10 ottobre 2008

La follia finanziaria

Sulla volatilità della borsa non sono mai stati sollevati dubbi. Il mercato della azioni è sempre stato considerato un gioco d’azzardo. Passa per una linea d’investimento ma è soprattutto una forma di rischio per i capitali. In borsa non ci sono mai tutti vincitori o tutti perdenti. Se c’è chi guadagna c’è sempre chi perde, ovvero chi trasferisce la sua possibilità di guadagno o di perdita a seconda dell’andamento successivo delle azioni negoziate. Ma un tempo, se non diretto verso società decotte per altre ragioni quali le difficoltà industriali, la contrazione della domanda o la cattiva conduzione aziendale, l’investimento in borsa nel medio e lungo periodo era considerato il più remunerativo.
Fino alla prima metà degli anni ’90 si sviluppava nell’andamento dei titoli azionari un trend ciclico: era luogo comune il consiglio di comprare in presenza di mercati depressi e vendere quando i mercati registravano record di rialzo. Questo principio da manuale del piccolo azionista, sapientemente impiegato, serviva a creare equilibrio tra domanda ed offerta e rendere stabili le quotazioni. Acquistare, infatti, in presenza dei mercati in discesa blocca le perdite, e vendere quando il valore delle azioni sale, invece, impedisce che i rialzi siano al di sopra dell’effettiva qualità e valore delle società quotate.
Ma è un metodo che vale ancora? Rispondere positivamente sarebbe azzardato perché la borsa da qualche anno, invece di rispecchiare la solidità patrimoniale delle aziende, si muove di più sulla capacità di far girare i titoli azionari. La valutazione del rischio si forma in modo preponderante sulla capacità del titolo d’essere richiesto sul mercato. E’ capitato che società con enormi fatturati, con buone strutture industriali, con costosi macchinari e con migliaia di operai fossero meno capitalizzate di altre prive di strutture, con fatturati modesti e con poche centinaia di dipendenti, e solo perché coinvolte in un giro di manovre finanziarie che facevano lievitare il valore delle azioni.
Verso la fine degli anni novanta le società quotate in borsa sorgevano come i funghi nelle stagioni umide, e c’era la ressa nelle banche per acquistarne le azioni. Si registrava quasi sempre una richiesta più larga dell’offerta e puntualmente l’emissione andava al riparto. Nel primo giorno di quotazione in borsa e nei giorni successivi si sviluppava un’irrazionale corsa all’acquisto che faceva salire il valore delle azioni in modo esponenziale. Tutto avveniva in modo così irresponsabile da consentire di far arricchire pochi ed impoverirne tanti. Sul mercato, infatti, arrivavano vere e proprie scatole vuote che venivano riempite di luccicante denaro a spese di sprovveduti risparmiatori. La beffa è che costoro, sognando di interpretare nel complesso mondo della finanza la parte degli astuti speculatori, perdevano invece i risparmi accumulati in anni di lavoro.
Sul tavolo verde della fortuna, la roulette l’azionavano i furbi “capitani d’impresa” e gli “eroi” della finanza. Le società di gestione dei fondi comuni di investimento si inserivano nei mercati spostando enormi quantità di denaro da una società all’altra, facendone così lievitare il prezzo per poi spostarne piccoli pezzi alla volta sul mercato e speculando sul plus valore che si andava creando, ovvero erano le stesse società che immettevano sul mercato grosse quantità di titoli azionari facendo scendere le quotazioni per ricomprare gli stessi titoli a prezzi più bassi. Ogni strumento finanziario, a danno dei semplici risparmiatori, è stato ampiamente utilizzato con l’esito di rendere la borsa non più una proficua fonte di finanziamento per l’impresa, ma un serbatoio di speculazioni che per alcuni industriali-finanzieri si andava a sostituire ai profitti aziendali.
Verso la fine degli anni 90, i capitalisti italiani erano diventati quasi tutti finanzieri ed invece di investire nelle imprese di famiglia, ereditate da nonni e genitori, per rinnovarle e rilanciarle, investivano in attività finanziarie. La finanza, come dice a ragione il ministro Tremonti, non produce ricchezza ma si limita solo a trasferirla. I subprime, i derivati, le obbligazioni subordinate, le scommesse sul rialzo o sul ribasso dei titoli azionari, sono stati gli ulteriori strumenti della follia finanziaria degli anni a cavallo tra il secondo ed il terzo millennio su cui sono scivolati milioni di ingenui risparmiatori.
Dopo la crisi industriale del 1929 c’era così da aspettarsela la crisi finanziaria del 2008
Vito Schepisi su l'Occidentale

2 commenti:

Unknown ha detto...

(" "DA WW.GIUSEPPESAGLIOCCO.BLOGSPOT.COM)

Unknown ha detto...

Ciao Vito, sempre in forma eh? Mi sono reso conto di non riuscire a postare sul tuo blog....non so perchè...faccio il solito copia-incolla ma i caratteri non me li riporta dal mio nel tuo!! Boh....mi rallegro e ti faccio i miei complimenti per l'arguzia e la obbiettività che smepre contraddistinguono i tuoi commenti...Avanti così...Un abbraccio
Giuseppe