese resti legato ai vecchi schemi del calcolo e dell’opportunismo, per trarre vantaggio politico dalle difficoltà di uno Stato alle prese con i problemi energetici e coi flussi immigratori. Ci ricorda tanto la vecchia strategia del Pci.
La sinistra italiana, alla resa dei conti, nel suo complesso, e malgrado i distinguo, mostra sempre la sua immaturità democratica. Anche a Bersani che si appella all’ “oltre” , non gli è mai facile andare oltre le strumentalizzazioni contro il Governo. E’ apparsa, infatti, molto più di una sensazione quella di doverlo ritrovare sulle stesse posizioni di Vendola, se solo il Presidente Napolitano, sulla partecipazione italiana alle operazioni militari in Libia, chieste dagli alleati nell’ambito di una comune strategia militare, non avesse giocato di anticipo. Evocare l’orrore della guerra fa sempre un grande effetto: non piace a nessuno ed è gioco facile opporsi.
La disputa in atto, in sostanza, è tutta legata alle tattiche per togliersi di mezzo Berlusconi e la maggioranza. Il leader del PD sarebbe disposto a tutto, anche ad “allearsi col diavolo” per indebolire il centrodestra, e sa che una candidatura Vendola finirebbe, invece, per rafforzarlo. Bersani vorrebbe essere lui a sfidare il Cavaliere, ma nell’area PD non mancano le ipotesi di un altro “utile idiota”. Un uomo immagine che serva a tranquillizzare gli elettori e che giustifichi persino la convergenza del terzo polo. All’uopo si aprono laboratori e già sono pronte le strategie di avvicinamento per le prossime amministrative, in particolare al secondo turno. Per l’occasione a Latina è stata persino lanciata la figura del fascio-comunista.
Battere il centrodestra sarà la partita della vita per Fini e Casini, ma anche per Bersani che di “oltre” non riesce neanche a smuovere la percentuale del suo partito. La soglia del 25% è una barriera che gli è persino difficile difendere. Il problema del PD è solo uno, che poi era quello dei DS, prima, ora ereditato dal PD: è la necessità di trovarlo così idiota ma anche così utile da non pensare di diventare un team manager, come in formula uno.
Vendola si dovrà proprio rassegnare. Non è arrivato il suo turno, se mai arriverà. Anche le sue “narrazioni” troveranno, prima o poi, il loro giusto collocamento nel tritacarne delle mode. Il suo sogno di primarie e chiacchiere questa volta sarà difficile che si avveri. Il suo giro per l’Italia, il suo presenzialismo, il suo sensazionalismo, potrà sono solo far aumentare il suo peso politico.
I petardi scoppiettano, fanno fumo, ma poi si spengono. E’ sempre così e col tempo si disperde sia il fumo, che il suono. Per fortuna. Potrà correre da solo, o assieme a Di Pietro, forse avrà una buona affermazione e un ruolo in Parlamento, ma niente di più. Se vorrà, invece, far corpo unico contro Berlusconi, dovrà allearsi anche con Fini e Casini. Bersani di sicuro non lo prenderà in sposa.
Le primarie, questa volta, non potrà vincerle: le primarie nazionali, con il PD, si fanno solo quando si sa già chi le vince.
E’ inutile che anche lui Vendola aspetti Godot. Non viene!
Vito Schepisi

