16 aprile 2010

La voce grossa dei perdenti




Se la base del Pdl è disorientata per le reiterate, ed all’apparenza pretestuose, contrapposizioni create al suo interno da Fini e dai finiani, la base del PD è confusa per la mancanza di una linea politica e per la difficoltà nell’individuare una visibile e coerente strategia riformista.
Bersani non riesce ad inventarsi un qualcosa, per contenuti, assetti e prospettive, da indicare agli elettori come alternativa democratica al Governo del Paese. Il Pd perde, così, voti ed eletti, e perde comuni, provincie e regioni, perché nessuno riesce ad interpretarlo, perché è ondivago, perché è contraddittorio, perché sembra una suocera acida che ce l’ha con la nuora perché le ha sottratto l’affetto esclusivo del suo “bambolotto”.
Mentre, ancora, il Presidente della Camera si sbraccia per smarcarsi dal Premier, e mentre i suoi luogotenenti fingono di ignorare che il loro “ducetto “ è la terza carica dello Stato grazie anche ai voti determinanti della Lega, checché ne pensi Bersani, il Partito Democratico sprofonda nella confusione più profonda. Il PD viene trascinato in una pozza d’acqua torbida, mestata da Prodi, alla ricerca della chiave di lettura di una incomprensibile disquisizione organizzativa sull’ipotesi di gestione federale.
Invece di darsi una precisa fisionomia e di accreditarsi come sinistra moderata e riformista, il PD, senza pace, da Veltroni in poi, rincorre ora gli effetti speciali, ora un nugolo di personaggi umorali e personalità inquietanti, ovvero insegue politiche prive di un progetto strategico, di un qualcosa di più del “far fuori”, ad ogni costo, l’avversario politico.
La proposta dell’ex premier dell’Unione di creare un partito federale, gestito, regione per regione, in modo grossomodo autonomo, contribuisce solo ad intromettere un altro fantoccio polemico alle già tante e differenti faide interne al PD. Ancora un motivo di divisione polemica tra ex Popolari ed ex DS, tra veltroniani e dalemiani, tra violacei, grillini e moderati, e tra rancorosi, vendicativi e rinnovatori. Un nuovo contributo alla già pazzesca confusione della sinistra italiana.
Se Fini si pone, così, come l’antagonista alla Lega nel suo braccio di ferro con Berlusconi, il PD di Bersani fa le prove, invece, per inseguire la Lega, guardando al nord dove, senza il partito di Bossi, non si governa né le regioni, né il Paese.
Se Fini si mette di traverso al programma del Pdl, alla convergenza sulle riforme, e quindi alla maggioranza ed a Berlusconi, Bersani, per nuovo, si riabbraccia con il redivivo ed obsoleto Prodi.
Se Fini, attrezzatosi di trapano a percussione, si appresta a perforare il buonsenso e se, con il suo trasformismo, mira ad indebolire la portata dell’ennesima vittoria elettorale del centrodestra, Bersani, di contro, fa di tutto per legittimare la sconfitta del suo partito, per confermarne la preoccupante carenza di idee, per stabilirne l’inutilità propositiva, per evidenziarne il disorientamento politico e per stabilizzare la subalternità del PD sia a Di Pietro, sia all’ambiguità delle sue frange nostalgicamente neo comuniste.
Fini e Bersani, purtroppo per loro, sono i due perdenti della recenti elezioni regionali. Lo sono un po’ per le scelte fatte, un po’, come nel caso del PD, per i condizionamenti imposti dagli alleati scelti, ma si comportano come se fossero i due vincenti.
Sia il Presidente della Camera che il leader del PD si mostrano restii a riconoscere le loro responsabilità e perseverano, piuttosto, negli errori, fingendo persino di ignorarne la portata e, trascurando il significato politico del responso delle urne, rischiano di trascinarsi nello scontro polemico anche un po’ di ciò che rimane della civiltà democratica e della cultura del confronto di questo Paese.
Sia l’uno che l’altro, con atteggiamenti e partenze diverse, finiscono, con l’ostacolare ora la semplificazione del quadro politico, ora la chiarezza delle posizioni, ora anche gli impegni presi con gli elettori. Ciò che lascia perplessi è che non possono che esserne consapevoli. In definitiva, mostrano invidia per i successi di questo Governo.
L’uno, Fini, appare come un cecchino appostato sul tetto che prende di mira chi voglia transitare sulla strada del rinnovamento del Paese. L’altro, Bersani, appare, invece, come un giocatore di poker che bara al gioco e cambia ripetutamente e maldestramente le carte sul tavolo: è come un giocatore che cerca ammiccamenti con gli altri contendenti, non per cercare di vincere a sua volta, ma per spingerli ad ostacolare l’unico che abbia l’abilità di vincere.
Fuori dalle metafore, sia l’uno che l’altro, Fini e Bersani, sono accomunati dalla stessa preoccupazione di ostacolare chi si mostra capace e vincente, e lo fanno con ogni mezzo e pretesto, anche a costo di danneggiare il Paese.
Fini, che rinfaccia a Berlusconi l’appiattimento del Pdl sulle scelte della Lega, finge di non accorgersi che è tra gli sconfitti morali della recente competizione elettorale. Il centrodestra nel complesso ha vinto le elezioni grazie all’ampio consenso degli elettori per l’azione di Governo. Di questo consenso ne ha beneficiato maggiormente la Lega che si è rafforzata nelle regioni del Nord, anche a discapito del Pdl. La confusione delle voci e dei toni all’interno del Partito di Berlusconi hanno privilegiato nelle urne il partito di Bossi. Le polemiche scatenate ad opera del Presidente della Camera, e dei suoi uomini, in particolare sui rapporti con la Lega e su alcune questioni molto avvertite al Nord, e non solo là, come l’immigrazione e la sicurezza, ad esempio, hanno, infatti, visibilmente favorito il voto alla Lega.
Fini tutto questo lo sa. Non può non saperlo!
Il Pd di Bersani, invece, sembra il partito delle “monadi”, soggetti unici ed indivisibili di una realtà immaginaria. Come nel pensiero di Liebniz si sentono sostanze diverse caratterizzate da un diverso grado di spiritualità. Da qui la voce grossa di Bersani, come se avesse vinto le elezioni. Da qui l’imprimatur sulle riforme, il giudizio di merito sul braccio di ferro e sulla possibile frattura tra Fini e Berlusconi e lo schierarsi (stranamente!) sulle ragioni del primo. Se Bersani, dal vecchio pci, ha mutuato quella sorta di superiorità morale che lo fa sentire legittimato ad esprimere giudizi di merito ed a pretendere che gli altri, benché legittimamente vincenti, si adeguino a recepirli, Fini non sembra essere da meno, e dal vecchio Msi, ha mutuato il fastidio per i metodi della democrazia.
Tra i perdenti, c’è quanto meno un filo che congiunge!
Vito Schepisi

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Vito, cosa ci dovevamo aspettare da un tipo del genere, la sua scesa politica negli ultimi anni e poco più è stata disastrosa, ma questo non può lasciare alibi a questa persona che ormai è sempre più vicino al pd, casini e forse anche a di pietro. Nella politica come tu ben ci scrivi le competizioni portano a conclusioni violente e infelici, mi ricordo al congresso tutta la sua gogliardia quando parlava che eravamo un grande partito, oggi il suo tramonto è silenzioso. anche se può portare a gravi ripercussioni per tutto il Pdl, vedremmo cosa ci riserva il tempo e se sia il caso di convocare un congresso per contarci noi e far contare quelli di AN, ciao.
Giovanni Piccirillo