09 giugno 2010

E' miope l'ostilità alla manovra



In altri paesi europei si preannunciano manovre economiche e tagli ben più dolorosi che in Italia. In Germania, la Signora Merkel intende tagliare nel pubblico impiego ben 15.000 posti di lavoro ed il saldo della manovra annunciata, per i prossimi 4 anni, ammonta alla considerevole cifra di 80 miliardi di Euro. Una misura oltre che tripla rispetto a quella prevista in Italia nei prossimi due anni.
In Spagna Zapatero ha tagliato gli stipendi nel pubblico impiego ed affronta le difficoltà del disavanzo della spesa pubblica rivedendo la spesa sociale. Cameron, neo primo ministro conservatore Inglese, al suo insediamento ha trovato un debito pubblico, ereditato dall’amministrazione uscente del laburista Gordon Brown, ben più largo di quanto previsto, ed annuncia anche lui tagli e manovre lacrime e sangue.
Della Grecia, punta dell’iceberg della crisi che ha colpito sia i mercati finanziari europei che la stabilità della nostra moneta unica, sappiamo dei sacrifici e dei tagli, pur in presenza di condizioni di vita già disagiate e di un tessuto sociale dominato da marcati contrasti tra i tanti privilegi ed i tanti bisogni.
Inesorabilmente emergono tutte le difficoltà di un’euforica politica di allargamento dell’Europa, conseguita senza molta prudenza, senza una rigorosa stabilizzazione dei regimi economici e, soprattutto, senza tener conto del tenore di vita dei cittadini di quei paesi. La domanda più frequente è, infatti, quella del come sia possibile che, in stati in cui il salario medio è di circa 200 euro mensili, le popolazioni possano sopportare i costi di un mercato che diventa sempre più globale.
Anche l’Italia non sta messa bene. La sua spesa pubblica nel 2009 ha assorbito il 52,5% del pil. Il deficit di bilancio è stato del 4,7% del prodotto interno lordo, ed il debito pubblico complessivo si avvicina a 1.800 miliardi di Euro. Anche l’avanzo primario (lo sbilancio tra entrate ed uscite al netto degli interessi sul debito) dopo 18 anni di ininterrotto segno positivo, nel 2009 è andato in negativo dello 0,6% del pil.
La recessione ha colpito duro e, riducendo il totale della produzione e dei ricavi, ha accentuato l’incidenza della spesa complessiva dello Stato e degli enti locali. E’ da prendere atto che uno Stato funziona in modo un po’ diverso da un’azienda. Al contrario di un’impresa privata, quando c’è crisi e le aziende, per mancanza di domanda, mettono i lavoratori in cassa integrazione, lo Stato interviene con gli ammortizzatori sociali che invece incidono inevitabilmente sulla spesa. Lo Stato subisce un doppio danno: minori introiti sul fatturato, sugli oneri e sui redditi, e maggior spesa per far fronte alle tensioni sociali.
Se un privato, già al primo sentore di difficoltà dei mercati, taglia le spese, ad esempio sul lavoro, per le materie prime, per l’innovazione e gli investimenti, non altrettanto può fare lo Stato. Se lo facesse, innesterebbe un circuito negativo più ampio e di lunga durata, perché minerebbe sia la stabilità sociale che le opportunità di crescita, relegando il Paese al sottosviluppo. L’azione di un Governo in tempi di crisi è delicata ed impopolare e meriterebbe maggiore comprensione e responsabilità.
Può sembrar strano, ora, che l’Italia non sia tra i paesi a rischio più immediato di disastro economico. Come per tutte le cose, però, anche per questa c’è una spiegazione. E la ragione sta nel fatto che i governi, almeno negli ultimi 10 anni, hanno mostrato una reattività positiva ai pericoli di ulteriore indebitamento. Il Trattato di Maastricht è stato bene o male rispettato ed il disavanzo primario è stato sempre di segno positivo. Il debito complessivo, in definitiva, aumenta solo per effetto dei costi degli interessi sul debito pregresso. C’è, insomma, un fattore Italia che regge, anche a dispetto della crisi di incomunicabilità politica del Paese.
Questi i fatti. Valutiamo ora i comportamenti. Si dice che l’opposizione deve fare sempre il suo dovere, ed il suo dovere sarebbe quello di opporsi. Ma non è essenziale che sia sempre così. Qualora, infatti, si volesse che tutti debbano assumersi le proprie responsabilità, l’opposizione di sinistra dovrebbe prendere atto che le criticità del Paese rivengono dai periodi delle politiche consociative in cui si utilizzava la spesa pubblica come diversivo alle regole ed alle scelte di mercato. E qualche grossa responsabilità la sinistra ce l’ha!
Epifani leader del sindacato di sinistra accusa invece i leader di Cisl ed Uil di “subalternità verso le scelte dell’esecutivo". Bersani va ben oltre il ruolo legittimo dell’opposizione parlamentare: vuole mobilitare il Paese. Dalla riunione della consulta economico-finanziaria del PD emerge, infatti, la volontà del segretario di indire per il 19 giugno una mobilitazione generale contro la manovra del Governo “per un’altra politica economica”. Ed a noi piacerebbe conoscere quale e, se possibile, corredata da schemi e dati di fatto.
Vito Schepisi

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