26 aprile 2011

Se questa è Giustizia

Tanti ricordano il caso Tortora, vittima della malagiustizia, chiedendosi come sia potuto accadere. Tortora era un uomo mite, sereno, un gran signore, di cultura liberale, educato, onesto. Accusato da un pentito di spacciare droga, senza un riscontro, senza una prova, da incensurato, lo arrestarono dinanzi ad una folla di fotoreporter, cineoperatori e giornalisti, miseramente avvertiti.Un orrore! Per dirla con le stesse parole di Enzo Tortora.
Da quel giorno iniziò il suo calvario. La sua è stata un’esperienza tremenda, assurda per come si è realizzata, e ancora oggi inaccettabile. Un provvedimento di custodia cautelare in carcere disposto da due giovani sostituti procuratori che, mentre nel dolore e nell’onta si spegneva lentamente una vita, iniziavano una brillante carriera.
Salvo poche eccezioni, tutta la stampa si ritrovò a infierire su Tortora, com’è accaduto anche per le vittime di “mani pulite”, perché l’orrore fa notizia e il male ha sempre un qualcosa di morboso. Tutti si ritrovarono intenti a soffermarsi, a torto, sull’ipocrisia della sua signorilità. E così Tortora fu ucciso due volte: dalla malagiustizia e dai tanti suoi colleghi distintisi per indifferenza e cinismo.
Enzo Tortora è stato un gran signore della Tv, forse il più educato e compito di ogni tempo, ma è bastato poco per affogarlo nel fango. E’, infatti, così flebile il confine che passa tra il tutto e il niente che spesso basta un capriccio, una negligenza, una perfidia per rimetterci gli affetti, gli amici, il rispetto sociale, il lavoro, il futuro, la vita. Capita se viene meno la misura delle cose, quando la giustizia diventa solo uno strumento di potere e se chi sbaglia non è chiamato a risponderne. Ma è un prezzo troppo alto e non è giusto per nessuno doverlo pagare.
Ci sono, poi, tante storie che meritano di essere raccontate. Se si parla di Tortora, è perché la sua storia di malagiustizia è arcinota, ma quanti “Enzo Tortora” sono esistiti in Italia? Quante vittime della giustizia che ci hanno rimesso tutto? Quanti si sono dovuti piegare? Quanti si sono ammalati? Quanto sono deceduti? Quanti si sono dovuti nascondere perché era diventato troppo pesante e insopportabile lo sguardo inquisitorio e l’umore forcaiolo della gente? Quanti hanno dovuto rinunciare al lavoro e alla carriera? Quanti sono stati abbandonati da tutti, mogli e figli compresi? Quanti sono impazziti? Quanti sono presi da incubi e non riescono a vivere la loro vita con la sufficiente serenità? Quanti si sono suicidati? Ma se già solo un caso è una viltà, tanti casi cos’è?
A Enzo Tortora è stato restituito l’onore, la vita, però, l’ha perduta lo stesso. La Storia parlerà di lui come vittima di un sistema sbagliato che nessuno, però, ha provveduto, ancora, a emendare, a correggere, a modificare. Si registrano storie simili, si sommano altre vittime, altri uomini che pagano prezzi insopportabili. Non c’è mai limite al sopruso e all’arroganza degli uomini. In Italia si dice che l’uomo che indossa una divisa diventi di colpo autoritario. E se indossa una toga?
Qualche giorno fa, mi hanno interessato a un’altra storia che ha un piccolo ma grande “difetto”: quello di essere capitata tra capo e collo a un uomo non famoso. Nel 2007, il 16 giugno, accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso, nell’ambito dell’operazione “Nerone”, a seguito di alcune intercettazioni ambientali, registrate in una notte in cui era impegnato ad affiggere manifesti elettorali per le elezioni amministrative, a Civitavecchia, veniva arrestato e sottoposto al 41 bis, il trentanovenne incensurato Danilo Costanzi. Il 16 giugno era anche il giorno del suo compleanno e lo Stato quel giorno gli regalava un paio di manette e il carcere duro per 47 giorni, seguito da una settimana di “alta sicurezza”, poi i domiciliari e l’obbligo giornaliero di firma.
Solo dopo un anno Danilo Costanti è stato assolto in primo grado (Tribunale di Roma sentenza del 10 giugno 2008) perché “il fatto non sussiste”, mentre altre persone, arrestate nell’ambito della stessa operazione, sono state condannate a pene detentive. Ma il Costanzi, alla vicenda criminosa, era estraneo, com’è stato confermato in appello, quando l’opposizione del PM è stata giudicata inammissibile (sentenza della Corte di Appello di Roma del 23 luglio 2009).
Dal giorno dell’arresto a quello del proscioglimento la sua vita, però, cambiava, fino a diventare un inferno. Danilo Costanzi perdeva d’un colpo le aziende che conduceva, la compagna, cittadina slovacca, e i figli adottivi con lui già da 4 anni. Non li ha più rivisti. La compagna ha dovuto far ricorso a cure psichiatriche, poi persa la casa su cui, nella sua città in Slovacchia, era stato acceso un mutuo, le cui rate erano pagate con i proventi dell’attività del compagno, è passata all’assistenza dei servizi sociali.
Danilo Costanzi, preso da insonnia, ipertensione, con un metabolismo stravolto ora non riesce più a lavorare, non ha più la forza di farlo e di ricominciare tutto daccapo. La pratica di risarcimento per l’ingiusta detenzione è ancora in corso, ma sarà poca cosa. Si sta ora impegnando per fondare un’associazione di vittime dell’antimafia, “perché - dice - altri onesti cittadini come me non si trovino ad attraversare il mio stesso calvario”.
Da Enzo Tortora, in poi non è cambiato niente, anzi è cresciuta la discrezionalità dei magistrati, riuniti nell’associazione che li tutela, indisponibili a qualsiasi riforma, accentratori delle attività di polizia giudiziaria, e ostili a rivedere la questione della responsabilità civile.
Se questa è giustizia.
Vito Schepisi

09 aprile 2011


Non c’è sempre la necessità di riesumare Darwin per comprendere le origini di una nuova specie.

