Un congresso di partito si consuma, per tradizione, tra auto-celebrazioni, richiami emotivi ed indicazioni di gestione e di programmi. Per un partito di governo coincidono, per logica, con le iniziative legislative e con la rotta da tenere sugli obiettivi da raggiungere. Si consuma anche nella lotta interna alla ricerca di spazi di comando e di ruoli di visibilità nella gestione: aspetto in cui emerge spesso la degenerazione partitocratrica e la natura mestierante del personale della politica. Nel Pdl è venuto meno questo risvolto discutibile che passa anche per pluralismo e democrazia interna. Si è scelto di affidare gli incarichi a tavolino, per garantire a tutte le componenti spazio ed adeguata visibilità. E’ un metodo che è stato adottato anche con la costituzione del PD. Tutte le componenti sono state rappresentate equamente nell’intento della convergenza e dell’unità organizzativa. Ed in un Congresso costitutivo di fusione tra più partiti non poteva che essere così.
Chi si aspettava qualcosa di diverso alla Fiera di Roma, per il metodo, non è affatto in buona fede. Le proposte si possono criticare, si può discutere su ciò che è stato detto o fatto, ma sostenere che sia stato un congresso auto-celebrativo, scontato, privo di pathos e di grandi ispirazioni è solo pretestuoso e serve solo a confermare il reiterato pregiudizio della sinistra in Italia. Il Congresso del PD di Veltroni era stato salutato, infatti, con diversa attenzione dall’opposizione, soprattutto per l’inizio di una diversa stagione del confronto politico. E’ quasi palpabile la cultura profondamente diversa per il rispetto e per la tolleranza con la sinistra italiana.
Il Pdl è nato nella tradizione comune di tutti i soggetti politici, con un discorso di apertura di Berlusconi sul chi siamo, da dove veniamo e per cosa ci siamo trovati. Si è poi animato un dibattito dai toni differenti sulle iniziative, si sono sottolineate aperture sui temi più affini ai personaggi che via, via si sono succeduti sul palco. Sono stati affrontati tutti, o quasi, gli argomenti dell’attualità politica. Le differenti espressioni, pur se composte, com’è nella natura di una forza di centralità liberale, democratica ed interclassista di tradizione europea, si sono mostrate articolate in spinte verso tutte le sensibilità democratiche. Il partito del Popolo della Libertà ha mostrato d’essere la sintesi di una vasta fascia popolare con attenzioni differenti, ma con consistenti valori comuni.
Il bipolarismo è un valore che sta prendendo strada nella volontà del Paese. L’aspetto più peculiare è nel far sviluppare, finalmente, un vero confronto democratico tra le due grandi forze di estrazione popolare. Questo processo passa attraverso la capacità di far sintesi all’interno. Le forze politiche contendenti devono, per una democrazia compiuta, poter rappresentare una base riconoscibile di valori condivisi. I contenuti dell’azione e delle proposte politiche devono essere il risultato di un dibattito interno in cui, se è il caso, ognuno debba rinunciare a qualcosa o debba adeguarsi a cogliere il giusto equilibrio, tra le scelte, che non mortifichi le aspettative degli altri: questo è tra i principi del liberalismo ideale e politico.
Il Congresso si è concluso con un discorso per obiettivi, con l’indicazione di un’attività propulsiva verso le riforme e la modifica dell’organizzazione dello Stato. È stato ribadito l’impegno, per responsabilità di governo, a supportare tutte le possibili misure per fronteggiare la crisi: sostenere l’economia, difendere l’occupazione e promuovere lo sviluppo, senza lasciar indietro nessuno.
