L’economia è una scienza concreta che non può reggere dinanzi a banali e semplicistiche dinamiche ideologiche. Al contrario si può sostenere che siano proprio le ideologie che, scontrandosi con il realismo dei conti e dei mercati, mostrano la loro inutile rigidità.
Fatta questa premessa è bene che si provi a capire se sia possibile che le politiche economiche possano, invece, reggere, a diverse dinamiche sociali e politiche. All’uopo è opportuno immaginare sia i mutamenti dei riferimenti dei modelli sociali nelle dimensioni, nelle criticità e nelle finalità, e sia quelli di più ampio riferimento politico, nei termini, ad esempio, d’identità europea, e di univocità d’indirizzo (alleanze, patti, cooperazione).
Innanzitutto, possiamo provare a comprendere se una moneta unica per più paesi abbia anche riferimenti unici nei mercati, e verificare, altresì, se i singoli paesi europei abbiano politiche monetarie e finanziarie fungibili o, ancora, se alcuni ricorrano, ad artifizi di bilancio per rientrare nei confini di stabilità concordati.
In quest’ottica non possono che sorgere dubbi sul fatto che il Trattato di Maastricht sia solo una linea immaginaria il cui vero confine appare spesso sbiadito.
Nel nostro principale interesse conviene restringere il campo all’Europa, evitando di pensare all’inarrestabile globalismo dei mercati, spettro oramai di un prossimo conflitto economico-industriale che andrà a scuotere l’organizzazione sociale dei paesi più industrializzati. La questione Fiat e gli accordi di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori sono solo le prime avvisaglie di una rivoluzione produttiva che interesserà ben presto tutti i paesi europei e tutti i settori industriali.
Il profilo del mondo, quanto prima, cambierà per la diversa velocità di penetrazione commerciale che si sta sviluppando tra un mondo, quello di cultura europea, spesso anche eccessivamente garantito, e un altro privo di stabilizzata cultura industriale che, orientato al bisogno, invece, contro ogni immaginazione, appare sempre più libero e sempre più svincolato da regole. Senza un cambio di rotta, la legge del contrappasso non risparmierà nessuno, e l’Europa, è bene ricordarlo, è il continente più esposto. Senza nuove misure, dovremmo preoccuparci sin da ora del ribaltamento tra la vecchia povertà e la nuova ricchezza. Gli strumenti della vecchia ricchezza, i pacchetti azionari, sono destinati a cambiare i riferimenti del loro possesso.
Per tornare all’Europa, chi ha pensato, come Prodi all’epoca della sua Presidenza della Commissione europea, che l’espansione territoriale dell’Europa potesse essere un segno di maggior peso e di più marcata influenza, l’ha fatto solo per accrescere il suo ruolo politico. Non tutti, infatti, hanno la statura di Khol e non tutti possono permettersi la sfida economica della Repubblica Federale Tedesca, nel 1990, di sobbarcarsi gli oneri economici della riunificazione delle due Germanie. Ciò che resta è che è stato consentito l’ingresso in Europa a una molteplicità di paesi più per ragioni ideologiche o per obiettivi strumentali, che non per accrescere la funzione e il peso politico della Comunità.
In Europa sono entrati paesi che, lenti nei processi di crescita, avevano bisogno di tutto e che, investiti dall’Euro, moneta strutturata su economie a ben diversa velocità, hanno trasferito, sulle popolazioni, i maggiori costi delle necessità di vita, e, sulla moneta europea, le debolezze delle loro traballanti strutture economiche. Per alcuni di questi paesi, la fine del capitalismo di stato, invece di aprire a nuove speranze, ha contribuito a porre dubbi e incertezze sul futuro, coinvolgendo nel pericolo l’intera Europa.
L’Europa mostra dunque tutte quelle debolezze che la rendono vulnerabile. Le ricette varate sono un po’ come l’aspirina che fa passare solo momentaneamente il dolore, senza incidere invece sulla malattia. Le economie industriali, chi più e chi meno, hanno puntato sul debito per accelerare lo sviluppo e per migliorare le strutture sociali. Le economie meno competitive hanno anch’esse puntato sul debito per alleviare il bisogno e ridurre il divario. Il debito è la costante, pertanto, ma è anche come la colonna di mercurio che misura la febbre, ed il grafico della temperatura è monitorato costantemente dalla speculazione finanziaria.
Se c’è un batterio che colpisce i diversi pazienti, è intelligente pensare di unire gli sforzi per trovare una cura comune. Se, ad esempio, per le infezioni servono gli antibiotici, anche per curare il debito serve la sua specifica medicina. In materia economica, per giunta, non c’è da inventarsi niente: la medicina è l’emissione di titoli di debito. C’è, allo scopo, una proposta italiana lanciata dal Ministro Tremonti consistente in uno strumento unico per tutti i paesi europei: gli Eurobond. Questi sarebbero titoli garantiti da tutti gli stati della Comunità, e strumenti con i quali fronteggiare tutti i tentativi di speculazione contro i paesi in difficoltà: non più, pertanto, l’uso di diversi provvedimenti, spesso tardivi, ma un solo strumento immediato valido per tutti.
Non ci sarebbe tempo da perdere!
Vito Schepisi
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