I Fintulliani, per gli amici FLIt (come il vecchio moschicida), sono soggetti che appartengono a una nuova corrente di pensiero “neo-tolemaica”. Si adoperano al raggiungimento di un’impresa controrivoluzionaria e anticopernicana, altrimenti detta antiberlusconiana, radicata sull’egocentrismo immobiliare. E se Di Pietro pone i “valori” al centro del proprio pensiero, i fintulliani pongono i “fini”. Sia gli uni, che gli altri, però, sottendono alla modifica antropologica dell’homo erectus, che identificano nell’esuberanza genitale di Berlusconi. Puntano a percorsi diversi, cercano di infilarsi in spazi diversi: finiranno persino col chiedere in sposa Niki Vendola.


P.S.: Un grazie a Luigi Anastasio della "Giggino Productions" che ha montato la foto dei trionfanti condottieri della nuova genia ... osannati dalla specie dei "politicamente corretti".

05 aprile 2011

Il sottosistema di potere della sanità pugliese (II^ parte)


Una svolta di serietà nell’attività giudiziaria della Procura di Bari sulla questione Sanità, è arrivata con l’arrivo del nuovo procuratore di Bari. Spenti i fumogeni Tarantini e D’Addario e uscito dalla scena anche Berlusconi, che con la sanità pugliese non aveva evidentemente niente a che fare, la procura di Bari ipotizzava, per la sanità regionale, l’esistenza di una “cupola” di malaffare, gravata da pericolose infiltrazioni della malavita organizzata. In una conferenza stampa il Capo della Procura, Antonio Laudati, accennava ad ipotesi di concorso di più soggetti politici della Giunta regionale che sottendevano alla gestione di questa “cupola”, con lo scopo di controllare il territorio servendosi delle nomine e degli appalti nella sanità, per allargare il loro consenso elettorale.

All’assessore Fiore che negava l’esistenza di una “cupola mafiosa”, e che interpretava i fatti accaduti come singoli “fenomeni distorsivi” ed estranei ad “un unico disegno criminoso”, sempre il Procuratore capo di Bari replicava: “La sanità pugliese e' stata gestita da un sistema criminale che ha controllato gli appalti, le nomine dei primari e gli accreditamenti delle strutture sanitarie da parte della Regione Puglia”.

Nel frattempo, il Vice di Vendola, il dalemiano di ferro Frisullo, veniva arrestato, sommerso da accuse di tangenti pagate in danaro e in natura. A suo carico emergevano meschini casi di ricatti sessuali a danno di giovani mamme bisognose e poi donnine, consulenze, sperperi e uno sfacelo morale indicibile, con la Regione trasformata in un postribolo. Vendola solo a quel punto si precipitava a sostituire ben 5 assessori, facendosene persino vanto. Ma lui, il poeta, non dava mostra di sentire su di se alcuna responsabilità politica guardandosi bene dal dimettersi. Di quali garanzie allora parlava, se neanche dinanzi a tanto degrado mostrava di avvertire la gravità di quanto era accaduto?

Le ipotesi di reato si sono così allargate ad altri protagonisti, sono emersi i contenuti di alcune intercettazioni che coinvolgevano direttamente il governatore pugliese. In Regione c’era fermento per le candidature alla presidenza, in vista delle elezioni. Il centrodestra pugliese era spaccato. L’Udc era ostile al centrodestra, con Casini che giocava a spaccare sostenendo la Poli Bortone. Anche nella sinistra era in corso un braccio di ferro. Il PD, fiutando la vittoria, grazie alle divisioni degli avversari, voleva liberarsi di Vendola, indisponibile, però, a fare un passo indietro. In questo clima il governatore, soprattutto a beneficio del clamore mediatico, scriveva una lettera al pm Di Geronimo rivendicando il suo status di politico “puro”. Una lettera che dava più l’idea dell’intimidazione che non quella del sereno chiarimento delle sue responsabilità, scritta con arroganza, con toni piccati e con odiosi riferimenti personali al magistrato.

