Con il varo del Partito Democratico sta nascendo un nuovo partito che, secondo i suoi ideatori, avrebbe lo scopo di semplificare il messaggio della sinistra moderata, intraprendere un percorso di pacificazione e di dialogo, colmare il vuoto tra i cittadini e la politica. Sono iniziative lodevoli che, comunque potevano essere adottate già in precedenza dagli uomini e dai partiti che vanno a fondersi in questo nuovo contenitore di iniziativa politica. Il sospetto che il PD sia nato per risolvere altre questioni ed in funzione di tattiche personali e/o di legittimazione o di egemonia più che di strategie resta a tutto tondo. Se si facesse, però, solo dietrologia e ci si riducesse a respingere ogni nuova proposta si resterebbe a guardare una realtà che passa, mentre si continua a recriminare, porre condizioni e richiedere prove.
Quello che ancora non ci convince è la pretesa che la nascita del nuovo partito debba e possa risolvere quella che oramai a sinistra fanno passare come la crisi della politica. Tale preoccupazione è intervenuta a ridosso delle ultime elezioni amministrative, quando la sinistra ha perso consensi in gran quantità. Al nord addirittura in modo massiccio. Appare strano, però, che quando la sinistra perde, e alimenta tra la gente e gli elettori delusioni e preoccupazioni, sia la politica ad essere in crisi, mentre al contrario quando perdeva il centrodestra era la proposta politica di Berlusconi e dei suoi alleati che non andava.
La verità è che, pur non potendosi respingere la tesi generale di una crisi della politica, siano le difficoltà nel portare a termine con coerenza e rapidità i contenuti dei programmi e le soluzioni che la gente si aspetta a creare il distacco dei cittadini. E’ accaduto con il centrodestra, sta accadendo con il centrosinistra. Sono anche le contraddizioni e le spinte verso soluzioni estreme da una parte e dall’altra a mettere in difficoltà i percorsi delle maggioranze.
Quando il centrodestra, ad esempio, ha portato avanti la riforma dello Stato e dei suoi ordinamenti la gente ha avvertito, anche per l’azione strumentale dell’opposizione questa riforma come lo strumento di un accentuato potere del Primo Ministro e come la divisione federale dell’Italia. Di converso l’ultima finanziaria del centrosinistra è stata percepita come una scure severa su coloro che già pagano le tasse. La popolarità di questo Governo è scesa ad un italiano su quattro nel momento in cui si è capito che la mannaia fiscale era anche esagerata ed inutile e che in definitiva serviva a finanziare nuova spesa improduttiva.
Sono solo due esempi di come siano state interpretate dai cittadini le iniziative dei governi. Eppure il governo a prescindere dalla giustezza dei provvedimenti deve se necessario essere anche impopolare e la politica deve servire a rendere partecipe i cittadini alle scelte quantunque dolorose e severe. Non può essere politica l’azione, ad esempio, rivolta a creare discontinuità “tout court” con l’azione del precedente governo e neanche quella di concedere alle estreme concessioni nel campo sociale, ovvero etico, che soddisfino richieste di nicchia e che preoccupino e mortifichino la sensibilità di larghe fasce di cittadini.
Si prenda l’indulto ad esempio che ha visto consensi trasversali. Poteva avere valide ragioni per essere varato. Invece che essere discusso in modo strumentale, pensando agli effetti su Previti, doveva essere analizzato dal lato della più o meno pericolosità sociale dei fruitori. Doveva, forse, anche essere unito alla amnistia per sfoltire i tribunali dalle migliaia di falconi di processi minori e per reati senza pericolosità sociale, lasciando impregiudicati i percorsi civili per la salvaguardia dei risarcimenti e dei diritti economici. Così varato sta ancora producendo effetti senza senso in processi che vengono celebrati e con gli imputati a cui per effetto dell’indulto viene annullata la eventuale relativa pena, con comprensibili aggravi economici e di tempo. Questo indulto è stato invece percepito come un inciucio di interessi reciproci tra i due schieramenti ed è finito per essere inteso come indifferenza della politica ai problemi della sicurezza e delle città
Il Partito Democratico non risolve da solo la questione della crisi della politica e neanche quella della incapacità di una risposta coerente alla società che si trasforma. Senza che si risolvano le scelte di fondo in cui appare evidente, ad esempio, che Dini e Rutelli hanno un’idea diversa sull’età pensionabile da Damiano e Fassino e che la divisione tra i due poli in cui si sviluppa il bipolarismo in Italia ha una origine più complessa da una semplice collocazione di schieramento, il Partito Democratico, come oggi i partiti che lo formeranno, si contorcerà nelle sue contraddizioni.
