15 luglio 2011

Amici e compagni

Fare di questa questione un caso, è esagerato.
Come se tutto ciò che va dicendo e facendo Vendola faccia storia e abbia grande interesse.
L’uomo con l’orecchino sa solo interpretare la voglia di essere diversi di una parte d’italiani. La sua forza è tutta in un vocabolo oggi di moda: “alternativo”. Solo questo.
Il leader di Sinistra, Ecologia e Libertà riesce a eccitare la fantasia di chi è arrabbiato, di chi si sente attratto da altre esperienze, di chi odia, di chi medita le sue vendette, finanche di chi si sente orgoglioso per un suo genere “neutro”.
Vendola stuzzica la fantasia, spesso anche devastatrice, di chi non riesce a rendersi conto, e se lo fa se ne frega, che star fuori delle regole possa recare danno soprattutto alla povera gente, mortificando spesso i loro bisogni. E’ ciò che, infatti, accade in Puglia dove la disoccupazione, soprattutto giovanile, cresce, dove niente funziona bene, dove la salute è un problema più serio che altrove, dove ciò che è essenziale costa di più, perché gravato da nuovi balzelli, e dove si continua a spendere per l’effimero e per la visibilità del suo ambizioso presidente.
Le parole sono libertà, e ciascuno le usa come vuole. Anche Vendola può usare la parola “amici” e trovarsi a suo agio tra chi non si è mai posto il problema di applicarsi un’etichetta, o tra chi abbandona i distintivi di appartenenza usati per indicare con ostinazione ideologica il proprio modello sociale, come spesso è accaduto sinora. In politica, poi, le finzioni assumono sempre un valore.
Oggi, ad esempio, usato come il prezzemolo, è il richiamo ai valori etici, laddove, a destra e sinistra, di etico si trova davvero ben poco. Ciò che s’intende per etico, però, rientrerebbe in un discorso più ampio, che nessuno affronta mai fino in fondo.
La realtà è che la moralità pubblica - di quella privata non si sa che farsene - non esiste da nessuna parte. Si potrebbe parlare di percorsi di trasparenza amministrativa e di uso appropriato delle prerogative pubbliche, riferendosi a una rivoluzione sostanziale della struttura complessiva dello Stato. Si potrebbe accennare al rilancio del principale valore, rivoluzionario per definizione, attribuito alla democrazia, che è la sovranità popolare con riferimento al sacrosanto diritto del popolo di scegliere la sua classe dirigente, di sentirsi effettivamente garantito in tutti i suoi diritti e di poter contare su un sistema istituzionale e di gestione dello Stato effettivamente e indifferibilmente neutrale. In Italia, purtroppo, e si sa, non è così.
Quando, però, si sollevano alcune questioni, benché maturate nella calura estiva, accade che emergano realtà e contraddizioni inconfessate. E’ interessante, nel proposito, la lettura che Vendola dà di ciò che era diventato un obbligo di appartenenza politica quando, come il Governatore pugliese oggi sostiene, sin da bambino gli avevano insegnato che tra comunisti ci si chiama compagni e non amici.
E’ una confessione onesta, la sua, soprattutto perché non nasconde, come vedremo, il suo significato etico, prima che semantico. Ben vengano, così, le aperture a un più ampio ventaglio di opinioni e ben vengano, per essere in politica, anche i giudizi di merito.
Il bambino Vendola è nato e si è formato quando il comunismo era antioccidentale, antieuropeo, anti Nato e quando l’uomo forte del Cremlino, Breznev, sosteneva riguardo all’Italia, per essere la nostra tra le nazioni perdenti nell’ultimo conflitto mondiale, la sovranità limitata.
La sua educazione a sentirsi “compagno” si è sviluppata quando l’Unione sovietica era la guida internazionale per la lotta alla democrazia liberale e quando la lotta di classe avrebbe dovuto sovvertire lo stato borghese. E la morale sta tutta nella spiegazione successiva che Vendola oggi lealmente confessa d’aver colto, quando sostiene d’aver poi capito che il richiamo, tra comunisti, a considerarsi qualcosa di più di semplici amici “era stato un alibi per molti crimini".
C’è chi ne è stato consapevole da molto tempo prima di Vendola, e non ha avuto bisogno di travagli ideologici per mettersi alle spalle i propri errori e le proprie complicità.
Naturalmente è così per gli “amici” che non hanno mai avuto bisogno di un fine per trovarsi bene insieme. Avere idee simili o diverse non è poi un dramma esistenziale e tutto può benissimo andare avanti come prima.
Democrazia, in definitiva, è anche e soprattutto questo: è non dover essere necessariamente “compagni” o “camerati”.
Il termine “compagno”, invece, nella cultura comunista evocava (ed evoca) un obbligo maggiore. Implicava un vincolo molto simile, se non superiore, a quello della famiglia, soprattutto se riferito a una causa comune da sostenere, e certamente un significato diverso da quello che normalmente lega un gruppo di amici.
E se da un vincolo familiare rivengono convergenze di sentimenti, appare naturale che da un vincolo di finalità emergano convergenze di sentimenti ideologici, e da qui le complicità, l’omertà, il mutuo soccorso, la reciproca copertura, le giustificazioni morali, e persino l’illegalità, gli omicidi e le azioni violente e una lunga striscia in cui, in quel mondo, si è fatta prevalere la ragione del partito su quella delle coscienze degli individui.
Vito Schepisi

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