Vendola, però, non è Berlusconi. Il politicamente corretto vuole che a lui tutto sia concesso, anche di provare a intimidire un magistrato. L’uomo con l’orecchino esce così vittorioso persino dal procedimento a tutela del magistrato aperto dal Csm e, dopo aver stravinto le primarie, soprattutto contro D’Alema e Bersani, prima che contro il suo contendente Boccia, esce vittorioso anche nella competizione regionale, grazie ad un favorevole vento di maestrale mediatico che gli spazza via ogni nuvola, e grazie soprattutto alla divisione dei suoi avversari. Vince in Puglia, mentre la sinistra perde in tutta l’Italia. E nasce così un eroe.

Il resto della vicenda è contenuto nella richiesta della magistratura barese di arresto per Tedesco, nel frattempo entrato in Senato come primo dei non eletti, dopo che il PD pugliese, sostenuto da influenti leader nazionali, ha voluto, guarda caso, far candidare ed eleggere al Parlamento Europeo l’ex Ministro De Castro, già senatore eletto in Puglia. La richiesta di arresto è arrivata dopo due anni dalle sue dimissioni da assessore. E’ arrivata in contemporanea, benché i due procedimenti fossero separati e i magistrati (pm e gip) diversi, all’archiviazione delle ipotesi di reato a carico di Vendola. Una disposizione che ha lasciato più di un dubbio e che è giunta dopo 11 mesi di gestazione. Altri dubbi sono sorti dalla constatazione che, in due anni, nessun magistrato abbia mai avvertito la necessità di ascoltare Tedesco. L’ex assessore è stato interrogato solo dopo l’archiviazione delle ipotesi di reato contro Vendola. Eppure Tedesco aveva sempre sostenuto di aver sempre informato Vendola di tutto e che, pertanto, in caso dell’esistenza di un reato, il governatore ne sarebbe stato partecipe.

L’autorizzazione all’arresto è ora al vaglio della Giunta per le immunità del Senato che è in procinto di dare il suo parere per poi passare il tutto all’esame dell’Aula. Difficilmente, però, la richiesta d’arresto sarà accolta, da ciò che si presume dalle posizioni sin qui espresse. Il gruppo Pdl, maggioritario in Senato, si è già dichiarato contrario: “Alla nostra coscienza ripugna - è scritto nel documento del Pdl - solo il pensiero di poter autorizzare la limitazione delle libertà personali per calcolo politico. Ciò non può esimerci però dal denunziare come dalla lettura degli atti emerga lo spaccato di un sistema sanitario pugliese profondamente distorto, praticamente marcio di fronte al quale i referenti politici, uomini e partiti della maggioranza di sinistra e in primis colui che tutti li rappresenta, il Presidente della Regione Vendola, continuano a far finta di niente”. Basterà ora qualche assenza e qualche voto favorevole del PD per respingere la richiesta di arresto. Tedesco sarà salvato dalla coerenza dei suoi avversari politici, mentre gli sarà più difficile ottenere la solidarietà del suo partito.

In democrazia, però, non si possono avere dubbi sulla giustizia e non si può temere che le leggi e i provvedimenti giudiziari non siano uguali per tutti. Se capitasse, se ci fosse il pericolo di una giustizia con due pesi e due misure, dovremmo incominciare a temere per la democrazia. Non si possono selezionare i colpevoli e non sono ammissibili i capri espiatori, come non si può sottrarre al giudizio politico dei cittadini chi non è capace di garantire la gestione corretta della cosa pubblica. Non si possono coprire gli incapaci, e non si può tutelare chi si ritrae dall’assunzione delle proprie responsabilità.

Vito Schepisi

04 aprile 2011

Il sottosistema di potere della sanità pugliese (I^parte)