Finché non sarà saldato il conto con il retaggio ideologico di una sinistra alternativa, nostalgicamente legata ancora alla lotta di classe, il PD non potrà assumere la dimensione di componente moderata della sinistra italiana in alternanza di governo con la componente moderata della destra italiana, in cui destra e sinistra stiano a significare da una parte spinte di scelte di libertà e di mercato, con le garanzie proporzionate allo sviluppo e, dall’altra, spinte di scelte di solidarietà e con lo sviluppo proporzionato alle garanzie.
In definitiva il bipolarismo in Italia è nato dall’assimilazione in un contesto di alleanze dei principali contendenti della vecchia politica, uniti tutti insieme per contrapporsi sia al nuovo, e cioè alla trasformazione in proposta politica di una coscienza di società aperta in cui il mercato prevale sui patti sociali e sulle ideologie, sia a coloro che erano stati ghettizzati perché al di fuori dei salotti buoni della politica, della cultura e della finanza. Nel nuovo sono confluite idee liberali, socialiste e cattoliche in una visione di democrazia liberale che non può prescindere dalla questioni sociali e dalle tradizioni etiche del Paese.
Il Partito Democratico, pertanto, se non si rifà al laburismo ed al socialismo europeo, non può che essere luogo della conservazione di istanze e contenuti, benché dignitosi e lodevoli per coerenza ideologica, di una proposta politica vecchia. Come obsoleta ed al di fuori della storia oggi può apparire una politica che si oppone alla globalizzazione dei mercati ed ai modelli di sviluppo che prescindano dai fondamentalismi ideologici e mirino al mercato in quanto fonte di ricchezza e benessere e quindi componente essenziale per i servizi sociali che oggi misurano il grado di progresso dei popoli.
Quello che ancora non ci convince è la pretesa che la nascita del nuovo partito debba e possa risolvere quella che oramai a sinistra fanno passare come la crisi della politica. Tale preoccupazione è intervenuta a ridosso delle ultime elezioni amministrative, quando la sinistra ha perso consensi in gran quantità. Al nord addirittura in modo massiccio. Appare strano, però, che quando la sinistra perde, e alimenta tra la gente e gli elettori delusioni e preoccupazioni, sia la politica ad essere in crisi, mentre al contrario quando perdeva il centrodestra era la proposta politica di Berlusconi e dei suoi alleati che non andava.
La verità è che, pur non potendosi respingere la tesi generale di una crisi della politica, siano le difficoltà nel portare a termine con coerenza e rapidità i contenuti dei programmi e le soluzioni che la gente si aspetta a creare il distacco dei cittadini. E’ accaduto con il centrodestra, sta accadendo con il centrosinistra. Sono anche le contraddizioni e le spinte verso soluzioni estreme da una parte e dall’altra a mettere in difficoltà i percorsi delle maggioranze.
Quando il centrodestra, ad esempio, ha portato avanti la riforma dello Stato e dei suoi ordinamenti la gente ha avvertito, anche per l’azione strumentale dell’opposizione questa riforma come lo strumento di un accentuato potere del Primo Ministro e come la divisione federale dell’Italia. Di converso l’ultima finanziaria del centrosinistra è stata percepita come una scure severa su coloro che già pagano le tasse. La popolarità di questo Governo è scesa ad un italiano su quattro nel momento in cui si è capito che la mannaia fiscale era anche esagerata ed inutile e che in definitiva serviva a finanziare nuova spesa improduttiva.
