15 giugno 2010

Incontrarsi tra cent'anni


Tempo l’Occidente ce ne sta mettendo, ma lentamente scopre che il proprio sistema economico rischia di piegarsi e cadere a causa del dinamismo produttivo e delle iniziative commerciali di quei paesi che al loro interno sostengono tuttora il collettivismo economico. Cede per iniziativa di quei regimi che ancora guardano alle politiche di mercato come si guarderebbe alla bestia nera che può mettere a rischio il rigore marxista del capitalismo di stato.
I nuovi scenari coinvolgono da est, ad ovest, da sud a nord, nei due emisferi, l’intero pianeta. Limitiamoci, però, al destino del nostro Vecchio Continente.
Con il globalismo, tutta l’Europa è a rischio default. Se guardassimo alle delocalizzazioni delle produzioni, ci accorgeremmo che sono diventate il nuovo strumento delle economie aziendali. La Fiat con Pomigliano d’Arco, per l’Italia, ha lanciato alle controparti sociali la sua sfida alternativa. Il messaggio è chiaro: per investire servono impegno e certezze e se non è possibile trovarli in Italia, ci sono paesi che non aspettano altro. Quella dell’intesa su Pomigliano è la stessa Fiat che ha già delocalizzato impianti, operai, produzioni. Altre imprese italiane hanno già fatto la stessa cosa.
Gli altri aspetti delle criticità sono rappresentati dalla contraffazione sistematica dei prodotti di eccellenza che invadono gli stessi mercati d’origine. Non è più la questione del laboratorio clandestino in un sottoscala campano a falsificare design ed etichette, ma ci sono interi paesi che inondano i mercati e lo fanno in modo troppo spesso sommerso, senza regole e senza oneri. Anche i costi delle materie prime sono sottoposti al condizionamento dei cartelli delle multinazionali e dei paesi estrattori e sono in grado di sconvolgere il sistema di vita dei paesi con alti consumi.
L’economia europea è a rischio. Se le diverse tessere del puzzle trovassero chi fosse capace di comporle, e se questi s’accorgesse d’aver già acquisito il “know how” e d’essere in grado di sferrare un attacco massiccio ai mercati, inondandoli di prodotti a basso costo, già salterebbe tutta l’architettura economica dell’Europa. Salterebbe lo stato sociale, l’occupazione e tutta la filiera di trasformazione. Salterebbe, però, assieme al sistema industriale europeo, anche la democrazia.
Se non è ancora accaduto, è perché, fino ad ora, non conveniva a nessuno. I paesi della nuova economia globale non si sentono sufficientemente forti “politicamente”. La loro organizzazione industriale non esiste. Non è calcolabile l’impatto sociale: oggi, infatti, i loro popoli subiscono lo sfruttamento del capitalismo, in quanto il profitto sottrae l’intero valore aggiunto del sistema produttivo. A governare il globalismo c’è poi la mafia internazionale. Sono tutti questi gli elementi di valutazione che frenano la soluzione finale.
Tutti i fenomeni economico-produttivi, e non solo, hanno una ragione, un’origine ed una convenienza. Basterebbero quelle citate, ma c’è ancora una ragione su tutte: questi popoli non hanno i consumatori. Se non ci sono i consumatori, cioè le masse che hanno la possibilità economica di acquistare, saltano anche i presupposti del mercato. Questa può essere la vera ragione che frena il cambiamento. L’economia è una scienza fondamentalmente conservatrice e pone resistenza ai cambiamenti laddove c’è già un margine sufficiente di guadagno. Ed in questa avventura ci guadagnano già assai bene le multinazionali, i governi, gli apparati mafiosi e la finanza internazionale. Ci perdono solo i più deboli, paesi o cittadini che siano.
Le leggi di mercato sono inesorabili: quando c’è l’offerta, c’è bisogno che ci sia la domanda. Serve chi apre il portafoglio per acquistare. Servono quei paesi che hanno i supermercati pieni di massaie. Servono i popoli che hanno le case piene di oggetti. Serve chi è abituato a bere le bibite fresche, chi ha il telefonino di ultima generazione, chi compra la televisione a schermo piatto da 50 pollici per guardare le partite di calcio. Serve chi mette il condizionatore, chi usa i pannelli fotovoltaici, chi guarda i film seduto in poltrona dinanzi ad un impianto “Home Theatre”, chi cambia la macchina invece di fare il tagliando. Servono insomma gli acquirenti: servono quelli che alimentano le transazioni terminali dei cicli commerciali per mantenere l’equilibrio della filiera tra chi produce e chi acquista. L’economia globale di mercato, in questo, non è affatto diversa da quella che alimenta nei singoli paesi la produzione, i prezzi ed i consumi.
Nessuno inventa niente in questo campo. I cambiamenti sono dovuti essenzialmente ai costi. Se mancano regole comuni e se lo stato sociale incide in modo profondamente diverso sui costi, accade che gli investimenti si faranno dove questi sono sensibilmente inferiori. E’ tutto così logico!
Finché i mercanti non troveranno come contraffare anche i consumatori, l’occidente sarà ancora salvo.
Ma se l’Europa ed i paesi occidentali hanno ancora del tempo per pensare ai rimedi, non possono concedersi il lusso di sprecarlo. I politici, assieme agli economisti, assieme ai sindacati, ai sociologi, agli imprenditori, devono capire cosa c’è che non va e come si possa correre ai ripari per evitare guai peggiori.
“Vorrei incontrarti tra cent’anni”, cantavano Ron e Tosca, ma se per ritrovarsi in una colonia della Cina o della Corea del Nord? Varrebbe ancora la pena d’incontrarsi?
Vito Schepisi

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