Lo statalismo e la burocrazia snaturano lo spirito di competizione, mortificano il merito e sottraggono le risorse da destinare ai servizi e alla perequazione sociale.
Chi pensa in Italia, e lo fa fuori dal sistema partitocratico, non ha difficoltà a individuare nell’oppressione burocratica i limiti alla crescita.
Il sistema dei controlli preventivi e quello delle istanze per autorizzazioni e licenze paralizza, infatti, ogni buona volontà.
Il sistema sanzionatorio, usato spesso - anche se indirettamente - contro il lavoro, per la sua potenzialità di mettere in pericolo la continuità operativa delle imprese, è diventato un ostacolo agli investimenti e alla nascita delle attività produttive. E’ diventato uno strumento punitivo, dagli esiti incerti per la presenza di un sistema giudiziario costoso e inefficiente: un vero pericolo per chi rischia e intraprende.
Il taglio dei posti di lavoro non può essere la conseguenza dell’inosservanza di una procedura, né il mancato pagamento di un tributo. E non è possibile che l’impresa debba sopportare i tempi autorizzativi degli apparati amministrativi preposti.
La burocrazia è già grigia e insensibile per proprio conto, ma, se usata, può diventare uno strumento del potere politico. Riconduce al sistema della corruzione e del controllo delle libertà individuali.
L’alternativa alla “inconcludenza” della politica, come paventa il Presidente Napolitano, è ritrovare lo spirito della “Rivoluzione liberale”. E se il Capo dello Stato si riferiva alle “Riforme”, c’è da osservare che senza impresa e lavoro vengono meno anche le motivazioni costituzionali di una comunità nazionale.
Bisogna far ripartire la nostra economia ad ogni costo.
Se c’è un merito da attribuire al centrodestra è quello d’aver proposto per venti anni l’unica ricetta possibile per far ripartire le nostre Città, le nostre Regioni e l’intera Nazione. La "Rivoluzione Liberale" annunciata da Berlusconi nel 1994 si poneva l'obiettivo di spronare le risorse d’idee, d’ingegno e di iniziative per cambiare l'Italia. Lo si ripete da tempo: è l’Italia che deve essere cambiata.
Di liberalizzazioni se ne è parlato da sempre, ma è dal 1994 che si sono create le condizioni politiche per parlarne. E' da quella data che si è posto l'obiettivo di far ripartire il Paese. Le precedenti politiche consociative e assistenziali, invece, non l’avevano mai consentito.
Le liberalizzazioni, però, non sono quelle che servono a introdurre nuove lobby e nuovo controllo politico. Non sono né quelle di Bersani e né quelle di Monti. Sono quelle in cui non si tolgono diritti ma se ne aggiungono altri. Ma è anche dal 1994 che la reazione conservatrice dei burocrati, sodale con la parte politica più populista e immaginifica del Paese, inseguendo i miti di una mal interpretata uguaglianza sociale, o rappresentando conseguenze dagli effetti disastrosi ha impedito che si cambiasse.
La crisi che nei due anni più recenti ha fatto seguito all'indotto recessivo di quelle esasperate politiche finanziarie internazionali - cavalcate dalle lobby speculative - hanno invece messo a nudo la debolezza di un sistema eccessivamente rigido.
Non è possibile frenare più di tanto - anche se ve ne fosse la volontà in sede europea - l'attività speculativa delle multinazionali finanziarie che, per realizzare utili a beneficio della loro esigente clientela, speculano sulle economie più deboli (indebitate), sottraendo le residue energie e riducendo la vitalità produttiva dei Paesi.
Siamo alla strategia delineata nel 1992 a bordo della nave Britannia in cui "si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane“(R. Brunetta).
L’idea di "burocrazia amica" si muove su percorsi di libertà: l’obiettivo deve essere quello di trovare la sintesi politico-amministrativa tra civiltà sociale e libertà economica in cui far maturare lo sviluppo produttivo, il lavoro e gli uomini liberi.
La vitalità economica è l’unico ostacolo capace di frenare la speculazione e di scongiurare disegni monopolistici multinazionali.
“La via del declino – come si legge nella presentazione di Stefania Fuscagni, Presidente di Società Libera, dell’XI Rapporto sulle liberalizzazioni - si vince e s’inverte se sapremo trovare la giusta formula tra concorrenza, liberalizzazioni, rispetto delle regole e prima ancora delle persone".