Sono solo due esempi di come siano state interpretate dai cittadini le iniziative dei governi. Eppure il governo a prescindere dalla giustezza dei provvedimenti deve se necessario essere anche impopolare e la politica deve servire a rendere partecipe i cittadini alle scelte quantunque dolorose e severe. Non può essere politica l’azione, ad esempio, rivolta a creare discontinuità “tout court” con l’azione del precedente governo e neanche quella di concedere alle estreme concessioni nel campo sociale, ovvero etico, che soddisfino richieste di nicchia e che preoccupino e mortifichino la sensibilità di larghe fasce di cittadini.
Si prenda l’indulto ad esempio che ha visto consensi trasversali. Poteva avere valide ragioni per essere varato. Invece che essere discusso in modo strumentale, pensando agli effetti su Previti, doveva essere analizzato dal lato della più o meno pericolosità sociale dei fruitori. Doveva, forse, anche essere unito alla amnistia per sfoltire i tribunali dalle migliaia di falconi di processi minori e per reati senza pericolosità sociale, lasciando impregiudicati i percorsi civili per la salvaguardia dei risarcimenti e dei diritti economici. Così varato sta ancora producendo effetti senza senso in processi che vengono celebrati e con gli imputati a cui per effetto dell’indulto viene annullata la eventuale relativa pena, con comprensibili aggravi economici e di tempo. Questo indulto è stato invece percepito come un inciucio di interessi reciproci tra i due schieramenti ed è finito per essere inteso come indifferenza della politica ai problemi della sicurezza e delle città
Il Partito Democratico non risolve da solo la questione della crisi della politica e neanche quella della incapacità di una risposta coerente alla società che si trasforma. Senza che si risolvano le scelte di fondo in cui appare evidente, ad esempio, che Dini e Rutelli hanno un’idea diversa sull’età pensionabile da Damiano e Fassino e che la divisione tra i due poli in cui si sviluppa il bipolarismo in Italia ha una origine più complessa da una semplice collocazione di schieramento, il Partito Democratico, come oggi i partiti che lo formeranno, si contorcerà nelle sue contraddizioni.
Finché non sarà saldato il conto con il retaggio ideologico di una sinistra alternativa, nostalgicamente legata ancora alla lotta di classe, il PD non potrà assumere la dimensione di componente moderata della sinistra italiana in alternanza di governo con la componente moderata della destra italiana, in cui destra e sinistra stiano a significare da una parte spinte di scelte di libertà e di mercato, con le garanzie proporzionate allo sviluppo e, dall’altra, spinte di scelte di solidarietà e con lo sviluppo proporzionato alle garanzie.
In definitiva il bipolarismo in Italia è nato dall’assimilazione in un contesto di alleanze dei principali contendenti della vecchia politica, uniti tutti insieme per contrapporsi sia al nuovo, e cioè alla trasformazione in proposta politica di una coscienza di società aperta in cui il mercato prevale sui patti sociali e sulle ideologie, sia a coloro che erano stati ghettizzati perché al di fuori dei salotti buoni della politica, della cultura e della finanza. Nel nuovo sono confluite idee liberali, socialiste e cattoliche in una visione di democrazia liberale che non può prescindere dalla questioni sociali e dalle tradizioni etiche del Paese.
Il Partito Democratico, pertanto, se non si rifà al laburismo ed al socialismo europeo, non può che essere luogo della conservazione di istanze e contenuti, benché dignitosi e lodevoli per coerenza ideologica, di una proposta politica vecchia. Come obsoleta ed al di fuori della storia oggi può apparire una politica che si oppone alla globalizzazione dei mercati ed ai modelli di sviluppo che prescindano dai fondamentalismi ideologici e mirino al mercato in quanto fonte di ricchezza e benessere e quindi componente essenziale per i servizi sociali che oggi misurano il grado di progresso dei popoli.
Vito Schepisi
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