Nel 2009 era partita con l’ipotesi di associazione a delinquere. La Procura di Bari non aveva emesso ancora alcuna ordinanza, ma già nei primi giorni del febbraio del 2009 si conoscevano già i presunti imputati e le presunte imputazioni. Alla prima eco sui giornali locali, Alberto Tedesco, dopo un incontro con Vendola, motivandole con la volontà di non creare difficoltà alla Giunta, rassegnava le dimissioni da assessore e veniva prontamente sostituito da Tommaso Fiore. I filoni d’indagine si sono subito moltiplicati: emergeva Tarantini e le sue forniture di protesi. S’è parlato di scosse ed è arrivata la D’Addario. Era tanto forte la preoccupazione di un ciclone giudiziario che potesse coinvolgere il “sottosistema” di potere pugliese (la sanità pugliese gestisce circa il 75% delle risorse economiche della Regione) che ci è stato chi ha pensato di ricorrere a manovre dispersive. Serviva un qualcosa che distraesse l’attenzione da quello che poteva rivelarsi come uno degli scandali più cinici e deprimenti d’Italia. Appalti, rifiuti speciali, nomine clientelari, denaro, controllo politico del territorio, lotte di potere, spartizioni, sprechi, donnine, corruzione, spregiudicati avventurieri, droga. C’era di tutto e qualcuno ha ben pensato di innalzare barriere di fumo, per distogliere l’eccessiva attenzione. In Italia è facile. E’ sufficiente fare quel nome che è sempre sulla bocca di tutti e il gioco è presto fatto. La scossa è così partita, e col sospetto che sia nata addirittura in Procura. Un capitolo della serie: come trasformare un evento negativo in un vantaggio politico per la sinistra? Nel 2009, in primavera, c’erano le elezioni europee e un importante impegno elettorale amministrativo, e Berlusconi stava vincendo, una dopo l’altra, tutte le tornate elettorali. A Bari, ad esempio, il sindaco Michele Emiliano, segretario regionale PD, uomo di D’Alema e protagonista in Città di un vero vuoto amministrativo, rischiava la poltrona. Dall’inchiesta, come da un cilindro di un prestigiatore, la scossa si materializzava così in Silvio Berlusconi. Il Premier in Sardegna aveva conosciuto Giampaolo Tarantini, scaltro e funambolico fornitore di protesi sanitarie. Con l’imprenditore pugliese era stato mantenuto un rapporto di frequentazione di vita mondana, un rapporto che niente aveva a che fare con gli affari e con la sanità pugliese. L’imprenditore si accompagnava a giovani e attraenti ragazze, tra cui la D’Addario, escort di professione col “pallino” d’incastrare. Tanto è bastato per aprire un altro capitolo di gossip e distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica. Tarantini e la D’Addario, accostati a Berlusconi, subito occupavano per settimane i titoli di testa su tutti i quotidiani. Un piccolo corruttore e fornitore di protesi sanitarie, con pochi milioni di fatturato annuo, e una escort, fornita di registratore tascabile, usati per oscurare l’inquietante scandalo della sanità pugliese: una cortina di fumo innalzata avanti ad un servizio da terzo mondo, con episodi di malasanità e con l’accumulo di due miliardi di debiti; un vero colpo da teatro per sceneggiare un diversivo e per nascondere una realtà agghiacciante sulla gestione del potere in Puglia. Il Sindaco di Bari Michele Emiliano, a quel tempo segretario regionale del PD, intercettato in una telefonata con Tedesco, aveva definito la sanità pugliese un “sottosistema” di potere per la gestione politica del territorio. Mazzette e sesso tra bisturi e garze. Clientele e voti tra analisi cliniche e nomine di primari. Patti scellerati del tipo: io ti nomino a capo di una Asl e tu mi organizzi una rete di clientele e di voti. Anche una parte della magistratura barese ha indugiato su questo filone d’indagine, fino al crearsi di fazioni all’interno della stessa procura. Solo con l’insediamento a Bari del nuovo procuratore capo, il diversivo Berlusconi veniva definitivamente abbandonato, per l’inesistenza di una qualsiasi ipotesi di reato, ma il danno era già stato fatto e l’effetto era già stato ottenuto. Alcuni giornali e conduttori tv sono andati in visibilio: non aspettavano altro. Santoro si scatenava in tv, invitava la D’Addario in trasmissione, facendola apparire come una povera vittima, quasi una rediviva Santa Maria Goretti. Il pettegolezzo aveva la meglio. Spuntavano il lettone di Putin, le foto dei bagni di Palazzo Grazioli, le registrazioni, le intercettazioni, i verbali e persino un fantomatico sistema a stantuffo atto a sostituire la naturale erezione. Il gossip è andato avanti per mesi e, per tutto questo tempo, la cattiva gestione della sanità pugliese, i reati di associazione a delinquere, di concussione, di corruzione e di turbativa d’asta passavano in cavalleria, mentre la D’Addario diventava una diva in tournée per l’Italia, persino autrice di un libro dal titolo felliniano: “Gradisca Presidente”. Nessuno che, invece, si fosse soffermato su alcune semplici riflessioni: 1) Tedesco era l’uomo meno adatto a quell’assessorato, le società dei suoi figli, infatti, fornivano protesi sanitarie, e la Regione era tra gli acquirenti quasi esclusivi, ma Vendola l’aveva voluto a quell’assessorato con ostinazione; 2) il Governatore pugliese sapeva benissimo tutto ciò che succedeva in Regione; 3) c’era stata una presa di posizione dell’Idv sull’evidente conflitto d’interessi e il Governatore aveva garantito per Tedesco.

Ma garantito cosa?

(continua)

Vito schepisi