Vito Schepisi
Chi pensa in Italia, e lo fa fuori dal sistema partitocratico, non ha difficoltà a individuare nell’oppressione burocratica i limiti alla crescita.
Il sistema dei controlli preventivi e quello delle istanze per autorizzazioni e licenze paralizza, infatti, ogni buona volontà.
Il sistema sanzionatorio, usato spesso - anche se indirettamente - contro il lavoro, per la sua potenzialità di mettere in pericolo la continuità operativa delle imprese, è diventato un ostacolo agli investimenti e alla nascita delle attività produttive. E’ diventato uno strumento punitivo, dagli esiti incerti per la presenza di un sistema giudiziario costoso e inefficiente: un vero pericolo per chi rischia e intraprende.
Il taglio dei posti di lavoro non può essere la conseguenza dell’inosservanza di una procedura, né il mancato pagamento di un tributo. E non è possibile che l’impresa debba sopportare i tempi autorizzativi degli apparati amministrativi preposti.
La burocrazia è già grigia e insensibile per proprio conto, ma, se usata, può diventare uno strumento del potere politico. Riconduce al sistema della corruzione e del controllo delle libertà individuali.
L’alternativa alla “inconcludenza” della politica, come paventa il Presidente Napolitano, è ritrovare lo spirito della “Rivoluzione liberale”. E se il Capo dello Stato si riferiva alle “Riforme”, c’è da osservare che senza impresa e lavoro vengono meno anche le motivazioni costituzionali di una comunità nazionale.
Bisogna far ripartire la nostra economia ad ogni costo.
Se c’è un merito da attribuire al centrodestra è quello d’aver proposto per venti anni l’unica ricetta possibile per far ripartire le nostre Città, le nostre Regioni e l’intera Nazione. La "Rivoluzione Liberale" annunciata da Berlusconi nel 1994 si poneva l'obiettivo di spronare le risorse d’idee, d’ingegno e di iniziative per cambiare l'Italia. Lo si ripete da tempo: è l’Italia che deve essere cambiata.
Di liberalizzazioni se ne è parlato da sempre, ma è dal 1994 che si sono create le condizioni politiche per parlarne. E' da quella data che si è posto l'obiettivo di far ripartire il Paese. Le precedenti politiche consociative e assistenziali, invece, non l’avevano mai consentito.
Le liberalizzazioni, però, non sono quelle che servono a introdurre nuove lobby e nuovo controllo politico. Non sono né quelle di Bersani e né quelle di Monti. Sono quelle in cui non si tolgono diritti ma se ne aggiungono altri. Ma è anche dal 1994 che la reazione conservatrice dei burocrati, sodale con la parte politica più populista e immaginifica del Paese, inseguendo i miti di una mal interpretata uguaglianza sociale, o rappresentando conseguenze dagli effetti disastrosi ha impedito che si cambiasse.
La crisi che nei due anni più recenti ha fatto seguito all'indotto recessivo di quelle esasperate politiche finanziarie internazionali - cavalcate dalle lobby speculative - hanno invece messo a nudo la debolezza di un sistema eccessivamente rigido.
Non è possibile frenare più di tanto - anche se ve ne fosse la volontà in sede europea - l'attività speculativa delle multinazionali finanziarie che, per realizzare utili a beneficio della loro esigente clientela, speculano sulle economie più deboli (indebitate), sottraendo le residue energie e riducendo la vitalità produttiva dei Paesi.
Siamo alla strategia delineata nel 1992 a bordo della nave Britannia in cui "si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane“(R. Brunetta).
L’idea di "burocrazia amica" si muove su percorsi di libertà: l’obiettivo deve essere quello di trovare la sintesi politico-amministrativa tra civiltà sociale e libertà economica in cui far maturare lo sviluppo produttivo, il lavoro e gli uomini liberi.
La vitalità economica è l’unico ostacolo capace di frenare la speculazione e di scongiurare disegni monopolistici multinazionali.
“La via del declino – come si legge nella presentazione di Stefania Fuscagni, Presidente di Società Libera, dell’XI Rapporto sulle liberalizzazioni - si vince e s’inverte se sapremo trovare la giusta formula tra concorrenza, liberalizzazioni, rispetto delle regole e prima ancora delle persone".
Vito Schepisi
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