27 aprile 2010

Le riforme possono cambiare la politica



Si è in una fase politica in cui tutto ciò che si dice serve solo per testimoniare la propria presenza. Provare ad interpretare le idee ed i propositi dietro le parole di uomini e gruppi, assume più il valore dell’esercitazione giornalistica che non la sintesi storica delle vicende. Prevalgono, al più, i tentativi di rendere visibili le ipotesi di distinzione anziché, al contrario, l’effettiva comunicazione delle strategie politiche.
Fughe in avanti e repentine marce indietro rafforzano la confusione e marcano le contraddizioni tra il pensiero e la storia di uomini e fazioni, come se la propria storia possa mutarsi cambiando l’abito da indossare. Cambiare idea può essere anche un atto di lealtà. Si possono sempre fare i conti con il proprio passato, ma serve la chiarezza del proprio presente e la lealtà verso chi ne ha condiviso il percorso politico.
In questo caotico correre all’avventura, la politica si trasforma in una lotta tattica di posizionamento, senza stimoli di riflessione, senza proposte e senza idee. Più simile all’arena di una competizione per vincere, ad esempio, la coppa in palio del torneo di quartiere di “chi gioca meglio a scopone”, che non lo spazio per formulare le sintesi di pensiero con cui si sviluppa, tra i partiti, il confronto democratico e si formano le ipotesi di governo e le strategie del futuro.
Maggioranze, opposizioni, fronde, primi attori, comparse e ballerini sono tutti coinvolti in questa inenarrabile lotta. E tutti sono là con la presunzione di recitare un ruolo, alcuni sognano di passare alla storia, e tutti che parlano per frasi fatte, come gli allenatori di pallone prima e dopo le partite, per schemi tattici, sostenendo animatamente più ciò che non pensano, ma che più conviene.
Si trascurano, invece, gli errori e le carenze e, nell’angoscia esistenziale della ragione politica della loro presenza, sfugge ciò che invece servirebbe: l’interesse per il Paese. Se si preoccupassero, infatti, di sfornare proposte realizzabili, o di spingere per le riforme che facciano uscire l’Italia dalla sua confusione, forse gli italiani potrebbero persino perdonare tanti abusi e difetti.
La nostra Costituzione, ad esempio, ha bisogno di essere riposizionata ai tempi. Oggi il mondo è cambiato. L’Italia ha trasferito in Europa ampi poteri: si pensi alla politica monetaria ed a quella economica e commerciale. La Commissione Europea si interessa di questioni come l’ambiente, la concorrenza o la gestione dei servizi. Ci sono vincoli per i bilanci ed il debito pubblico dei paesi della Comunità: si pensi a Maastricht. Anche il dopoguerra è lontano. Il pericolo comunista ha perso buona parte delle ragioni delle vecchie inquietudini. Di una Costituzione che si presta all’immobilismo non se ne ha più bisogno.
Dalla consapevolezza dei mutamenti occorrerebbe trarne affinità politiche ed anche costituzionali, e realizzare continuità e coerenza con la nuova realtà. Occorrerebbe adeguare e recepire alcuni principi di garanzia: si pensi, ad esempio, all’istituto dell’immunità parlamentare con cui, a seguito dell’improvvida modifica dell’art. 68 nel 1993, i parlamentari italiani, al contrario di quelli europei, sono stati lasciati alla mercé di alcuni procuratori politicizzati. Occorrerebbe trovare gli strumenti legislativi che impediscano a funzioni dello Stato d’agire in stridore tra loro ed impedire che, ad esempio, attraverso l’uso della giustizia, si possa provare a ribaltare la scelta degli elettori. Occorrerebbe, infine, dar sostanza alla volontà popolare attraverso la definizione dei poteri dell’esecutivo.
L’assente nel confronto politico sembra essere proprio l’interesse generale. Nella ricerca dei modi per vincere o per uscirne con il minor danno possibile, pensando ora al vantaggio del partito, ora alle ambizioni personali, ovvero alle rivincite, o alle vendette politiche, c’è chi perde coerenza e senso della misura.
L’Italia si è così trasformata in un laboratorio teatrale permanente, dove gli attori, consumano il loro tempo ad imparare la parte ed a fare le prove e, indossati i vestiti di scena, rappresentano, una dietro l’altra, tutte le commedie del nostro stupido provincialismo. I pericoli, come quelli della Grecia, ad esempio, non spaventano. Per fortuna che in questo marasma c’è un governo che mostra qualità ed impegno e ci sono ministri, Tremonti ad esempio, che pensa ai conti del Paese, a governare la crisi, a tamponare le questioni sociali, a contenere la rincorsa alla spesa. Non basta, però, solo l’azione positiva del Governo per recuperare spazio alla fiducia e trasformare in opportunità le potenzialità del Paese, occorrono anche stabilità, determinazione e trasparenza e, in una parola, le riforme.
Vito Schepisi

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