14 luglio 2011

E alla fine prevalse il buon senso

C’è voluta una pericolosa aggressione speculativa sui mercati finanziari per recuperare in Italia una parte del buonsenso perduto. La globalizzazione e la velocità delle comunicazioni oggi non concedono pause. Le economie dei paesi industriali e delle aree di grande interesse economico-monetario sono passate al microscopio e pesate sulle bilance della speculazione finanziaria.
E’ per questa ragione che le “narrazioni” di alcuni soggetti politici oggi fanno ridere. Le favole possono solo eccitare la fantasia, ma poi arriva la cruda realtà delle cose, ed è solo con questa che bisogna poi fare i conti.
In economia non c’è spazio, ad esempio, per la poesia e la fantasia vale sino a un certo punto. I costi, il welfare, la produttività, l’equilibrio dei bilanci, gli utili, le economie aziendali, l’efficienza produttiva, la concorrenza, l’elasticità dei mezzi finanziari, sono questioni che non fanno dormire la notte a chi ha sulle proprie spalle responsabilità aziendali, a chi tiene al futuro delle maestranze e delle loro famiglie e, nel caso più ampio, a chi tiene all’interesse nazionale. La fantasia in economia può servire a presentare bene un progetto aziendale e farlo adottare o per vincere un concorso di idee e acquisire commesse e lavori, ovvero per promuovere la vendita di beni e per far convogliare investimenti e finanziamenti.
Le parole d’ordine dei mercati sono stabilità politica e conti in ordine. Una maggioranza esposta ai condizionamenti delle opposizioni, e che non sia in grado di assicurare il necessario rigore sui conti, provoca turbamenti sui mercati, di solito in modo proporzionato alla sua tenuta complessiva. Più la maggioranza cede alle soluzioni demagogiche e più cresce il divario sulla fiducia del suo debito. Per uno Stato come l’Italia che ha il rapporto tra il debito pubblico ed il Pil più alto d’Europa, e secondo nel mondo industriale, la fiducia sul debito è una cosa importante. Basti pensare che lo Stato italiano, oggi, paga per gli interessi sul debito il 3% in più della vicina Germania. Questo divario si chiama fiducia. Il mercato stima la Germania più solvibile dell’Italia e per la legge della finanza, che vuole che al minor rischio corrisponda un minor rendimento, si può permettere di pagare molto meno il costo dei suoi titoli pubblici. Nel 2010 l’Italia, solo per gli interessi sulle obbligazioni rappresentative del suo debito, ha pagato oltre 70 miliardi di Euro. Un punto di differenza su 1890 miliardi di debito pubblico vale 18,9 miliardi di euro in più in un anno. Tre punti equivalgono all’intera manovra in corso.
I governi per tenere sotto controllo i conti pubblici hanno un solo mezzo: le leggi finanziarie. Le manovre di bilancio servono per assolvere gli impegni di contenimento assunti, e vanno fatte nei tempi previsti. Nessuno può fare il furbo senza pagarne le conseguenze. Truccare i conti o rimandare nel tempo gli impegni è un’esperienza che ha messo in ginocchio alcuni paesi europei. I conti in disordine non hanno scampo. Se una volta nelle città medioevali esisteva una colonna, chiamata di solito colonna infame, a cui venivano legati, ed esposti al pubblico ludibrio, i debitori, ora ci sono le agenzie di rating che assolvono lo scopo.
L’economia, come si è detto, non è una materia che impegna più di tanto la fantasia. Le fonti dei mezzi finanziari da acquisire sono, infatti, sempre le stesse: tagli alle spese, aumento della pressione fiscale e, in ultima analisi, la dismissioni di beni. Tremonti l’aveva detto già dal momento in cui si è insediato questo Governo, nel 2008: le finanziarie che si trasformavano in un assalto alla diligenza hanno fatto il loro tempo. Con il suo debito pubblico l’Italia può solo invertire il rapporto tra le entrate e le spese. Le formule magiche le hanno solo i pifferai e i maghetti delle illusioni. Ma i sogni, come si sa, si spengono sempre all’alba.
Vito Schepisi su DailyBlog

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