L’iniziativa per la riforma dello Stato e della seconda parte della Costituzione non sono un capriccio di Berlusconi: fanno parte di una reiterata iniziativa parlamentare. Sono passati 26 anni dall’istituzione della bicamerale del 1983, presieduta dal liberale Aldo Bozzi e vanificata con la caduta della legislatura. Ci ha provato D’Alema, con quella del 1997, naufragata nella furbizia di voler cautelare la casta dei magistrati. Anche la Riforma approvata in doppia lettura dal Parlamento nel 2005, dopo l’insediamento di Prodi nel 2006 e gli appelli apocalittici di un ex Presidente della Repubblica (con altro da dover spiegare agli italiani) – si parlò di divisione dell’Italia - è stata respinta dal referendum del 2006. Tra il 2007 ed il 2008 c’è stata la bozza Violante, quella che Veltroni voleva discutere in alternativa allo svolgimento delle elezioni politiche. Ora Franceschini sostiene che ci sia da pensare alla crisi economica! La Riforma è invece inderogabile perché non c’è un Berlusconi che vuole maggiori poteri per se, ma è l’Italia che deve dotarsi di strumenti più rapidi per uscire dall’immobilismo “per un Governo che governi ed un Parlamento che controlli”.
Chi si aspettava qualcosa di diverso alla Fiera di Roma, per il metodo, non è affatto in buona fede. Le proposte si possono criticare, si può discutere su ciò che è stato detto o fatto, ma sostenere che sia stato un congresso auto-celebrativo, scontato, privo di pathos e di grandi ispirazioni è solo pretestuoso e serve solo a confermare il reiterato pregiudizio della sinistra in Italia. Il Congresso del PD di Veltroni era stato salutato, infatti, con diversa attenzione dall’opposizione, soprattutto per l’inizio di una diversa stagione del confronto politico. E’ quasi palpabile la cultura profondamente diversa per il rispetto e per la tolleranza con la sinistra italiana.
Il Pdl è nato nella tradizione comune di tutti i soggetti politici, con un discorso di apertura di Berlusconi sul chi siamo, da dove veniamo e per cosa ci siamo trovati. Si è poi animato un dibattito dai toni differenti sulle iniziative, si sono sottolineate aperture sui temi più affini ai personaggi che via, via si sono succeduti sul palco. Sono stati affrontati tutti, o quasi, gli argomenti dell’attualità politica. Le differenti espressioni, pur se composte, com’è nella natura di una forza di centralità liberale, democratica ed interclassista di tradizione europea, si sono mostrate articolate in spinte verso tutte le sensibilità democratiche. Il partito del Popolo della Libertà ha mostrato d’essere la sintesi di una vasta fascia popolare con attenzioni differenti, ma con consistenti valori comuni.
Il bipolarismo è un valore che sta prendendo strada nella volontà del Paese. L’aspetto più peculiare è nel far sviluppare, finalmente, un vero confronto democratico tra le due grandi forze di estrazione popolare. Questo processo passa attraverso la capacità di far sintesi all’interno. Le forze politiche contendenti devono, per una democrazia compiuta, poter rappresentare una base riconoscibile di valori condivisi. I contenuti dell’azione e delle proposte politiche devono essere il risultato di un dibattito interno in cui, se è il caso, ognuno debba rinunciare a qualcosa o debba adeguarsi a cogliere il giusto equilibrio, tra le scelte, che non mortifichi le aspettative degli altri: questo è tra i principi del liberalismo ideale e politico.
Il Congresso si è concluso con un discorso per obiettivi, con l’indicazione di un’attività propulsiva verso le riforme e la modifica dell’organizzazione dello Stato. È stato ribadito l’impegno, per responsabilità di governo, a supportare tutte le possibili misure per fronteggiare la crisi: sostenere l’economia, difendere l’occupazione e promuovere lo sviluppo, senza lasciar indietro nessuno.
L’iniziativa per la riforma dello Stato e della seconda parte della Costituzione non sono un capriccio di Berlusconi: fanno parte di una reiterata iniziativa parlamentare. Sono passati 26 anni dall’istituzione della bicamerale del 1983, presieduta dal liberale Aldo Bozzi e vanificata con la caduta della legislatura. Ci ha provato D’Alema, con quella del 1997, naufragata nella furbizia di voler cautelare la casta dei magistrati. Anche la Riforma approvata in doppia lettura dal Parlamento nel 2005, dopo l’insediamento di Prodi nel 2006 e gli appelli apocalittici di un ex Presidente della Repubblica (con altro da dover spiegare agli italiani) – si parlò di divisione dell’Italia - è stata respinta dal referendum del 2006. Tra il 2007 ed il 2008 c’è stata la bozza Violante, quella che Veltroni voleva discutere in alternativa allo svolgimento delle elezioni politiche. Ora Franceschini sostiene che ci sia da pensare alla crisi economica! La Riforma è invece inderogabile perché non c’è un Berlusconi che vuole maggiori poteri per se, ma è l’Italia che deve dotarsi di strumenti più rapidi per uscire dall’immobilismo “per un Governo che governi ed un Parlamento che controlli”.
