La politica, quando si adatta a ricercare un luogo comune, su cui scaricare le responsabilità da addossare ai propri avversari, diventa banale e meschina come la disputa di una bega condominiale. L’ultima menata è quella di Fini, alla cerimonia del “Ventaglio” alla Camera, quando parlando del distacco tra i cittadini e la politica si è soffermato sul sistema elettorale, auspicando l’adozione di uno nuovo.
E’ la stessa circostanza in cui il Presidente della Camera si è soffermato sui costi della politica ed ha anticipato un piano, da qui al 2013, di risparmi nel bilancio di Montecitorio per 110 milioni di Euro. La “manovra” della Camera, però, indirettamente l’aveva già fatta il Governo con la riduzione dei vitalizi e delle pensioni, in questo caso rispettivamente per gli ex parlamentari e per gli ex dipendenti, a chi percepisce oltre i 90.000 euro, e con il blocco del turn over. Quella dell’Ufficio di Presidenza della Camera è ben poca cosa, se limitata alla disdetta dei contratti di fitto per Palazzo Marini (di là a venire alla scadenza), alla chiusura di uno dei ristoranti interni a Montecitorio e ad una sforbiciata alle spese per la comunicazione, l'informatica e l'autorimessa.
Tutte cose che … “faremo” … mentre è già operante alla Camera l’aumento del 3,2% delle retribuzioni, scattato a fine giugno per l’adeguamento alla produttività, al contrario del Senato che l’ha congelato.
Quella del Presidente della Camera sulla riforma elettorale costituisce, pertanto, benché non se ne ravveda il bisogno, solo una nuova menata al rilancio del veleno politico. Non c’è, infatti, niente di nuovo da quel fronte, neanche per fare futuro, mentre ci sarebbe da osservare che non è la legge elettorale che cambia le cose.
Di sistemi elettorali ne abbiamo provati già tanti, senza modificare l’andazzo della politica e, a ben guardare, quest’ultimo sistema, benché con tante lacune, è anche migliore degli altri: ha eliminato, infatti, le preferenze che sono state un elemento di grande disturbo per la questione morale e che hanno sempre agito come moltiplicatore della corruzione. Anche l’ex assessore pugliese Tedesco era lì, e a quell’assessorato che gestiva il 75% delle risorse economiche della Regione, in ragione del peso “politico” delle sue preferenze.
Non è proprio esatto il pensiero di quanti sostengono che l’attuale sistema di preferenze-nomine adottato dai partiti finisca col togliere la facoltà di scelta degli elettori. Questi ultimi, infatti, scelgono soprattutto i programmi e ripongono la fiducia in una proposta politica. Per favorire la democrazia, perché sia rispettata la volontà degli elettori, sarebbe invece opportuno rafforzare la facoltà, per chi vince le elezioni, di portare a compimento le proposte programmatiche su cui i partiti si sono impegnati. A tal fine sarebbe cosa buona e giusta se un’eventuale nuova legge elettorale fosse inserita in una scelta complessiva di riforma dello Stato. La scelta degli uomini - che sia attraverso le primarie o i collegi uninominali (certamente da preferire perché le primarie come si è visto sono manipolabili) - sarebbe un aspetto secondario rispetto alla governabilità che è il fine essenziale da raggiungere.
Non sarebbe male, anzi sarebbe il tempo, che anche all’Italia fosse consentita una svolta di libertà di democrazia e fosse garantita, così, nella sostanza la sovranità popolare. Sarebbe ora di passare finalmente, da un sistema burocratico, controllato dai partiti e dalle caste, attraverso diversi livelli di veto, a una democrazia compiuta d’impronta moderna e liberale.
Con la Riforma dello Stato (seconda parte della Costituzione) avrebbe senso anche una riforma elettorale. Il fine dovrebbe essere quello di rendere più snello, trasparente ed efficiente tutto il sistema della rappresentanza democratica del territorio e soprattutto di rendere efficace e più diretta l’azione del governo e, infine, individuabili le responsabilità delle scelte fatte e di quelle non fatte. E’ giusto che un giudizio democratico degli elettori avvenga anche su ciò che non si fa, senza che ci siano giustificazioni legate all’agibilità procedurale delle soluzioni politiche proposte: è meglio un governo che fa male, se poi è mandato a casa per i suoi errori, che un governo che non fa.
Con una nuova legge elettorale, la facoltà di scelta (preferenze), poi, sarebbe ugualmente sottratta agli elettori dall’azione dei partiti che avrebbero comunque la facoltà di privilegiare la visibilità di chi vogliono. La reintroduzione delle preferenze rafforzerebbe piuttosto la partitocrazia, perché favorirebbe sia le frammentazioni parlamentari in gruppi di pressione politica e sia le cordate di lobby affaristiche. Chi ha più preferenze di solito impone ai partiti una maggiore visibilità nelle istituzioni, a prescindere dalle capacità personali, e soprattutto dai modi con cui le preferenze sono state ottenute. Varrebbero così più le potenzialità clientelari che le qualità morali.
Chi è onesto sempre e comunque, infatti, come si sa, non è mai simpatico a tutti.
Vito Schepisi
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