22 febbraio 2010

L'Italia "gelatinosa"


Dicono che ci sia oggi un’Italia “gelatinosa” che si spande sull’intero territorio nazionale. Ma se è l’Italia di sempre! La stessa, altrettanto “gelatinosa”, che ha avuto illustri esempi in ogni suo settore di attività, magistratura compresa, ieri come oggi. Questa è la stessa Italia degli amici, e degli amici degli amici. E’ l’Italia di chi tiene famiglia: dal poliziotto al politico, dal funzionario al ministro, dal capo popolo al capo partito. E c’è chi ha avuto anche l’avventura di percorrere tutti questi ruoli! E’ il Paese delle diverse massonerie, ufficiali o meno, di osservanza o meno, di loggia, di circolo, di club, di casta.
Il nostro è un Paese dove nel ruolo di referenti, per distribuire gli appalti, agiscono le consorterie di partito, le cellule, le aree politico-amministrative, le cordate, le cupole, le rappresentanze sociali, le corporazioni, le cordate editoriali, i boss. Tutti con le più ramificate compiacenze.
Verrebbe da dire: avanti popolo che c’è posto per tutti, purché si abbiano i giusti peli nello stomaco.
E’ la storia di sempre, nessuna novità! E’ la storia che la magistratura, ponendosi come controparte politica, mostra di non voler superare e sconfiggere. Il malaffare è, infatti, lo strumento che serve a tenere in tensione la macchina dell’abuso, del privilegio, del ricatto e della doppia misura. E’ il contrario della buona saggezza dell’essere comprensivo con i deboli ed inflessibile con i prepotenti. Ciò che conta per alcuni è il possesso dello strumento. E’ l’uso e l’abuso del potere che intimorisce e che si abbatte. Da qui il gioco delle insinuazioni e del fango che condizionano ed indeboliscono la forza esercitata dal consenso popolare. E’ una battaglia che serve alla guerra infinita della conservazione dei privilegi e del potere. Tutto si dispiega come nelle puntate precedenti. Tutto come è accaduto con mani pulite quando, invece che il malaffare, si è voluto ribaltare il corso politico del Paese.
Di davvero libero in Italia c’è rimasto ben poco. Senza il consenso dei “padrini”, è raro poter lavorare e produrre. Lo si percepisce comunemente chiacchierando per strada, negli uffici, con i conoscenti, con gli amici. Ma, al di là dei soliti pettegolezzi e delle sussurrate dicerie, oltre ai luoghi comuni, oltre all’abitudine populista di individuare nella classe politica l’origine del malaffare, spesso non si percepisce la dimensione di un “grande fratello” che controlla, che regola e che condiziona. C’è chi non vuole o non riesce a comprendere il sistema delle cupole a presidio del controllo sistematico del territorio, finalizzato al consenso politico e la rete della gestione funzionale nei diversi settori dei servizi di pubblica utilità, dalla sanità ai lavori pubblici, dallo smaltimento dei rifiuti ai trasporti, etc. Ma capita anche che la magistratura che individua il sistema viene intimidita e viene spinta al silenzio, com’è accaduto in Puglia.
Non è un caso che dappertutto, al sud come al nord, intercettando gli imprenditori ed i responsabili delle imprese che si aggiudicano gli appalti, siano spuntati i riferimenti ai personaggi delle istituzioni, funzionali o politici che siano, come gli “agevolatori” politici o burocratici.
Dove non c’è la rete “gelatinosa” della politica, dei faccendieri e dei comis di Stato, c’è la criminalità organizzata, ma non è difficile che si verifichi che ci siano sia l’una che l’altra insieme.
In tutti i campi da quello tecnico a quello politico, da quello economico a quello editoriale ed industriale, le cordate dei gruppi di pressione privi di scrupoli non sono soltanto il parto fantasioso ed ideologico dell’antipolitica pregiudiziale. Non sono sempre le fantasie goliardiche e viscerali dei soliti grillini strafottenti, frustrati e privi di lucide proposte politiche. C’è in Italia un magma incandescente che erutta e travolge tutto. Una forza malvagia che si serve anche delle tragedie e del dolore del Paese per trarne profitto. E’ un magma che erutta dai crateri che covano nel cinismo malvagio di amministrazioni, di segreterie politiche, di cooperative, di aziende, di pacchetti azionari, di cordate editoriali, di dirigenti e funzionari del pubblico impiego. In tutti coloro che, a vario titolo, e con differenti obiettivi, intrecciano i loro interessi particolari, singoli o collettivi, col sistema funzionale del Paese. C’è una fauna composta da una razza di feroci sciacalli umani affamati di lusso e di successo. Li vediamo in tv, in Parlamento, sui giornali o nascosti all’ombra dei loro padrini.
L’organizzazione verticistica di controllo e di smistamento degli appalti è trasversale per territorio, per collocazione politica e per classi sociali, ma appare quasi sempre legata ad un’ossatura più complessa del sistema di gestione delle opere pubbliche. Non sempre, però, il marcio parte dalla testa, l’infezione si sviluppa anche nel corpo. E’un male endemico che non si riesce a curare perché vengono ineluttabilmente posti ostacoli alle disinfestazioni necessarie a sconfiggerne la diffusione.
Il marcio in Italia è in un sistema che è stato realizzato perché riuscisse ad imbrigliare e condizionare ogni cosa. Perché si trasformasse in potere. E’ risaputo che la mafia cerca sempre di annidarsi nelle strutture e nella macchina funzionale dello Stato. Sempre da lì parte l’attacco alla politica, al suo coinvolgimento ed al suo condizionamento. Senza l’attività grigia e vischiosa di quella massa gelatinosa in cui si muove la burocrazia pubblica, la mafia perderebbe definitivamente la sua partita. Alla mafia serve, infatti, il controllo della burocrazia che freni, che acceleri, che blocchi, che condizioni, che smisti e che appalti i lavori: senza questo potere sarebbe molto più vulnerabile.
Vito Schepisi

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