09 febbraio 2010

La giustizia in mano ai pentiti


C’è di che essere inquieti per ciò che, coinvolgendo il partito fondato da Silvio Berlusconi, ha detto in tribunale, a Palermo, Ciancimino Junior. Ci si chiede per quanto tempo ancora la reazione della magistratura politica vorrà sottoporre a gogna giudiziaria il partito di Forza Italia che nel ‘94 ebbe l’ardire, d’un sol colpo, alla prima uscita, da Milano a Trapani, d’essere indicato dagli elettori come partito di maggioranza relativa.
Il nuovo soggetto politico nel ‘94 era sorto per sottrarre l’Italia, mentre il vecchio socialismo reale precipitava nella vergogna del suo fallimento, dalla presa già data per acquisita dei post comunisti italiani. Il partito che si ispirava alla libertà ed al buongoverno e che, in coalizione con la Lega di Bossi al nord e con Alleanza Nazionale al sud, nell’anno della “macchina da Guerra” di Occhetto, aveva sottratto il giocattolo premio, rilasciato dal pool di mani pulite, dalle mani ancora sporche di rosso per averle ripetutamente strette, senza provare ribrezzo, con cinismo e supponenza morale, a quelle macchiatesi del sangue degli oppressi nei paesi del dominio sovietico.
Sembra che non si lasci niente di intentato nell’ordito di vendetta contro Berlusconi, si prova di tutto per metterla a segno, finanche in modo trasversale, per aver questi osato contendere alle caste, alle famiglie dei salotti buoni d’Italia ed ai gruppi di potere mediatico, industriale, finanziario e burocratico, il governo del Paese. Berlusconi è reo d’aver osato abbattere il controllo autoritario che, dopo la caduta del fascismo, era stato assunto con logica spartitoria dal consociativismo partitico, sindacale, industriale e confessionale.
C’è una voglia di vendetta che si estende anche agli elettori che sostengono oggi il Pdl, dopo aver sostenuto in passato FI, attratti dalla visione moderata di un partito che ha assolto un ruolo di forza centrale nella dialettica politica italiana, per la sua interpretazione equilibrata delle istanze popolari e dei bisogni del Paese. Il 2009 ed il 2010 sono gli anni che, dopo le politiche del 2008, hanno segnato e segnano importanti appuntamenti politici, e che hanno visto e vedono una strategia d’insieme messa in campo con accanimento e violenza giudiziaria senza precedenti. Le dichiarazioni di Ciancimino a Palermo fanno un tutt’uno ben calibrato con quelle di Spatuzza a Torino. Il filo conduttore dei magistrati di Palermo sembra quello di legare Berlusconi ad un teorema, tanto assurdo quanto irreale, che lo vedrebbe ispiratore e mandante delle stragi mafiose del 1992 (due anni prima che Berlusconi entrasse in politica), nonché colluso con le attività di mafia ed interlocutore politico per i patteggiamenti della mafia con lo Stato, miranti ad ottenere salvacondotti per il controllo mafioso del territorio e per la gestione della rete di affari economici in Italia.
Un teorema assurdo che, prima che dai riscontri oggettivi, è smentito dai fatti e dall’azione parlamentare e di governo di Forza Italia, di Berlusconi, del Pdl e degli uomini che si sono assunti responsabilità politiche e amministrative nel partito di Berlusconi.
All’attacco sul versante penale si è associata nel 2009 una sentenza civile di cui sfuggono le motivazioni logiche, e la cui imponenza economica spaventa. Una sentenza di risarcimento da capogiro a danno di una azienda. Un pronunciamento, immediatamente esecutivo, di un giudice unico, le cui simpatie politiche sono emerse senza ombre di dubbio, che comporterebbe il pagamento di ben 750 milioni di Euro a favore dell’avversario storico di Berlusconi: quel Carlo de Benedetti che è l’editore dei giornali “La Repubblica” e “L’Espresso” che da anni conducono una campagna senza risparmio di inchiostro, e soprattutto senza risparmiare contenuti ed occasioni contro Berlusconi.
Se la magistratura debba parlare con le sentenze, nessuno si è mai accorto che sia mai stato così. Eravamo abituati ad ascoltare i magistrati che parlavano dappertutto: sui giornali, nelle tv, nei convegni e nei salotti d’Italia. Ora parlano anche attraverso i pentiti. C’è qualcuno che si è assunto la delega di prendere il loro posto. Ci sono i pentiti che parlano e dicono ciò che neanche i magistrati hanno osato finora dire.
La Giustizia è ora in mano ai presunti pentiti. Si consente in Italia, senza riscontri oggettivi, e con una ben orchestrata scena mediatica, in cui non mancano gli annunci e le puntate, come per le fiction tv, di gettare fango non solo sugli uomini che hanno il consenso degli elettori, ma anche sugli italiani che per rispetto dei diritti e doveri previsti dalla Costituzione, ed assolvendo ad un diritto civile di grande rilevanza sociale, aderiscono ad un partito politico. E’ troppo!
Vito Schepisi

1 commento:

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