Soffermarsi sulla differenza che c’è tra una società multiculturale ed una realtà multietnica può essere un esercizio di grande interesse, non soltanto per comprendere le ragioni per le quali sia sempre opportuno fare una scelta di civiltà, ma anche per scoprire i tentativi di confondere le vere dimensioni delle questioni e le strumentalizzazioni che se ne fanno.
La cultura è di per se un ventaglio di tante espressioni. Riflette la molteplicità delle sensazioni, i gusti e le diverse emozioni. La cultura è fantasia, storia, pensiero, arte e poesia e si diffonde attraverso la conoscenza, la formazione, i luoghi, le terre e la storia. E’ l’amore per la ragione, il narcisismo della ricerca di una traccia da lasciare alle generazioni future, è il riporto della riflessione sui modi del tempo, è il piacere di esprimersi, è la tracciabilità di un insieme di fatti, di circostanze, e di sentimenti degli uomini. La cultura è un moto perpetuo di opinioni, riflessioni, arricchimenti e ricerche, dove solo voler parlare d’orientamento univoco è di per se un ostacolo alla crescita ed alla comprensione.
Come fa una società civile, forgiata da esperienze di scienza, di religione, d’arte, pensiero e letteratura a non doversi, necessariamente, definire d’orientamento multiculturale? Come si farebbe a rifiutare il confronto solo per diverse provenienze, o solo per un modo diverso di sentire la propria spiritualità? E’ così ozioso usare il termine multiculturale come arma d’offesa o di divisione politica! Usarlo come motivo di discrimine non ha affatto senso!
Multiculturale è una parola che è usata spesso a sproposito e che serve solo a dar sostanza ad un vizio costante di ricercare motivazioni antropologiche di contrapposizione nel confronto delle opinioni. Un liberale, un socialista, un popolare vivono le stesse realtà quotidiane. Hanno avuto, spesso, gli stessi percorsi formativi e nascono anche dalle stesse famiglie. E’ l’identica presunzione della ventilata superiorità culturale della sinistra, laddove per cultura si fa la somma dei titoli di studio, dei premi letterari e dei ruoli ricoperti nelle caste.
Accade in Italia che siano poste queste differenze “antropologiche” nei giudizi sulle cose, come accade che dinanzi ad un delitto efferato se ne voglia trarre un motivo di discriminazione (clima razzista, nazista), ovvero lo si voglia comprendere in un atto provocato da una pretesa responsabilità altrui, come per una degradata condizione sociale e/o umana.
Ci sono modi nel confronto politico che emergono ripetutamente e che lasciano perplessi e sono sostanzialmente idioti.
Diverso, invece, è parlare di società multietnica. Ogni società occidentale oggi è in parte multietnica, perché in quasi tutti i Paesi dell’occidente esistono comunità provenienti da diverse parti del mondo. Il problema è nel significato che si vuole attribuire al termine o ancor più nell’implicazione di un ipotetico obiettivo diverso. Alcuni sottendono il proposito della trasformazione del modello sociale che è riferimento preciso di una cultura di provenienza. Niente più e niente meno, in sostanza, del disegno d’uomini come Ahdaminejad che si votano alla missione della trasformazione in caos della società occidentale infedele, corrotta e dominata da satana.
La trasformazione richiesta, in multietnica, se fa presupporre che sia necessario modificare gli usi e le tradizioni del Paese, è qualcosa di diverso dalla necessaria comprensione per gli usi e le tradizioni differenti di uomini che vengono da terre diverse. Nessuna volontà di assimilare o vietare, purché si stabilisca che le nostre città rimangano le stesse comunità urbane che si sono andate a formare nei secoli, e forse nei millenni, intorno a valori fondanti che ne hanno costituito il nucleo di origine.
Se per multietnico, invece, si voglia modificare l’insieme delle ragioni che uniscono le comunità urbane, allora sì che cambiano le cose. Per induzione è facile ritenere che nessuna comunità italiana sia disposta a modificare le fondamenta della sua civiltà e, sempre per induzione si pensa che neanche gli immigrati, che già hanno difficoltà ad integrarsi con i costumi e la nostra civiltà emancipata, ritengono possibile, qualora lo si imponesse, di dover modificare il proprio costume di vita ed il proprio modo di pensare. Non è peccaminoso immaginare di voler continuare a vivere in una società che resti integralmente italiana, in cui gli immigrati siano rispettati perchè rispettano i nostri valori e le nostre leggi.
Vito Schepisi
La cultura è di per se un ventaglio di tante espressioni. Riflette la molteplicità delle sensazioni, i gusti e le diverse emozioni. La cultura è fantasia, storia, pensiero, arte e poesia e si diffonde attraverso la conoscenza, la formazione, i luoghi, le terre e la storia. E’ l’amore per la ragione, il narcisismo della ricerca di una traccia da lasciare alle generazioni future, è il riporto della riflessione sui modi del tempo, è il piacere di esprimersi, è la tracciabilità di un insieme di fatti, di circostanze, e di sentimenti degli uomini. La cultura è un moto perpetuo di opinioni, riflessioni, arricchimenti e ricerche, dove solo voler parlare d’orientamento univoco è di per se un ostacolo alla crescita ed alla comprensione.