Vito Schepisi
8 commenti:
Caro Vito.
E' il minino che si possa chiedere.
Cordiali saluti.
Caro schepisi,
che pensi della proposta di berlusconi di limitare il voto ai capigruppo? Visto che ciò si traduce nell'eliminazione del parlamento (che è l'organo che controlla il governo) sarei davvero curioso di conoscere il tuo pensiero al riguardo. Mi spiego meglio: i parlamentari una cosa fanno e cioè votano, se togli loro questo diritto ciò si traduce nell'eliminazione SOSTANZIALE del parlamento, no?
Saluti
Caro schepisi,
?
Saluti
Caro Vito.
Bisogna velocizzare il voto in Parlamento.
Cordiali saluti.
Fucilone,
bisogna velocizzare il voto in parlamento ma non eliminare il voto dei parmanetari. SISTEMA UNICAMERALE.
Slauti.
Caro Dario nella politica contano i fatti ...le chiacchiere un po' meno. Tra i fatti della politica ci sono le sedute parlamentari. Le scene sono usuali, sempre uguali. C'è l'Aula parlamentare che procede in maniera stanca, con i discorsi scritti nella notte precedente e declamati da oratori ...quasi sempre gli stessi. Tra maggioranza ed opposizione su 630 (più quelli esteri) deputati e 315 (più quelli esteri + quelli a vita) senatori, circa 970 parlamentari, a decidere le cose sono in non più di 20 qualche volta 25...ma non di più. Tutto il resto è scena, imboscate e spesso solo perdita di tempo. Quella di Berlusconi di lanciare una provocazione non voleva essere insofferenza contro il Parlamento ma critica ad un sistema di discussione troppo macchinoso e dispersivo. I regolamenti delle camere sono vecchi ed in diuscussione generale vanno sempre più provvedimenti già discussi nelle commissioni, magari con modifiche già concordate ma sulle quali si riapre la discussione. L'accenno di Berlusconi al voto dei capigruppo è ciò che di fatto succede perchè per ogni voto il capogruppo fa un segnale sul voto da dare e tutti (eccetto qualche volta per sbaglio o per dissenso)votano come ha indicato il capogruppo. Nessuno vorrebbe impedire la discussione e l'espressione del pensiero ma forse sarebbe opportuno snellire le procedure e questo varrebbe per tutti. Cosa serve ritardare di un giorno o due il varo di una legge? Cosa serve far lavorare male il Parlamento o metterlo nelle condizioni di non poter rispettare le scadenze di un decreto ad esempio? Sarebbe già diversa una discussione su temi di grande valenza ideale o di grandi trasformazioni sociali...ma sull'ordinario perchè non trovare il sistema di accorciare le fasi delle votazioni, magari accorpando gli articoli, salvo richieste di modifica che non siano solo ostruzionismo? Ma la provocazione di Berlusconi era riferita anche alla necessità della legge costituzionale sui poteri del premier. Negli altri Paesi, in caso di urgenza, si convoca il Parlamento ed il premier propone per l'approvazione i provvedimenti da varare ed il tutto si esaurisce, con esito positivo o negativo, in giornata.
Non mi piace che le Istituzioni non funzionino solo per astio nei confronti di chi è al Governo e che siano da riformare è riconosciuto dalle parti politiche più disparate...eccetto che da Di Pietro e da Scalfaro che non rappresentano certo la parte migliore del Paese.
caro vito,
modifica dei regolamenti parlmanetari e sistema unicamerale. Credo sia una proposta ragionevole e in grado di centrare l'obbiettivo, no? Ma lungi da me sostenere il voto soltanto per i capigruppo, sarebbe davvero troppo pericoloso. E poi col voto segreto come la mettiamo?
Saluti.
Caro Dario...mi sembra così ovvio che quella di Berlusconi sia stata una provocazione per mettere a fuoco l'impraticabilità di una politica legislativa schizofrenica. Ciao Vito
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