13 febbraio 2012

la soluzione è nella democrazia


La soluzione è nella democrazia. Non ci si può più nascondere. I cittadini oramai sanno bene con chi hanno a che fare. I partiti tutti insieme, nessuno escluso, sono la casta e siccome in termini teorici non amministrerebbero alcuno strumento di persuasione economica - vera leva del dominio - si servono di altre corporazioni che agiscono compiacenti, ricevendo dall’organizzazione partitocratica una distribuzione di poteri che, per cooptazione, sono esercitati in modo esclusivo.

L’effetto della rivoluzione mediatica, invece di portare trasparenza, diffondendo le informazioni, e, invece che fungere da cassa di risonanza degli effetti distorti e corruttivi del potere, ha moltiplicato, dandone più visibilità, il sistema dei partiti, richiamando una pluralità di soggetti che hanno visto, nell’esercizio della politica e nella partitocrazia, uno spazio in cui infilarsi per trarne vantaggi. In alcuni casi, anche quello dei contratti di lavoro a più zeri, per rappresentare sui media il populismo qualunquista o, per colmo della beffa, la demonizzazione ipocrita della stessa partitocrazia alla quale devono la parcellizzazione del loro lavoro.

Dai comici che attraverso il paradosso - energia atomica del facile consenso - aizzano le folle, al sagrestano dei templi giudiziari, che mette in piega le toghe e che sbroglia le cordoniere dei pubblici ministeri, con quel cinismo beffardo degno d’un boia dell’Inquisizione.

La soluzione, non facile, è nelle regole che sono contemporaneamente garanzia di certezza e fenomeno di trasparenza. Solo col riscrivere tutto - dalla Costituzione ai regolamenti di Camera e Senato, all’organizzazione dello Stato, ai sistemi rappresentativi, alle scelte istituzionali, alla gestione di ordinamenti e funzioni, alla trasparenza dei controlli – sarà forse possibile uscire dal guado, prima di incontrare le sabbie mobili della rivolta civile.

La soluzione è così nel riscrivere tutto per il funzionamento della pubblica amministrazione, per la gestione del territorio, per il controllo tecnico-giuridico dei provvedimenti, per le regole e i controlli nelle fasi esecutive, per la giustizia amministrativa e per quella civile e penale, per gli organismi della rappresentanza popolare, per lo studio e per la ricerca, per il lavoro, per l’assistenza sanitaria, per l’uso delle risorse (idriche, energetiche, minerarie), per il sistema fiscale.

E’ da riscrivere un testo unico, inoltre, per le pensioni, laddove le modalità di accesso e di prestazioni siano uguali per tutti, senza privilegi ed arroganti distinzioni, soprattutto se destinate a chi ha avuto più fortuna degli altri, e senza ipocrite motivazioni di diversa opportunità. Non ne esistono! Chi lavora ha diritto alla pensione per la parte e per gli anni in cui ha concorso ad accantonarla, secondo i più asettici criteri statistico-matematici. Chi fa il politico, ad esempio, non lo fa su prescrizione medica. Nessuno poi è indispensabile. L’accesso alla politica deve essere libero e garantito a tutti, perché non sia inteso come un mestiere, ma come un impegno volontario che coinvolga l’onorabilità di un cittadino responsabile. Anche le funzioni di governo, inoltre, non devono aggiungere ulteriori diritti che vadano oltre la retribuzione di un lavoro svolto con competenza e responsabilità, senza alcun cumulo con compensi di altri lavori lasciati.

Si parla tanto di far uscire dal sommerso una parte dell’economia italiana, con tutto quel lavoro, che sfugge al pagamento degli oneri fiscali e previdenziali, ma dal sommerso deve uscire anche il riconoscimento giuridico di tutte quelle funzioni di rappresentanza politica e sindacale che, benché riconosciute e consolidate nella prassi, siano in contrasto con la democrazia, prima che con quanto previsto dalla Legge fondamentale dello Stato. Partiti e sindacati devono essere case di vetro. Per esserlo devono rispettare norme di trasparenza e di democrazia.

La Costituzione, inoltre, non può essere un elastico che si estende e si comprime a piacimento, com’è oggi in Italia. Non può essere funzionale a quell’apparato, racchiuso nel rapporto d’interdipendenza di corporazioni consolidate che s’intrecciano tra istituzioni, politica, burocrazia, impresa e finanza, che, con l’apporto di tutte, forma e sostiene la Casta, “monade” dell’organizzazione affaristico-mafiosa del Paese.

Se sin dal primo articolo della nostra Costituzione, si pone al centro il metodo democratico, perché esso sia alla base di ogni rapporto funzionale, economico e sociale. La prima azione per chi tiene alla Costituzione della Repubblica Italiana, nata dalla lotta all’autoritarismo, senza con questo voler comprendere la stuccosa retorica antifascista dei suoi custodi più “incredibili”, apparsi, invece, nella sostanza, persino ad essa meno fedeli, è ripristinare, appunto, la democrazia. E la democrazia, nei paesi pluralisti di tradizione occidentale, è rispetto delle scelte degli elettori, garanzie e libertà.

Il funzionamento civile del nostro sistema, il recupero della fiducia, per allontanare il pericolo dello scontro sociale, passa attraverso la rivisitazione di tutto ciò che trasforma in tecnocratico, in oligarchico, in autoreferenziale, in abusivo, cioè in casta, l’organizzazione politica e sociale dello Stato. Il popolo è stanco di essere preso in considerazione solo quando è chiamato alle urne per conferire agli eletti un mandato in bianco che il più delle volte è utilizzato per tutt’altro, compreso il tornaconto e le opportunità dei mandatari, a dispetto della volontà dei conferenti.

L’art. 67 della Costituzione, da essere a garanzia dell’autonomia dei parlamentari, per difenderli dalle pressioni di lobbies e partiti, funge da copertura a chi si mette sul mercato. C’è chi, per tutta la durata del mandato, s’impegna solo a studiare il modo per far rendere al massimo la propria condizione di eletto, senza interessarsi alle scelte degli elettori. I più pensano ad assicurarsi solo la ricandidatura e la rielezione.

La democrazia è sovranità popolare. E’ il popolo che deve scegliere. E deve farlo in sicurezza vincolando moralmente i suoi delegati. Le scelte non possono essere mortificate da interessi personali e tantomeno da quelli di apparati funzionali e burocratici dello Stato. Anche l’azione penale, ad esempio, a volte condiziona le scelte. In Italia si è anche avuta la sensazione che sia più vantaggiosa una collocazione politica, anziché un’altra, per farla franca.

Il popolo è in se democrazia. Il resto sono solo funzioni dello Stato che, perché siano giuste e democratiche, devono essere esercitate in modo uguale per tutti, senza distinzioni di niente. Il resto, in se, non è mai democrazia e, se esercitato contro i cittadini, o contro una parte di questi, il più delle volte è autoritarismo. E’ prepotenza.

Vito Schepisi

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