03 giugno 2010

Rigore e furbizia in Di Pietro


L’ex PM di Mani Pulite, Di Pietro, ha esercitato molti mestieri. Ma di tutto ciò che ha fatto, di come l’abbia fatto, e perché, da un certo tempo indietro, si sa molto poco. Da ciò che se ne osserva, si ha l’impressione che per tante cose fatte sia stata calata una cortina di fumo che impedisce di guardare più in fondo.
Ogni tanto spunta una foto che lo immortala assieme a personaggi discussi, in atteggiamenti gioviali e di estremo relax, come a tavola, ad esempio. Dai tanti misteri è naturale che affiorino tante ipotesi “gelatinose”. E l’uomo è sempre pronto a smentire e minacciare querele. Ma oltre al negare, minacciare e querelare, ciò che manca è solo ciò che sarebbe invece utile: chiarire.
Si dice che un personaggio pubblico debba essere trasparente e che della sua vita privata, presente e passata, si debba conoscere tutto. Con questa tesi non si è tutti d’accordo. Non lo si è almeno per ciò che riguarda la vita più riservata ed intima degli individui. Non c’è condivisione, infatti, quando di un uomo pubblico si vogliano giudicare i suoi gusti, i suoi piccoli o grandi vizi innocui, le sue passioni, i suoi amori, i suoi affetti, le sue debolezze intime, le sue questioni di famiglia.
Non sembra, però, che le stesse perplessità sulla riservatezza coinvolgano più di tanto il sentire dell’On. Di Pietro, in particolare quando si è trattato di giudicare la vita privata dei suoi avversari: chiamò persino “magnaccia” il Presidente del Consiglio. Nei modi che di lui conosciamo c’è una gran voglia di censura verso quelli che, per l’acredine ed i toni che usa, appaiono come suoi “nemici”. L’ex PM ha, inoltre, una costante predisposizione al giudizio critico sulla moralità degli altri. Un po’ meno sulle vicende che riguardano la sua vita privata e quella delle persone di famiglia. Nessun giudizio critico anche sulle vicende che investono la gestione del suo partito. Nessun imbarazzo, infatti, per il modo un po’ singolare con cui vengono amministrati i contributi elettorali che la legge prevede di erogare non ai singoli individui o a società private, ma ai soggetti politici espressione della vita democratica del Paese.
Ma se per un uomo pubblico la riservatezza sulla sua vita privata dovrebbe essere rispettata e garantita, altrettanto non si può dire per la sua vita sociale. Il curriculum vitae di costoro dovrebbe essere, infatti, trasparente e visibile. Chi si propone per amministrare e gestire beni o per esercitare importanti funzioni pubbliche, dovrebbe dar conto di ciò che ha fatto per qualità, quantità e coerenza. Eccezioni dovrebbero essere previste solo per soggetti che svolgono funzioni sottoposte al segreto di Stato o funzioni di sicurezza nazionale, non per coloro che hanno cambiato lavoro come si cambiano i calzini.
Il popolo deve poter giudicare l’operato dei suoi rappresentanti, e deve esser messo in grado di farlo, tanto più ove dinanzi ad ex poliziotti ed ex magistrati. Niente è peggio per la democrazia che il sospetto dell’abuso del ruolo pubblico esercitato. Prerogativa della democrazia, inoltre, non è quella di giudicare la società, ma il contrario. Un concetto quest’ultimo che varrebbe anche per l’abitudine che alcuni manifestano nell’infierire sugli elettori che fanno liberamente le loro scelte.
Di Pietro ha lavorato all’estero, ha fatto l’operaio, il poliziotto, il magistrato, il politico, l’avvocato, il leader di partito, il Ministro, il professore universitario, persino lo scrittore. Verrebbe da pensare che sia un uomo di grande talento. Un genio. Peccato, però, che mostra d’aver qualche problema persino con la lingua italiana!
Autocritiche del personaggio non se ne conoscono, e tanto meno chiarezza sul suo passato. Sui misteri della sua vita e sui suoi affari, il neo avvocato adotta, infatti, la stessa strategia difensiva consigliata agli imputati dai suoi colleghi penalisti: negare sempre, anche l’evidenza se occorre. E lui nega di tutto!
L'abitudine di trarre giudizi e di formulare requisitorie d’accusa a Di Pietro riviene dal retaggio delle sue esperienze passate di poliziotto e magistrato. Si vuole, pensare che sia solo così, perché, se non fosse, sarebbe invece una tara perversa della sua indole, allorquando si predisponesse a sfruttare con evidente ferocia ogni possibile opportunità aggressiva. Ma d’altra parte, appare evidente, ed occorre rilevarlo, che nella sua vita Di Pietro non ha mai dato impressione di sottrarsi dall’utilizzo delle conoscenze e dall’abilità di saper mescolare gli atteggiamenti di un sembiante rigore con quelli di un’ipocrita furbizia.
Una figura singolare Di Pietro. Un mix tra un personaggio pirandelliano ed un modo gattopardesco di rivoluzionare le cose, traendone un immediato giovamento ed i presupposti di un successivo utilizzo. Come scriveva Tomasi di Lampedusa: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!”
Vito Schepisi

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Sui misteri della sua vita e sui suoi affari, il neo avvocato adotta, infatti, la stessa strategia difensiva consigliata agli imputati dai suoi colleghi penalisti: negare sempre, anche l’evidenza se occorre. E lui nega di tutto!"
Mi sa tanto che ha sbagliato foto e nome : ci metta quella di BERLUSCONI, il suo Kapò!!!!