21 febbraio 2012

La retroguardia conservatrice sull'art.18


Quella sulla flessibilità del lavoro e sull’art.18 può essere una bella battaglia a sinistra per tentare la scalata alla leadership. In questa contesa, nessun colpo sembra del tutto proibito e i protagonisti si scaldano i muscoli.
Le premesse ci sono tutte, compresa la tentazione di Bersani di far saltare il banco del Governo, per andare a elezioni anticipate, assicurandosi la candidatura a premier, e provare a vincerle.
Il PD è al centro di una diatriba interna per questioni di gestione e di candidature. Le spaccature favoriscono candidati alternativi che Vendola, leader del Sel, contrappone con astuzia ai candidati del Partito Democratico. Dopo Genova, infatti, rischia di implodere anche Palermo, dove vi sono 3 candidati, di cui uno solo del PD, ma vicino ai “rottamatori” del sindaco di Firenze Matteo Renzi e quindi non sostenuto da Bersani. Anche qui Vendola gioca la sua carta con la candidatura alle primarie di Rita Borsellino, sorella del magistrato vittima della mafia, e Bersani, terrorizzato dal pericolo di dover subire una nuova sconfitta, com’è successo già a Napoli, a Milano e a Genova, si è precipitato a sostenerla, a dispetto così del candidato del suo partito.
Non ci sarebbe modo migliore, come nella vecchia scuola della prima repubblica, per ricompattare le diverse anime interne, che andare a elezioni anticipate, senza primarie, con la candidatura del leader del maggior partito della sinistra, a fianco dei sindacati, su battaglie di principio e chiamando i lavoratori a difendersi dalle regole rigide del mercato. Una battaglia tutta ideologica.
Chi sospinge il PD a dilaniarsi, però, più che la Cgil della Camusso, che guida il sindacato a difendere l’art. 18 sulla flessibilità in uscita, è il leader di Sinistra e Libertà, Niki Vendola. A sinistra c’è anche chi prova ad aprire il confronto sulle scelte, come deve essere in un partito democratico, per allargarsi verso le aree più moderate del Paese, per affrancare la sinistra dallo schiacciamento su posizioni visibilmente ideologiche. Si pensi al Prof. Ichino, ad esempio. C’è il tentativo nel PD di ragionare sulle cose, senza farle diventare subito battaglie di principio, ma Di Pietro, o Vendola, o tutti e due insieme, laddove possono spaccare la base del PD ci vanno giù duro per la conquista di fette di elettorato tradizionale della sinistra.
Il PD per difendersi si deve adeguare e, nei fatti, sono loro, Vendola e Di Pietro, che ne stabiliscono la linea politica.
Non è facile il compito di Bersani, pressato tra la ragione di un partito che guarda alle soluzioni, pesando le diverse opzioni, e la difesa dall’aggressione del fuoco alleato. Non riesce bene ai democratici di sinistra la copertura dei margini, pur provandoci, come sull’art.18 con Veltroni da una parte e con Fassina dall’altra. Non riesce al PD il gioco delle parti per tenere in armi, motivandola, sia la base ideologica, radicata sul “non possumus”, che quella più pragmatica che guarda al governo di domani in cui la sinistra può essere chiamata a giocare il suo ruolo.
Far fare a un Governo tecnico il lavoro difficile, appellandosi al bene del Paese in difficoltà, sarebbe la soluzione ottimale per la sinistra. Nella “flessibilità in uscita”, infatti, c’è la soluzione per rilanciare gli investimenti, per recuperare la crescita, per contenere la disoccupazione e per dare risposte di speranza ai giovani che si vogliono affacciare sul mondo del lavoro. Per un partito che ambisce a governare dal 2013 per i successivi 5 anni questa sarebbe un’ottima occasione.
E’ in errore chi, come Vendola, pone la questione dell’art.18 come una contesa tra destra e sinistra, è lui il manicheo che vorrebbe sostituire il confronto politico tra buoni e cattivi. Se fosse vera la sua semplificazione, in Europa l’unico Paese con una piattaforma sociale di sinistra sarebbe quello italiano. Pur senza l’art.18, però, non mancano le conquiste sociali altrove, e più che in Italia, e per cose più concrete rispetto alle fumosità che ispirano il Governatore pugliese. Non mancano i servizi che funzionano, e che contribuiscono a migliorare la qualità della vita dei cittadini, ed anche il rispetto dei diritti dei lavoratori, senza tanta conflittualità e con meno stress per tutti.
Quali diritti vorrebbe difendere Vendola se la disoccupazione giovanile sta diventando un dramma sociale e se si stanno perdendo posti di lavoro? Quali se non ci sono investimenti perché l’Italia è un Paese a rischio per gli investitori italiani, e tanto più per quelli stranieri? La Burocrazia, la giustizia, l’instabilità politica, i sindacati capricciosi e litigiosi, le normative che cambiano come le mode e le stagioni, infatti, fanno dell’Italia, per gli investimenti di capitali esteri, il fanalino di coda dell’Europa.
Conquiste sociali, buona politica, cultura del lavoro … Vendola conta balle, come al solito, ed utilizza le sue narrazioni monche del risultato finale. Se siamo a questo punto in Italia è perché ci sono state troppe “narrazioni” sconclusionate.
Il lavoro va creato, non piove dall’alto. Va organizzato attraverso contratti che consentano reciproci interessi, senza neanche pensare alle “semplificazioni manichee” paventate dal “poeta” pugliese. Questo suo modo di vedere e narrare le cose appartiene a una vecchia cultura politica. Soffre di anacronistiche incrostazioni ideologiche. Fa da anticamera al ritorno di un pensiero di classe. E’ retaggio di vecchio.
Non ce lo possiamo più permettere. Il novecento è archiviato, bisogna rivolgersi verso nuove conquiste sociali, senza attestarci a far barricate per difendere l’immagine di un mondo che non c’è più. Nessuno può pensare di fermarlo all’antico. Ci sono altre sfide da affrontare e altre conquiste da fare. La prima è dare una prospettiva di lavoro ai giovani. Nel passato si sono dilapidate risorse, lasciando amare eredità alle generazioni future, ora sarebbe onesto pensare soprattutto a loro, più che fare battaglie ideologiche di principio.

Vito Schepisi su l'Occidentale

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