26 marzo 2013

Gli impresentabili


Si può essere impresentabili per tante ragioni.  C’è chi lo è per pregiudizio, cioè per quella cattiva abitudine che ha chi presume d’essere migliore degli altri.
E, di solito, il pregiudizio non porta niente di buono.
C’è chi è impresentabile perché è fuori dalla cerchia di quella casta che controlla i media e la finanza e non appartiene a quella congrega d’individui, già abituali frequentatori dei salotti buoni dell’alta borghesia italiana, che rientra, invece, nel cerchio magico del pensiero politicamente corretto.
E’ impresentabile chi non è radical-chic e chi è fuori da quell’aristocrazia intellettuale che antepone il pensiero unico al pluralismo e che interpreta la democrazia come un cortile chiuso, frequentato solo da persone ben formate e soprattutto ossequiose verso i possessori delle quote azionarie dell’unico pensiero ritenuto possibile. 

Democrazia zero. Spocchia tanta.
C’è chi, invece, è impresentabile perché pensa, e lo dice, che l’Italia sia un paese d’ipocriti, nella cui classe dirigente abbondano più i difetti, che le virtù.
Contro gli impresentabili l’ipocrisia gioca la sua carta migliore. I difetti e le virtù, infatti, non sono sempre attribuiti in modo uguale per tutti, ma subiscono variazioni da soggetto a soggetto. Gli avversari politici diventano, così, impresentabili per definizione, come se ci fosse un principio antropologico per cui non possa essere altrimenti, ed i difetti sono appiccicati addosso come etichette.
E’ strano, però, che per costoro tutti i difetti appartengano ai nemici e le virtù, invece, agli amici.  Chi ha l’etichetta di “impresentabile” entra in Wikipedia, enciclopedia fai da te, e i curricula di impresentabilità si estendono senza alcuna contenzione.
Il metodo ha trovato adepti. Per alcuni sarebbe la nuova democrazia. Poi ci si meraviglia se spunta qualche dittatorello che, più avvezzo alle platee poco raffinate dell’avanspettacolo, sale in cattedra e grida contro tutti, e alzando la voce chiede il 100% di tutto. 

E poi ci si lamenta se il dittatorello, con al seguito un guru, rifiuta il confronto, dice di voler spazzare i partiti e riduce il metodo delle scelte politiche alle invettive sul suo blog  - in cui ogni clic fa scattare un guadagno - in cui si sbizzarriscono moltissimi esaltati e frustrati, tutti rigorosamente allineati e pronti a bloccare ed insultare chi la pensa in modo diverso.
Se l’Italia con le sue istituzioni consente che la televisione di Stato, pagata con i soldi dei contribuenti, discrimini ciò tra chi è sotto il controllo del cerchio magico del “politicamente corretto” e chi non lo è, ad esempio la sovranità popolare, consentendo che sia calpestata e definita impresentabile quella parte che non è gradita alla casta, è facile darsi spiegazioni sulle difficoltà del Paese e sul pericolo di svolta reazionaria dopo solo 65 anni di democrazia.
O si pensa che sia sufficiente difendere in modo retorico la Costituzione, ritenendola un valore eterno da preservare nella sua assoluta integrità, per esorcizzare l’orrore dell’intolleranza e della violenza?
Si ha l’impressione che tutto ciò che è calunnia, denigrazione e offesa, tutto ciò che è pregiudizio, anche se privo di ragionate argomentazioni, se serve allo scopo di respingere idee e di trovare soluzioni, per lasciare tutto come prima, per i nuovi filosofi dell’impresentabilità diventi legittimo e necessario.
Il PM Ingroia ha associato chi sostiene il Pdl alla mafia e Lucia Annunziata ha definito impresentabili gli uomini del Pdl. Non sarebbero impresentabili, invece, quelli che indossando la toga fanno politica o quelli che a spese degli italiani, pontificano in tv, spacciandosi per giornalisti democratici, invece che servi di regime, o per artisti raffinati e geniali, invece che per guitti parcellizzati a prestazione e usati come armi improprie. 

Gira e rigira sono sempre gli stessi. E sono quelli che pensano che le virtù appartengano a quella parte politica che li riempie di soldi. 
Nei regimi è così!
Vito Schepisi

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