Come fa una società civile, forgiata da esperienze di scienza, di religione, d’arte, pensiero e letteratura a non doversi, necessariamente, definire d’orientamento multiculturale? Come si farebbe a rifiutare il confronto solo per diverse provenienze, o solo per un modo diverso di sentire la propria spiritualità? E’ così ozioso usare il termine multiculturale come arma d’offesa o di divisione politica! Usarlo come motivo di discrimine non ha affatto senso!
Multiculturale è una parola che è usata spesso a sproposito e che serve solo a dar sostanza ad un vizio costante di ricercare motivazioni antropologiche di contrapposizione nel confronto delle opinioni. Un liberale, un socialista, un popolare vivono le stesse realtà quotidiane. Hanno avuto, spesso, gli stessi percorsi formativi e nascono anche dalle stesse famiglie. E’ l’identica presunzione della ventilata superiorità culturale della sinistra, laddove per cultura si fa la somma dei titoli di studio, dei premi letterari e dei ruoli ricoperti nelle caste.
Accade in Italia che siano poste queste differenze “antropologiche” nei giudizi sulle cose, come accade che dinanzi ad un delitto efferato se ne voglia trarre un motivo di discriminazione (clima razzista, nazista), ovvero lo si voglia comprendere in un atto provocato da una pretesa responsabilità altrui, come per una degradata condizione sociale e/o umana.
Ci sono modi nel confronto politico che emergono ripetutamente e che lasciano perplessi e sono sostanzialmente idioti.
Diverso, invece, è parlare di società multietnica. Ogni società occidentale oggi è in parte multietnica, perché in quasi tutti i Paesi dell’occidente esistono comunità provenienti da diverse parti del mondo. Il problema è nel significato che si vuole attribuire al termine o ancor più nell’implicazione di un ipotetico obiettivo diverso. Alcuni sottendono il proposito della trasformazione del modello sociale che è riferimento preciso di una cultura di provenienza. Niente più e niente meno, in sostanza, del disegno d’uomini come Ahdaminejad che si votano alla missione della trasformazione in caos della società occidentale infedele, corrotta e dominata da satana.
La trasformazione richiesta, in multietnica, se fa presupporre che sia necessario modificare gli usi e le tradizioni del Paese, è qualcosa di diverso dalla necessaria comprensione per gli usi e le tradizioni differenti di uomini che vengono da terre diverse. Nessuna volontà di assimilare o vietare, purché si stabilisca che le nostre città rimangano le stesse comunità urbane che si sono andate a formare nei secoli, e forse nei millenni, intorno a valori fondanti che ne hanno costituito il nucleo di origine.
Se per multietnico, invece, si voglia modificare l’insieme delle ragioni che uniscono le comunità urbane, allora sì che cambiano le cose. Per induzione è facile ritenere che nessuna comunità italiana sia disposta a modificare le fondamenta della sua civiltà e, sempre per induzione si pensa che neanche gli immigrati, che già hanno difficoltà ad integrarsi con i costumi e la nostra civiltà emancipata, ritengono possibile, qualora lo si imponesse, di dover modificare il proprio costume di vita ed il proprio modo di pensare. Non è peccaminoso immaginare di voler continuare a vivere in una società che resti integralmente italiana, in cui gli immigrati siano rispettati perchè rispettano i nostri valori e le nostre leggi.
5 commenti:
Caro vito,
hai fatto un'analisi interessante. Non credo però che berlusconi abbia usato quelle parole tenendo ben presenti i molteplici significati e implicazioni che esse richiamano. Credo che abbia usato la parola multietnico in un senso, direi, un po' più terra terra. Credo che volesse rivolgersi a quell'elettorato "terra terra" della lega per rassicurarlo e per fare un "regalino" agli esponenti politici di quel partito. Credo che ti sia affinato troppo, berlusconi è molto più...terreno (non voglio dire terra terra) quando parla di politica. Mai sentito un discorso da intellettuale (anche perchè per fare un discorso intellettuale si deve pur essere un intellettuale, quale berlusconi non è. Lui si è sempre occupato di denaro).
Saluti.
Caro Dario ...comunque l'abbia espresso il termine "multietnico" l'importante è che il significato sia stato chiaro. Il significato è in ciò che gli italiani vorrebbero: un Paese ospitale ma con le sue regole e le sue tradizioni e la volontà di mantenere sia le une che le altre. Ciao! Vito
a quando i lager per gli extracomunitari? come al solito va a sensazioni! immagini la situazione, in mare aperto, un barcone che non affonda per miracolo, affollato all'inverosimile di gente, donne, bambini, uomini; il comandante dell'imbarcazione militare italiana, con il megafono dice: "chi di voi ha un documento che dimostri di essere un perseguitato politico?"
schepisi, ma vaffa.....!!!!
se questo non è razzismo!!!
molto intiresno, grazie
quello che stavo cercando, grazie
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